IAI
Assenza di una visione strategica

Missioni internazionali: l’Italia continua ma naviga a vista

31 Mag 2019 - Andrea Aversano Stabile - Andrea Aversano Stabile

Lo scorso 13 maggio il Parlamento italiano ha autorizzato la continuazione delle missioni internazionali, garantendo per tutto il 2019 la copertura finanziaria ed assicurativa necessaria alle operazioni condotte dal personale dispiegato all’estero. La pubblicazione di questo documento era attesa da tempo, sia per regolarizzare la posizione delle Forze armate e di polizia impiegate nei vari teatri operativi, sia per le potenziali variazioni introdotte dalla compagine governativa giallo-verde insediatasi nel corso del 2018.

Un coinvolgimento all’estero all’insegna della continuità
Mentre l’approvazione della proroga delle operazioni internazionali per l’ultimo trimestre dello scorso anno rappresentava una formalità, per il 2019 erano attese significative novità sulle operazioni in corso. Alla luce delle numerose dichiarazioni dei membri dell’esecutivo, era da mettere in conto una cospicua riduzione dell’impegno italiano all’estero. Tuttavia, ad una lettura del nuovo documento, che il Consiglio dei ministri ha presentato alle Camere il 23 aprile, si registra un coinvolgimento di Roma nei teatri operativi improntato alla sostanziale continuità rispetto allo scorso anno.

Nel 2019 l’Italia partecipa infatti a 43 missioni internazionali, tenendo fede agli impegni presi ad inizio 2018 ed aderendo anche ad una ulteriore iniziativa Nato in territorio iracheno, avviata dal governo nell’ultimo trimestre dello scorso anno. Anche i dati relativi al dispiegamento del personale risultano pressoché invariati, con una consistenza media delle forze armate stimata attorno alle 6.300 unità, sulla falsariga di quanto previsto per il 2018. Pure le risorse economiche destinate alle operazioni internazionali si mantengono stabili, facendo anzi registrare una leggera variazione di segno positivo, passando dai precedenti 1,11 agli attuali 1,13 miliardi di euro.

Dunque vi sono state poche modifiche sostanziali, tra cui spicca soprattutto una nuova missione di carattere bilaterale in Tunisia, che va a sostituirsi all’impegno assunto a partire da gennaio 2018 in ambito Nato. Più che il numero complessivo delle partecipazioni italiane e dei fondi destinati da Roma alle operazioni internazionali, è il peso del coinvolgimento italiano nelle varie aree geografiche a fornire rilevanti indicazioni. Con una riduzione dei contingenti operanti in aree come Afghanistan ed Iraq, e conseguentemente dell’onere finanziario connesso alla loro presenza, e lo spostamento di questi in altre operazioni come Sea Guardian, l’Italia conferma l’intenzione di procedere al suo riposizionamento geografico nell’area del cosiddetto “Mediterraneo allargato”. Lo spostamento delle truppe nella regione euro-mediterranea è funzionale al perseguimento dell’obiettivo primario di garantire la sicurezza dei cittadini tramite un efficace contrasto alle sfide più pressanti, oggi rappresentate dal controllo delle rotte migratorie e dalla prevenzione di attentati terroristici, questioni legate all’incalzare di tensioni negli Stati africani e dalla loro perdurante instabilità politica.

Il valore aggiunto delle missioni internazionali
Contestualizzando la prosecuzione delle missioni in una prospettiva più ampia, l’impegno italiano all’estero contribuisce anche a definire il ruolo che Roma vuole giocare sullo scacchiere internazionale, nonché la sua posizione in merito agli impegni presi in sede multilaterale. Per quanto riguarda il primo aspetto, la partecipazione alle operazioni, infatti, al di là del contesto di riferimento nel quale vengono portate avanti – Nazioni Unite, Nato, Unione europea – permette all’Italia di ergersi quale punto di raccordo in contesti particolarmente problematici. Un caso lampante è rappresentato dal Libano, Paese con il quale l’Italia gode di ottimi legami alla luce dell’instaurazione di una missione di assistenza bilaterale e di una massiccia presenza nel contingente dispiegato nell’ambito dell’operazione dell’Onu Unifil. Con la recente nomina del generale Stefano Del Col a capo missione, Roma ha incrementato ulteriormente il proprio ruolo di prestigio nel Paese dei cedri, qualificandosi come attore di primo rilievo per la stabilizzazione del Libano e dell’area mediorientale.

