Le geometrie variabili dell’ex monolite: l’agenda 2022 dei V4
Il Gruppo di Visegrád (V4) prende commiato dal 2021 in cui ha celebrato il trentennale con un cambio della guardia nella Repubblica Ceca. Le elezioni politiche svoltesi a ottobre non hanno premiato il primo ministro uscente Andrej Babiš. La fiducia degli elettori è andata alle forze di opposizione, principalmente Spolu, lo schieramento conservatore, che ha dato al Paese un nuovo premier. Si tratta di Petr Fiala che parla a nome di un blocco propenso a guardare più da vicino all’Europa e proiezione di un elettorato scontento del precedente governo.
Lo schieramento vincente di misura rimproverava quest’ultimo, in campagna elettorale, di aver sottovalutato i timori della popolazione a fronte dell’aumento dei prezzi e criticava Babiš per aver attribuito l’aumento del tasso di inflazione a cause esterne e per i suoi conflitti di interesse.
È ovviamente ancora presto per capire a cosa porterà questa nuova fase della politica ceca, ma l’attuale governo promette una maggiore e più concreta attenzione alla vita economica nazionale e ai suoi effettivi risvolti sulla situazione dei cittadini cechi lontano da ogni apparenza e dalle sirene ingannevoli dell’antipolitica. Per il resto, Praga continua a condividere determinate posizioni del V4, ad esempio l’appoggio al nucleare come strada migliore per arrivare alla neutralità climatica ed un certo impegno per una maggiore equità all’interno dell’Ue, ma senza le prese di posizione di Ungheria e Polonia che, d’altra parte, sono rette da governi nazionalisti in aperto conflitto con Bruxelles.
Cambio di passo a Budapest?
Il 2022 avrà nelle elezioni ungheresi previste per aprile un elemento di notevole interesse non solo per il Paese, ma anche per il V4 e per tutta l’Ue. Il primo ministro Viktor Orbán si prepara, infatti al voto, in uno scenario diverso da quello che aveva caratterizzato le elezioni svoltesi dal suo ritorno al potere, ossia dal 2010. Stavolta l’opposizione è riuscita a compattarsi per creare un fronte in funzione elettorale, che schiera Peter Márki-Zay. Si tratta di un blocco composto da diverse anime politiche che vanno dai socialisti ai verdi passando per i centristi, i liberali e i conservatori di Jobbik. Ora, quindi, l’Ungheria contraria all’attuale governo si sente rappresentata e guarda al voto con maggior fiducia.
Orbán si rende conto che quelle dell’anno prossimo saranno elezioni politiche diverse dal solito, più complesse e con dei margini di rischio per l’esecutivo ma ostenta sicurezza sull’esito positivo del voto. Positivo per le forze di governo, ma se il medesimo ha segnato un punto a suo favore con l’approvazione da parte del Parlamento della risoluzione che consente lo svolgimento di un referendum su quella che è conosciuta come “legge anti-Lgbtq”, ha perso con la bocciatura, ad opera della Corte costituzionale ungherese, del ricorso presentato dall’esecutivo contro la Corte di giustizia dell’Unione europea. Un ricorso legato alla condanna pronunciata dalla Corte di giustizia contro l’Ungheria per sistematiche violazioni delle norme Ue a protezione di migranti e profughi che le autorità di frontiera ungheresi respingerebbero regolarmente verso la Serbia.
La vicenda è uno smacco per Orbán e probabilmente ben pochi si aspettavano questo sviluppo. Di fatto, i giudici costituzionali ungheresi si sono limitati a riconoscere l’impossibilità di contestare la decisione della Corte europea e ad affermare l’opportunità, nel caso della giustizia ungherese, di dare la precedenza al diritto nazionale su quello Ue solo qualora gli organi di giustizia dell’Unione non riuscissero a dar luogo a norme chiare, eque e valide nello stesso modo su tutto il territorio dell’Ue. Quello del primato del diritto nazionale è un tema caro al primo ministro ungherese, che aveva espresso il suo sostegno alla sentenza emessa dai giudici costituzionali polacchi in questo senso. Una sentenza che, per Orbán afferma un principio sacrosanto che ha a che fare con la tutela della sovranità nazionale.
L’asse conservatore
In altre parole, per il leader ungherese e per le autorità polacche l’impegno per l’affermazione di questo principio deve continuare. Tale impegno ha visto di recente i leader conservatori europei riuniti a Varsavia in un vertice organizzato per pianificare il futuro del mondo politico conservatore. Questi ultimi hanno chiarito, nella circostanza, di non voler essere solo un’alternativa ma divenire la forza politica di maggior peso in Europa. Parlando a Radio Kossuth, Orbán ha detto che l’obiettivo più importante dei conservatori, a lungo termine, è la creazione di un ampio schieramento formato da partiti che convergono sull’obiettivo di un’Europa anti-immigrazione e pro-famiglia. Per il leader ungherese le norme dell’Ue sono state concepite in tempo di pace e mostrano di essere inadeguate a gestire scenari di crisi.
Come già detto, Budapest e Varsavia hanno una posizione di punta, all’interno del V4, nel conflitto aperto con i vertici Ue sugli aspetti precedentemente citati. Un po’ più defilate le posizioni di Praga e Bratislava, sebbene le medesime siano state partecipi del braccio di ferro su argomenti sensibili quali quello dell’erogazione di fondi vincolata alla condizione di dare ospitalità a migranti e profughi.
Una condizione che più in generale ha a che vedere col rispetto dello stato di Diritto che i governi ungherese e polacco sono accusati di violare con norme inique e contrarie al diritto europeo. Non a caso i due paesi sono nel mirino dell’Articolo 7 e il loro destino è in questo senso ancora da definire. Si sa, comunque, che i due esecutivi si sosterranno a vicenda qualora si profilasse l’applicazione concreta delle sanzioni previste dal diritto comunitario. Gli eventuali sviluppi di questa vicenda andranno seguiti con interesse nel 2022 così come sarà interessante capire l’evoluzione degli equilibri e delle convergenze all’interno del V4. Un gruppo che non va visto come un monolite ma come una costruzione all’interno della quale ci sono non solo condivisioni ma anche posizioni diverse rispetto a determinati argomenti, come ad esempio quello dei rapporti con la Russia.
Foto di copertina EPA/Zoltan Fischer
Nel 30esimo anniversario dalla creazione del Gruppo di Visegrád (che abbiamo ricordato qui), AffarInternazionali cura un ciclo di approfondimenti sui volti che popolano l’universo dei quattro Paesi che fanno parte della formazione (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca), in collaborazione con l’Osservatorio sociale mitteleuropeo (Osme).