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Il Vertice inter-coreano

Corea: per la terza volta, Moon lima le divergenze tra Kim e Trump

21 Set 2018 - Lorenzo Mariani - Lorenzo Mariani

Il Summit di Pyongyang, terzo vertice inter-coreano negli ultimi sei mesi e quinto nella storia delle due Coree, si è concluso giovedì 20 settembre. Dopo le tensioni tra la Corea del Nord e Stati Uniti che a fine agosto avevano portato all’annullamento della visita del segretario di Stato Mike Pompeo nella capitale nordcoreana, il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in è riuscito ancora una volta a limare le divergenze tra i presidenti Donald Trump e Kim Jong-un, che ha assicurato l’impegno del regime per lo smantellamento delle sue dotazioni nucleari.

Diverse voci critiche hanno lamentato la mancanza di risultati concreti al termine del vertice e non sono mancate le accuse nei confronti di Moon per non essere riuscito ad andare oltre le solite promesse retoriche. Ciò nonostante, il Summit di Pyongyang ha in realtà raggiunto l’obiettivo di consolidare il processo diplomatico nel suo insieme, fornendo alle due Coree nuovi strumenti per proseguire quel percorso di riconciliazione che si spera possa portare a una pace permanente nella penisola.

La riconciliazione tra Seul e Pyongyang
La dichiarazione congiunta di Pyongyang, firmata a margine dell’incontro dai due leader, ricalca la strategia adottata da Moon nel primo vertice bilaterale. Ancora una volta l’obiettivo del presidente sudcoreano è stato quello di aprire canali di comunicazione con la Corea del Nord su più fronti (militare, sociale, umanitario, culturale), affidando i singoli progetti di cooperazione ad appositi gruppi di negoziatori.

Questa divisione di competenze servirà ad assegnare a ciascun tavolo negoziale non solo il compito di coordinare i lavori ma soprattutto l’onere di dirimere le controversie che potrebbero sorgere in futuro, evitando così che anche questioni di minore rilievo possano andare a intaccare l’intera manovra diplomatica.

Vanno dunque lette in quest’ottica le disposizioni contenute nei primi quattro punti della cichiarazione, che prevedono l’avvio di programmi di cooperazione in ambito militare – con la creazione di una apposita Commissione militare congiunta -, ambientale, sanitario, e sociale – con l’apertura di un canale di comunicazione continuo tra le famiglie separate dalla Guerra. Nella scia dell’esperienza positiva della “diplomazia dello sport” che negli scorsi mesi ha portato i due Paesi a sfilare sotto un’unica bandiera alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang e nei Giochi Asiatici, Moon e Kim hanno anche prospettato una candidatura congiunta per ospitare i Giochi Olimpici del 2032.

Per quanto riguarda la cooperazione economica, i due leader si sono impegnati a creare le condizioni necessarie alla riapertura del complesso industriale di Gaesong (situato in Corea del Nord, ma dove operano imprese sudcoreane) e il sito turistico del monte Geumgang, aperto anche ai cittadini sudcoreani. In questo caso, Moon ha evitato di fare concessioni affrettate a Kim, condizionando la cooperazione economica tra le due Coree alla progressiva riduzione delle ostilità.

Particolare considerazione merita anche il progetto di riconnessione infrastrutturale tra i due Paesi, che dovrebbe essere avviato tramite la riapertura di due corridoi ferroviari e di strade di collegamento che facilitino gli scambi. Un progetto, questo, che ha già attirato gli interessi di Cina e Russia e che lascia spazio a diverse speculazioni sui suoi possibili risvolti sugli equilibri strategici nella regione.

La questione nucleare e le aspettative disattese di Washington
Il quinto punto della dichiarazione congiunta è dedicato alla questione nucleare. Dal punto di vista pratico il regime si impegna a smantellare il sito di Dongchang-ri – utilizzato per i test missilistici – e promette la chiusura irreversibile del centro nucleare di Yeongbyeon, a condizione che gli Stati Uniti offrano in cambio adeguate “misure corrispondenti”, come promesso durante il vertice Trump-Kim dello scorso giugno a Singapore.

Come nel documento firmato ad aprile a Panmunjom, la formula utilizzata per descrivere il processo a cui si impegnano Seul e Pyongyang è stata quella di “denuclearizzazione della penisola”, un’espressione ben diversa da quella “denuclearizzazione completa, irreversibile e verificabile” che Washington vorrebbe ottenere dal regime nordcoreano. La costante vaghezza di termini, certamente voluta proprio da Pyongyang, è tuttavia facilmente comprensibile e non dovrebbe destare troppi sospetti, almeno non più di quelli che è lecito avere quando si parla del regime nordcoreano.

Nonostante la Corea del Nord abbia dimostrato più volte di sapere tornare sulla parola data, bisogna essere consapevoli del fatto che l’attuale processo distensivo è ancora nella sua fase primordiale. In un percorso diplomatico fino ad ora dimostratosi sui generis, dove gli incontri tra i capi di Stato hanno segnato l’inizio dei negoziati piuttosto che il raggiungimento di un accordo, è piuttosto ingenuo pensare che la Corea del Nord possa svendere la sua leva negoziale più preziosa in cambio di qualche rassicurazione economica o di sicurezza.

Il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Corea del Sud
A partire da gennaio si è parlato spesso di Moon come l’uomo al “posto di guida” della grande macchina diplomatica coreana. Nonostante questa immagine descriva abbastanza correttamente la natura delle cose, Trump non può pensare che sia la Corea del Sud ad occuparsi per lui della questione nordcoreana. In primo luogo l’Amministrazione statunitense sembra avere dimenticato che nella vicenda coreana Seul non è né il suo mediatore né un attore imparziale: la Corea del Sud ha infatti propri obiettivi politici che si estendono ben al di là degli interessi securitari di Washington. In secondo luogo, se entrambi i Paesi vogliono vedere soddisfatte le loro aspettative c’è bisogno di maggiore coordinazione. Come nel più classico dei paradossi, a mettere a rischio gli ambiziosi progetti di Moon non è più l’inaffidabilità di Kim, ma la politica sanzionatoria di Washington che al momento impedisce l’avvio di alcuni progetti: primo tra tutti quello infrastrutturale.

La strada che porta alla risoluzione della questione coreana – di cui il nucleare rappresenta solamente un capitolo – è un percorso lungo ed incerto che richiede lo sforzo di leader consapevoli del fatto che la parola fine non verrà scritta entro il termine del loro mandato. A causa di questa consapevolezza, nei prossimi mesi Moon cercherà di percorrere quanta più strada possibile al fine di rendere questo processo irreversibile: non solo per scongiurare un possibile ripensamento da parte della Corea del Nord, ma anche evitare che chi gli succederà alla guida del Paese, progressista o conservatore che sia, non decida di fermare il processo di riconciliazione. A Washington spetta il compito di assicurarsi che Moon abbia successo.