In parallelo, la presenza in teatri operativi all’estero permette al nostro Paese di non disattendere le promesse fatte in ambito multilaterale. Il riferimento è qui soprattutto all’Alleanza Atlantica dal momento che Roma, nonostante gli impegni presi durante il summit 2014 in Galles, non è riuscita ad alzare l’asticella in materia di spese per la difesa, che nel 2018 si attestavano intorno all’1% e non subiranno cambiamenti in senso positivo nel futuro prossimo. In virtù dell’adozione di un approccio poliedrico durante il summit di luglio 2018 a Bruxelles, il superamento della soglia del 2% del Pil da destinare alla difesa (cash) non è l’unico criterio atto a definire il rispetto degli obblighi euro-atlantici. Nella definizione del contributo sono infatti da considerare anche le capacità militari di proprietà dello Stato membro, specie se queste sono utilizzabili nei vari scenari ed interoperabili con le piattaforme degli Alleati (capabilities), così come il contributo reale, in termini di risorse umane ed equipaggiamenti, alle operazioni intraprese sotto l’egida della Nato (contribution).

Gli errori da non ripetere in futuro
Potrebbero essere stati questi i motivi che hanno indotto i vertici governativi ad un’inversione di tendenza rispetto a quanto ripetutamente annunciato nel corso delle rispettive campagne elettorali. Le missioni internazionali costituiscono uno strumento essenziale per definire la proiezione esterna dell’Italia, ma non devono essere semplicemente sfruttate in vista di questo significativo risvolto. La sicurezza del personale inviato nei vari teatri operativi rappresenta un aspetto che non può essere trascurato, e che rende l’Italia responsabile di assicurare adeguata protezione ai cittadini che si muovono all’esterno del proprio territorio.

Se per le iniziative condotte in contesti multilaterali si può contare sul supporto di partner meglio equipaggiati, la conduzione di iniziative bilaterali da parte dell’Italia esige che l’apparato difensivo sia organizzato in maniera efficace. Il discorso non si esaurisce però nella singola fornitura di sistemi in grado di prevenire danni per i soldati oggetto di un potenziale attacco nemico, ma si estende anche a tutto ciò che riguarda la regolarizzazione delle coperture assicurative e finanziarie essenziali per la conduzione delle missioni. In quest’ottica, è paradossale l’incuria recentemente mostrata dalle istituzioni per la tematica, con i quasi cinque mesi di ritardo con cui è avvenuta l’estensione dell’ultima copertura, anch’essa approvata fuori tempo massimo lo scorso ottobre.

Quello in esame è l’ennesimo caso in cui si dimostra una palese mancanza di interesse dei vertici del governo rispetto al mondo della difesa, esacerbata da una incapacità di fornire una programmazione di lungo periodo, come dimostrano anche le sempre più tardive pubblicazioni del Documento programmatico pluriennale e la propensione per decisioni sempre più episodiche e scorporate da una visione di più ampio respiro.

Se i decisori hanno optato per la prosecuzione delle missioni internazionali in modo da assicurare all’Italia una posizione di rilievo mondiale, è bene che si impegnino affinché in futuro non vi siano incertezze che minino la posizione delle Forze armate dislocate all’estero, così da evitare ripercussioni negative anche sull’immagine trasmessa dall’Italia al di fuori dei propri confini.

In un settore cruciale come quello della difesa è impensabile navigare a vista, e l’unico modo per evitare figuracce è chiarire sin dall’inizio l’obiettivo da perseguire, a seguito di un’analisi ponderata delle priorità nazionali e dello sforzo, in termini di risorse sia umane sia finanziarie, necessario al suo raggiungimento.