La Cina scommette sull’euro
La Cina è destinata a diventare la prima economia al mondo nei prossimi anni. Le crescenti risorse finanziarie di Pechino daranno al paese asiatico maggiori capacità di spesa nei settori militare e della difesa, in particolare nelle tecnologie spaziali e degli armamenti di ultima generazione, che la metteranno in grado di tenere testa agli Stati Uniti in un eventuale confronto circoscritto intorno a Taiwan o nel Mar della Cina meridionale. Un’eventualità, quella di un conflitto tra Washington e Pechino, che speriamo non sopraggiunga mai.
Dal dollaro all’euro
Dovrebbero queste dinamiche preoccuparci? O non dovremmo concentrare la nostra attenzione oltre che sulle capacità finanziarie e militari di Pechino, sull’uso che la dirigenza dell’Impero di Mezzo farà della sua crescente influenza? Sono alcuni dei temi dibattuti da un gruppo di esperti internazionali nell’ultimo numero del The International Spectator (TIS). Con un volume interamente dedicato al crescente impatto strategico della Cina sull’economia e la politica internazionale, il TIS intende contribuire al vivace dibattito in corso negli Stati Uniti e tra i suoi alleati europei ed asiatici riguardo la sfida che la crescita della potenza cinese pone all’ordine liberale internazionale creato – e tuttora mantenuto in piedi – dall’occidente. Una sfida di non semplice e univoca soluzione.
L’emergere della potenza cinese è stata vissuta negli ultimi anni in maniera diversa dalle due sponde dell’Atlantico. La Cina continua, ad esempio, ad essere la più forte sostenitrice dell’euro e, più in generale, dell’eurozona. Al contrario di alcuni settori dell’establishment finanziario americano che speculano su una possibile disintegrazione della zona euro. Da agosto 2011, quando Standard & Poor’s ha declassato il rating sovrano degli Stati Uniti, la Cina ha accelerato il suo disinvestimento dal dollaro aumentando al contempo la sua esposizione sull’euro, portando la quota delle sue riserve detenute nella moneta comune europea dal 27% circa della scorsa estate a circa un terzo agli inizi di quest’anno. Questo, secondo fonti del Tesoro americano (confermate dal governo cinese) e pubblicate sulla stampa specializzata – incluso il Financial Times e il Wall Street Journal – a fine marzo 2012.
La Cina si è coperta dai rischi della crisi dei debiti sovrani in Europa diminuendo la sua esposizione sui titoli dei paesi periferici (Grecia, Portogallo, Irlanda, ma anche Spagna e Italia più recentemente) ed investendo invece quantità crescenti delle sue riserve valutarie verso i titoli dei paesi ‘core’ della zona euro, che godono ancora della tripla A – in particolare la Germania, l’Olanda e la Finlandia e in subordine Austria e Francia.
Nonostante la crisi attuale, il disinvestimento della Cina dal dollaro a favore soprattutto dei titoli dei paesi ‘core’ della zona euro conferma la percezione presente tra gli operatori che la Cina ripone maggiore fiducia nella capacità di ripresa dell’Eurozona piuttosto che nell’economia americana.
Da Pechino a Bruxelles
L’approccio della Cina alla crisi dei debiti sovrani in Europa e negli Stati Uniti dovrebbe invitare a riflettere in maniera meno dogmatica sull’impatto che l’emergere della potenza cinese sta avendo sul mondo e, quindi, sulla risposta europea. Mentre gli Stati Uniti focalizzano la loro attenzione, anche militare, sulle dinamiche asiatiche e cercando di evitare che la Cina rimpiazzi l’egemonia americana nel Pacifico, l’ex Impero di Mezzo è diventato, negli ultimi anni, il più fervente sostenitore del processo di integrazione europeo e di alcune sue iniziative chiave.
Pechino ha infatti appoggiato la moneta comune europea fin dalla sua nascita – al contrario di certi ambienti oltre Atlantico che avevano espresso dubbi al riguardo, soprattutto per la sfida che l’euro avrebbe rappresentato al predominio incontrastato del dollaro. Il governo cinese ha anche sostenuto, sia politicamente che finanziariamente, Galileo – il sistema satellitare europeo – il quale è stato, invece, fortemente osteggiato dall’alleato americano fin dai suoi esordi per la possibile concorrenza con la supremazia spaziale americana.
L’alleanza transatlantica rimane – e deve rimanere – insieme alla scelta europeista, l’assioma fondamentale e indiscutibile della politica estera italiana ed europea e la base sulla quale continuare a promuovere quell’ordine liberale internazionale che ha garantito pace e prosperità al mondo e allargato l’alveo delle democrazie.
L’emergere della Cina e il suo essere portatrice di valori e interessi talvolta distinti dall’occidente contiene le premesse per una ridiscussione (almeno nei principi, se non ancora nei fatti) dei fondamenti dell’attuale ordine liberale internazionale. Nonostante sia stato proprio questo tipo di ordine ad aver permesso la crescita della potenza cinese negli ultimi decenni, come dimostra il dibattito tra Cui Liru, David Shambaugh e Francois Godement sulle pagine dell’ultimo numero del TIS.
Dilemma europeo
La Cina è anche, però, l’attore internazionale che negli ultimi anni ha sostenuto con maggiore continuità il processo di integrazione europea e alcune delle sue iniziative chiave. Certo, la Cina ha fatto tutto questo per il proprio tornaconto e in funzione antiamericana e non certo per amore della Ue o dei buoni ricordi lasciati dalle potenze europee all’epoca dei trattati ineguali con Pechino. Ma come andrebbero meglio le cose per noi europei se anche gli altri attori internazionali di rilievo – e in primis l’alleato americano – avessero messo tra i loro interessi nazionali l’appoggio incondizionato al processo di integrazione europeo, inclusa la sopravvivenza della sua moneta comune e della stessa zona euro.
Invece, la speculazione finanziaria contro l’Italia e gli altri paesi periferici non proviene da Shanghai, ma dalle grandi banche d’affari e gli hedge funds domiciliati soprattutto a Wall Street. Nonostante i proclami di Obama a favore dell’eurozona, le forze contrarie all’unità monetaria europea provengono, in maggioranza, da quell’1% di America che pensa più al profitto immediato piuttosto che all’integrazione tra le nazioni.
Qui stà il dilemma europeo. Da una parte, alcune delle forze finanziarie che hanno sostenuto e garantito l’ordine liberale internazionale post-bellico di stampo occidentale – e non va dimenticato il loro ruolo attivo nel promuovere tale ordine all’interno di consessi quali la Trilaterale e il gruppo Bilderberg – stanno attaccando la zona euro. Dall’altra, c’è una Cina sempre più potente ma anche portatrice di valori e interessi talvolta alternativi all’ordine internazionale esistente. Una Cina che contribuisce però, più di ogni altro attore internazionale di rilievo, a puntellare – sia a parole che a fatti – la zona euro e la sua moneta comune. Non è un dilemma da poco.
L’ultimo numero del TIS non dà risposte nette a questi interrogativi. Fornisce però una serie di analisi e riflessioni atte ad approfondire queste (e altre) tematiche che avranno crescente influenza sulle scelte strategiche che le classi dirigenti italiane ed europee saranno chiamate a compiere nei mesi ed anni a venire.
Nicola Casarini è research fellow all’Istituto dell’Unione Europea per gli Studi sulla Sicurezza (Parigi) e consulente di ricerca per la Cina e l’Asia orientale dello Iai.
Vedi:
, numero speciale su: A Rising China and its Strategic Impact, Vol. 47, n. 2, giugno 2012.