L’Italia iperattiva che cerca il dialogo con Teheran
L’Italia è tornata protagonista nel negoziato nucleare iraniano. In realtà, lo è sempre stata sebbene dietro le quinte. L’Italia insieme alla Germania è, infatti, il primo partner commerciale europeo dell’Iran e il quinto globale, dopo Russia, Cina e Giappone. Possibili sanzioni darebbero perciò all’economia italiana un durissimo colpo che, si sente dire negli ambienti diplomatici, ci costerebbe quanto “due finanziarie”. Con questo dato di partenza, un po’ iperbolico, va ricostruito il ruolo italiano nel negoziato con l’Iran a partire dalla creazione del gruppo di contatto europeo dell’ottobre 2003, per poi analizzare le nuove iniziative italiane nella fase di impasse del 2005 e per registrare, infine, la svolta negoziale dei recenti incontri tra autorità iraniane ed italiane.
Le prime denunce
La questione nucleare iraniana si è aperta nel 2003 con la denuncia da parte del Consiglio Nazionale della Resistenza d’Iran – dal 1986 con sede operativa a Baghdad – della presenza di siti non segnalati all’Agenzia per l’Energia Atomica (Aiea) e dello sviluppo di programmi di arricchimento dell’uranio nelle città di Natanz, Arak e Saghand. Il Consiglio Nazionale della Resistenza d’Iran è un gruppo composto da Mojaheddin-e Khalq, curdi del Kdp-I (Partito democratico dei curdi iraniani) e liberali, vecchi seguaci dell’ex-presidente iraniano Bani Sadr: tre tra i maggiori gruppi di opposizione al regime degli ayatollah costretti all’esilio sin dai primi anni successivi alla Rivoluzione Islamica.
Dopo l’intervento degli Stati Uniti in Iraq del 2003, era riemersa la questione dello status giuridico da attribuire ai militanti dei Mojaheddin-e Khalq presenti su territorio iracheno ma, grazie alle informazioni sulla questione nucleare, almeno 4.000 membri del gruppo hanno ottenuto dal governo provvisorio iracheno lo status di rifugiato politico. Pertanto, sostenere la validità della denuncia del Consiglio Nazionale di Resistenza ha costituito nel 2003 già una dura presa di posizione contro le istituzioni iraniane post-rivoluzionarie. E gli Usa ne hanno tenuto conto per legittimare la presenza dell’Iran tra i paesi dell’“asse del male”.
Quando nel 2003 Francia, Germania e Gran Bretagna hanno aperto i colloqui negoziali con l’Iran, l’Italia era presidente di turno del Consiglio europeo. I tre paesi Ue hanno avviato dei contatti con le autorità iraniane per fermare il programma nucleare e per raggiungere un accordo, allo scopo di evitare possibili iniziative degli Stati Uniti. Secondo fonti diplomatiche, gli iraniani hanno chiesto ad altri paesi, tra cui l’Italia, di entrare a far parte del gruppo di contatto. Nonostante ciò, l’Italia nell’ottobre del 2003 non era entrata nel negoziato per il nucleare iraniano, dato che l’evoluzione del negoziato appariva del tutto ambigua. Da una parte, la leadership iraniana sembrava infastidita dai modi con cui la questione era stata sollevata, dall’altra, le possibili iniziative degli Stati Uniti apparivano ancora incerte.
I colloqui del gruppo di contatto non hanno avuto il sostegno dell’amministrazione Usa, e neppure di tutti i paesi europei. Questo ha indebolito in modo rilevante la credibilità dei negoziatori agli occhi delle controparti iraniane. Gli iraniani hanno deciso di sospendere volontariamente e temporaneamente l’arricchimento dell’uranio nel novembre del 2004. Soltanto nei primi mesi del 2005 gli E-3 hanno ottenuto l’avallo dell’Ue e l’appoggio degli Stati Uniti. Tuttavia, pochi mesi dopo, nell’agosto 2005, l’Iran ha ripreso le attività preliminari all’arricchimento dell’uranio in alcuni suoi impianti provocando l’interruzione del negoziato con gli E-3.
