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Regno Unito

Brexit, Scozia infelice ostaggio dei tempi lunghi

13 Lug 2016 - David Ellwood - David Ellwood

Nelle urne del referendum sulla Brexit, la popolazione scozzese – com’è noto – ha votato in massa per rimanere dentro l’Unione europea con una maggioranza di 62% a 38%. Ogni circoscrizione ha confermato l’adesione all’Ue, anche se in qualcuna – come nei quartieri più poveri di Glasgow – i sostenitori dell’uscita sono arrivati al 44%.

È stata evidente la convergenza tra quelle zone che hanno votato maggiormente per l’indipendenza nel referendum interno del 2014, e quelle oggi più disposte a respingere le indicazioni di tutti i partiti scozzesi, senza eccezione alcuna, per rimanere dentro l’Unione.

Le carte di Edimburgo
Il governo scozzese, che è sembrato molto meglio preparato per affrontare l’esito del voto che non la sua controparte londinese, si è mosso subito. Capeggiato dal suo abile primo ministro Nicola Sturgeon ha annunciato che la questione di un secondo referendum sull’indipendenza è di nuovo all’ordine del giorno, poi ha formato un ‘Comitato consultivo sull’Europa’, presieduto dal rettore dell’Università di Glasgow Anton Muscatelli e composto, fra gli altri,da eminenti diplomatici, giuristi, studiosi, economisti e imprenditori.

Subito la Sturgeon è partita per Bruxelles, sperando di incontrare i massimi esponenti dell’Unione e ottenere qualche forma di riconoscimento – anche informale – della situazione speciale della Scozia dopo il 23 giugno. Qui la sua tattica è riuscita solo in parte, essendo stato ricevuta solo dai presidenti di Commissione e Parlamento Juncker e Schulz, e apertamente snobbata da quello del Consiglio europeoTusk.

Ostili sono stati i commenti del primo ministro spagnolo Rajoy e quelli del presidente francese Hollande. Dopo il suo ritorno in patria, l’energica signora ha pubblicato una lettera a tutti i cittadini dei paesi dell’Unione residenti in Scozia per assicurarli sulla legalità e sul gradimento della loro presenza nel paese.

In realtà, lo spazio di manovra del governo scozzese è piuttosto limitato.Il problema è in parte politico e in parte costituzionale. Sul piano politico, nessuno sa quando o come partiranno i negoziati per estrarre il Regno Unito dall’Ue. Nessuno dubita che quando finalmente saranno avviati, con l’attivazione della procedura prevista dall’articolo 50 del Trattato sull’Ue, essi saranno lunghi, complessi, difficili e controversi.

Quale ruolo i vari componenti del Regno potranno avere in questo confronto è impossibile da prevedere, anche se è facilmente immaginabile che Londra cercherà di tenere in mano tutto, nel nome delle sue prerogative storiche riguardanti ogni contatto formale con ‘’l’estero’. L’ultima parola dovrebbe – ma neanche questo è sicuro – spettare al Parlamento di Westminster, dove attualmente siede una maggioranza pro-Ue.

Nuovi tentativi per l’indipendenza
Sul piano costituzionale, rimane il fatto che ogni nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia deve essere approvato da Londra. Fin qui tutto è chiaro, e la primo ministro ha fatto capire che non chiederà un tale referendum se non vede una maggioranza stabile e duratura – almeno il 60% degli elettori – che si esprima in qualche modo per l’indipendenza.

Il vero problema è la posizione della Scozia quando Edimburgo dovrà dire la sua sui risultati dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Nell’ultima versione – datata 2016 – della legge che governa i rapporti tra Edimburgo e Londra, “viene riconosciuto che il Parlamento di Westminster normalmente non passerà legislazione che possa toccare le materie devolute al controllo del Parlamento scozzese senza il consenso di quest’ultimo”.

Ma come ha commentato Eve Hepburn, politologa dell’Università di Edimburgo: “Mentre la gestione del rapporto con l’Unione europea è di competenza esclusivamente di Londra, la legislazione europea ha un impatto enorme sulle materie che sono di competenza primaria di Edimburgo (tra cui welfare, trasporti, agricoltura, sanità, ambiente, giustizia, pubblica istruzione).

Secondo alcuni calcoli, l’80% della legislazione devoluta alla Scozia è toccato dai provvedimenti dell’Ue, e quindi uscire dall’Unione potrebbe sovvertire in qualche modo le attuali leggi che governano la devoluzione di materie fra Regno Unito e Scozia”.

Sullo sfondo, le difficoltà economiche
Ma il vero problema della Scozia, che condiziona tutti gli altri, è la sua perdurante precaria situazione economica. Da anni, la nazione dipende da un sussidio di 15 miliardi di sterline da parte di Londra e registra livelli di disoccupazione e crescita debole (1,2% quest’anno) che riflettono i suoi problemi strutturali di fondo.

Il suo deficit annuale è l’equivalente del 7,8% del Pil, mentre quello del Regno Unito nel suo insieme è di 3.3%. E mentre Edimburgo prospera grazie a servizi finanziari, commercio, turismo e università, producendo circa il 25% del prodotto nazionale, d’altro canto le vecchie zone deindustrializzate – fra cui Glasgow, Dundee, Motherwell – languono e conoscono livelli preoccupanti di degrado sociale.

Ma il problema contingente più grave è il crollo del prezzo del petrolio: non meno di 120mila posti sono a rischio finché il prezzo del barile rimane al di sotto di 50 dollari. Il numero degli occupati è calato dell’1,5% in Scozia dalla fine del 2014, mente nel resto del Regno Unito è aumentato di più del 2%. Tutti hanno notato che la Scozia esporta infinitamente di più verso il resto del Paesi che non verso gli Stati membri dell’Ue.

Evidentemente, più si prolungano i tempi perché la Gran Bretagna decida sul proprio futuro e chiarisca il rapporto con l’Ue, più ad esser danneggiate sono le prospettive economiche di tutti.

Futuro politico e istituzionale
A differenza del Regno Unito, scosso da un terremoto politico che ha tenuto ostaggio le istituzioni dopo il 23 giugno, la Scozia gode di un governo stabile, legittimo e determinato.

Le elezioni di maggio di quest’anno hanno confermato l’egemonia del Partito nazionalista – anche se ha perso la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento di Edimburgo – e hanno fatto emergere due nuove celebrità politiche, giovani e donne: la laburista Kezia Dugdale e la conservatrice Ruth Davidson. I loro rispettivi partiti rimangono ai margini della scena politica nel suo insieme – in Scozia esistono anche i verdi e i liberaldemocratici -, ma nessuno dubita che avranno futuri interessanti.

In tempi più tranquilli si potrebbe immaginare un’evoluzione ulteriore della situazione costituzionale britannica verso qualche forma di federalismo; da tempo, dietro le quinte, gli esperti considerano le alternative in campo. Ma questi non sono tempi tranquilli, e per ora gli scozzesi non hanno scelta se non stare ad aspettare per vedere come e quando a Londra riusciranno a sortire dalla vasta tempesta di incertezze provocata dal referendum sulla Brexit.

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