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Dopo il 18° congresso

Il dilemma della nuova Cina

13 Dic 2012 - Carlo Ferri - Carlo Ferri

Il diciottesimo Congresso del Partito Comunista Cinese, che si è svolto a metà novembre a Pechino, ha dotato il gigante asiatico di un nuovo Comitato permanente, che guiderà il paese nei prossimi anni. Molti osservatori hanno notato la presenza importante di figure conservatrici all’interno del nuovo gruppo dirigente, ed espresso rammarico per l’esclusione di elementi considerati più riformatori. In ogni caso, la nomina di Xi Jinping, come Segretario generale, così come la riconferma di Li Keqiang, hanno riaffermato il generale indirizzo espresso nel precedente congresso.

Cosa più importante, l’evento ha concluso il periodo d’incertezza legato alla transizione e ha finalmente riportato l’attenzione sui temi di politica ed economia. Considerando le dovute cautele che il breve trascorso dalle nuove nomine impone, è possibile stilare un bilancio del lavoro della passata amministrazione e immaginare le prossime priorità politiche cinesi. Quale eredità è stata lasciata da Hu Jintao e Wen Jiabao e quali tendenze hanno caratterizzato il loro decennio? Quali opportunità si aprono al nuovo gruppo dirigente, anche alla luce del lavoro compiuto dalla passata amministrazione?

L’ascesa internazionale
Il principale risultato del passato gruppo dirigente è stato l’ascesa della Cina al rango di attore economico e politico mondiale. Quando nel 2002 Hu Jintao venne nominato Segretario generale, il gigante asiatico si presentava al mondo profondamente diverso da oggi. Malgrado l’importante processo di modernizzazione degli anni ottanta e novanta, all’inizio del nuovo millennio, la Cina era ancora un paese principalmente rurale e solo marginalmente integrato nell’economia globale. La nomina di Hu Jintao concise con l’entrata della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio. Il comunicato finale fu, infatti, firmato nel novembre 2001. Sotto la nuova guida, il paese si trovava ad affrontare sfide, che all’epoca molti osservatori consideravano premature.

A questo proposito, una delle principali prove del decennio Hu Jintao è stata il progressivo cambiamento di scala nella partecipazione alle dinamiche globali, che hanno visto la Cina sempre più protagonista attivo. Ad esempio già nel 2003, il disordinato susseguirsi di dichiarazioni dell’allora ministro della salute Zhang Wenkang riguardo all’epidemia di Sars, mise da subito in luce l’esigenza di un nuovo paradigma per la gestione delle crisi e della loro comunicazione sulla scena globale.

Si possono indirizzare numerose critiche ai passati dirigenti, tuttavia va loro riconosciuto di essere fondamentalmente riusciti a gestire questa transizione mantenendo allo stesso tempo un controllo sulle dinamiche nazionali. Sul fronte economico, il decennio ha visto, nei principali indicatori, una sostanziale stabilità, anche nel difficile contesto della crisi economica internazionale. Le statistiche nazionali riportano che la percentuale di crescita annua del prodotto interno lordo è stata superiore, durante l’intero periodo, al 9%. Un altro risultato importante riguarda la gestione del processo d’urbanizzazione, che ha visto la Cina, sotto l’egida di Hu Jintao, trasformarsi in un paese di carattere principalmente urbano.

Nodi irrisolti
Numerosi problemi sono tuttavia rimasti irrisolti e pongono varie sfide alla nuova amministrazione. Come rileva Wu Jinglian, membro del Centro di Ricerca sullo Sviluppo del Consiglio di Stato e Professore di economia all’Università di Pechino, la Cina non ha ancora compiuto una scelta chiara sulla riforma del proprio sistema economico. Il modello adottato negli ultimi trenta anni, e dunque anche durante il periodo Hu Jintao, è stato caratterizzato da una forte crescita, principalmente trainata dai massicci investimenti, in combinazione con una robusta presenza della stato-partito in ogni attività sociale ed economica.

Questo modello, diviso tra controllo statale e libertà di mercato (banzhitong banshichang), e definito altrimenti dal discorso ufficiale nell’audace formula “un’economia socialista di mercato con caratteristiche cinesi”, dovrà a breve termine trovare una soluzione. Come sottolinea Wu Jinglian, l’implicazione diretta dello stato-partito negli affari economici ha prodotto in Cina un vasto dilagare della corruzione, dove gli scandali del Primo Segretario di Shanghai, del Ministero delle ferrovie o dell’amministrazione di Chongqing, rappresentano solamente casi emblematici di un sistema molto articolato.

La riforma del modello economico assume, poi, un peso maggiore alla luce dei pressanti problemi sociali, che l’amministrazione Hu Jintao ha affrontato solo marginalmente e che si presentano urgenti sulla scrivania di Xi Jinping. Fino ad ora, infatti, lo sviluppo cinese è stato caratterizzato polarizzazione della nuova ricchezza prodotta attorno a pochi gruppi, spaccando il paese in vincitori e vinti. Per affrontare le ineguaglianze sociali, una via potrebbe essere quella di politiche di aiuto alla formazione di un largo ceto medio, ad esempio tramite la costruzione di un sistema di welfare moderno. Allo stesso tempo queste politiche permetterebbero al paese di evitare di scivolare nella direzione della middle-income trap, come suggerisce uno studio della Banca Mondiale.

Al contempo, il prevedibile innalzamento del costo della manodopera cinese, causerà un progressivo rallentamento dell’economia del paese nei prossimi anni. La diminuzione della crescita potrebbe rendere manifesti i limiti attuali e come conseguenza precipitare la Cina in una crisi fiscale e finanziaria, con effetti anche sulla stabilità sociale. Inoltre, l’innalzamento della qualità della vita, e di conseguenza del livello educativo, potrebbe tradursi in una crescente domanda di partecipazione.

Questa istanza potrebbe chiamare in causa il tema delle riforme politiche, complicando l’azione delle autorità, che vedrebbero indebolita la loro legittimità in uno dei periodi di maggiore trasformazione del paese. Infine, incognite legate al degrado ambientale, all’approvvigionamento energetico o al rischio di una bolla immobiliare, potrebbero appesantire il lavoro della nuova equipe. La risoluzione di questi temi, in ogni caso, è particolarmente importante anche perché avrebbe effetti su economie, quali la nostra, che potrebbero beneficiare dall’emergenza di un solido mercato cinese.

Primi passi
Resta difficile decifrare l’opera di Xi Jinping in un così breve periodo di azione. È possibile però intuire alcune tendenze sulla linea che potrebbe imprimere al paese. Nell’incontro del 5 dicembre con esperti stranieri che operano in Cina, largamente ripreso dai media locali, Xi Jinping ha posto l’accento sul fatto che il modello di sviluppo cinese non deve risolversi in uno scontro tra “vincitori e vinti”. Il discorso, sebbene pronunciato in un’occasione internazionale, ha tuttavia un sapore più ampio. È facile cogliere nelle parole del Segretario generale un richiamo ai temi di politica interna.

Analogamente, la recente visita nella provincia del Guandong, in occasione della prima ispezione nella veste di Segretario generale, ha permesso a Xi Jinping di esprimere la propria volontà nel proseguimento del processo di riforma. Allo stesso tempo, è stata l’occasione per rendere omaggio a Deng Xiaoping, l’iniziatore del processo di apertura del paese. Si può intravedere, da questi primi passi, una certa risolutezza del nuovo Segretario generale, che nello scioglimento dei nodi di politica interna potrà forse trovare la chiave per rilanciare ulteriormente il profilo internazionale della Cina.

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