D’altra parte, negli stessi mesi si apriva una nuova fase nella politica iraniana con il fallimento del movimento riformista e l’inasprimento delle posizioni conservatrici in seguito alle elezioni parlamentari del 2004 e presidenziali del 2005. La questione nucleare era divenuta per la leadership iraniana sempre più elemento di coesione interna e soggetto di discorsi retorici di politica estera.
E’ proprio nell’autunno del 2005, nel momento in cui il negoziato appariva compromesso e l’iniziativa europea priva di seguito, che la diplomazia italiana ha condotto una serie di colloqui informali. Secondo un articolo apparso sull’Asia Times il 7 settembre 2005 “Iran Knocks Europe Out”, le autorità iraniane hanno fatto pressioni sui paesi non presenti ufficialmente nel negoziato perché presentassero proprie proposte. Il governo italiano sarebbe intervenuto presso mediatori russi sostenendo iniziative alternative. Ciò avrebbe spinto il Presidente Putin ed il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov a presentare la nota proposta russa: permettere all’Iran di arricchire l’uranio in territorio russo. Questo attivismo diplomatico dimostrerebbe l’interesse italiano di entrare a far parte ufficialmente del negoziato sul nucleare iraniano sostenendo nuove concessioni.
La svolta del negoziato
Tuttavia, la vera svolta italiana nel negoziato sul nucleare iraniano c’è stata con il deferimento dell’Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu nel febbraio del 2006 e l’insediamento del governo Prodi. Lo scorso 31 luglio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato la Risoluzione 1696 che chiede all’Iran di cessare l’arricchimento dell’uranio, facendo richiamo al capitolo VII art.41 della Carta Onu, che prevede la possibile imposizione di sanzioni. Un’importante novità è venuta, però, dalle dichiarazioni degli Stati Uniti. Si sono detti pronti, infatti, al negoziato diretto con l’Iran ponendo come precondizione la sospensione dell’arricchimento dell’uranio. Nonostante un negoziato diretto tra le parti costituirebbe un vero segno di discontinuità, non sono ancora chiare le concessioni che gli Usa sono disposti a fare alle autorità iraniane.
Negli stessi mesi il governo Prodi ha mostrato insofferenza per l’esclusione dell’Italia dalle iniziative negoziali. Sono stati così intensificati gli incontri bilaterali. Dal 21 giugno sino ad oggi, il Ministro degli Esteri D’Alema ha visto due volte Ali Larijani, capo negoziatore iraniano, varie volte il Ministro degli Esteri iraniano Mottaki. Allo stesso tempo, il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha incontrato Larijani e ha avuto un colloquio con il Presidente iraniano Ahmadinejad il 20 settembre alle Nazioni Unite.
I due leader italiani si sono espressi, poi, a sostegno dell’iniziativa negoziale di Solana, che aveva accompagnato i colloqui del gruppo di contatto sin dalla sua formazione e che ha acquisito nelle ultime settimane, come rappresentante per la politica estera europea, la funzione di unico interlocutore europeo nelle ultime fasi negoziali. Inoltre, secondo fonti diplomatiche francesi, l’Italia ha partecipato inviando emissari all’incontro G-5+1 (i membri del Consiglio di sicurezza e la Germania) del 7 settembre a Berlino. Il Ministro degli Esteri D’Alema ha, poi, partecipato al successivo incontro del 20 settembre a New York del G-5+1 trasformandolo di fatto in G-5+2.
A questi elementi bisogna aggiungere i continui colloqui che l’Ambasciata italiana a Teheran tiene con i capi negoziatori e le principali autorità iraniane. L’iperattivismo delle autorità italiane chiarisce, perciò, la posizione da protagonista che l’Italia vorrebbe avere in futuri negoziati. L’Italia, nel caso in cui fossero imposte sanzioni all’Iran per la questione nucleare, avrebbe un danno economico rilevante e si allontanerebbe da un paese con cui ha buoni rapporti e a cui, mai, neppure negli anni della Rivoluzione, ha negato il suo supporto. Il governo italiano ha l’interesse a che ciò non avvenga e possiede gli strumenti per sostenere nuove proposte e convincere le autorità iraniane a dare un segno di discontinuità in questa fase critica.
Giuseppe Acconcia è tirocinante per l’area Mediterraneo e Medio Oriente dell’Istituto Affari Internazionali.