Una trasformazione ancora senza direzione
Il tema centrale del prossimo vertice della Nato di Riga (28-29 novembre) sarà nuovamente quello della “trasformazione” dell’alleanza. Non si arriverà però a decisioni di portata storica ed è probabile, anzi, che i risultati siano alquanto modesti. C’è anche il rischio che il vertice si concluda in un sostanziale fallimento, se l’alleanza non troverà il modo di rilanciare la sua missione in Afghanistan, dove la situazione si è andata gravemente deteriorando negli ultimi mesi. La realtà è che, nonostante si siano fatti notevoli sforzi per sanare la frattura del 2003 sulla guerra in Iraq, rimangono sostanziali divergenze strategiche tra gli alleati.
Una Nato globale?
Negli ultimi anni la Nato ha realizzato vari interventi fuori del territorio europeo. Ciò pare aver messo la parola fine al dibattito sulle cosiddette operazioni “fuori area”. “La questione è chiusa”, ha affermato perentorio il Segretario Generale in un’intervista dell’aprile scorso. In realtà, numerosi sono gli ostacoli che l’alleanza ha incontrato sulla via dell’affermazione di un ruolo globale.
Se operazioni di soccorso come quelle realizzate dalla Nato in occasione dell’uragano Katrina e del terremoto in Pakistan sono state ovviamente ben accolte dalla popolazione locale, notevoli controversie sono sorte invece quando l’intervento è stato ipotizzato, o anche effettivamente realizzato, in aree problematiche dal punto di vista politico e strategico.
In Iraq, dati i profondi contrasti tra gli alleati, non è stato possibile attivare la Nato, se non dopo molte discussioni e per funzioni peraltro abbastanza marginali. In Afghanistan, le difficoltà sono venute crescendo. Inoltre. alcuni alleati – francesi in testa – contestano che l’alleanza possa aver un ruolo di primo piano in Medio Oriente, specialmente nella gestione del conflitto israelo-palestinese. In Africa poi non è chiaro se e quando dovrebbe intervenire la Nato e quando l’Unione europea. Insomma, mentre nelle aree critiche dell’Europa, nei Balcani in particolare, la Nato ha un ruolo consolidato perchè c’è non solo una strategia comune, ma anche una divisione di responsabilità sufficientemente chiara tra Nato e Unione europea, fuori dall’Europa, la situazione sembra molto più complessa.
L’idea di una progressiva globalizzazione della Nato piace soprattutto ad americani e britannici (anche se i primi hanno in realtà non poche riserve sull’efficacia dell’alleanza quando si tratta di attuare interventi coercitivi). È loro, fra l’altro, la proposta, di cui si discuterà a Riga, di creare delle partnership tra l’alleanza e alcuni paesi extra-europei, come l’Australia, la Nuova Zelanda, la Corea del Sud e il Giappone, che già contribuiscono in modo sostanziale alle missioni dell’alleanza nel mondo, a cominciare da quella in Afghanistan.
La tesi dei “globalisti” è che, di fronte alle nuove sfide alla sicurezza occidentale, i criteri per stabilire con chi cooperare sono sempre meno di carattere geografico e sempre più di natura politica. Ma anche sotto questo profilo è improbabile che al vertice si facciano grandi passi avanti. Verrà certamente ribadito l’interesse a rafforzare le nuove forme di cooperazione con i paesi extraeuropei summenzionati, ma non si arriverà a una vera e propria istituzionalizzazione di questi rapporti. Molti paesi europei d’altronde guardano con diffidenza a iniziative che possano indebolire la peculiare identità euroatlantica dell’alleanza.
Riga non passerà alla storia neppure come un vertice sull’allargamento, come fu invece quello di Praga del 2002 che aprì le porte dell’alleanza a sette nuovi paesi. È improbabile infatti che un invito formale sia esteso ai tre paesi – Albania, Croazia e Macedonia – che sono già parte del cosiddetto “Membership Action Plan” (Map), un programma volto a sostenere le riforme necessarie per l’ingresso nell’alleanza. Bush si è di recente impegnato pubblicamente a sostenere l’ingresso della Croazia, ma, benchè in effetti quest’ultima sia notevolmente più avanti degli altri due paesi balcanici, è probabile che a Riga ci si limiti a ribadire la cosiddetta “politica della porta aperta” a nuovi membri. In realtà nella Nato, come nell’Unione Europea, si fa sempre più sentire quella “fatica da allargamento” che sta di fatto bloccando nuovi ingressi.
Poco si discuterà dei delicati rapporti tra Nato ed Unione europea. L’accordo più avanzato tra le due organizzazioni rimane il cosiddetto accordo “Berlin plus” del 2002, che dà agli europei la possibilità di condurre missioni proprie utilizzando risorse e mezzi della Nato. Sullo sfondo rimane, tuttavia, il problema della “duplicazione” . In particolare, fuori dai confini europei, dove la divisione di responsabilità e ruoli tra Nato ed Unione europea rimane incerta, le due organizzazioni rischiano di duplicare inutilmente i propri sforzi o, peggio, di entrare in competizione.
L’assenza di una nuova sintesi strategica
Al vertice non sarà approvato un nuovo “concetto strategico”, anche se quello in vigore risale al 1999 e da allora il quadro strategico di riferimento è notevolmente cambiato per effetto in particolare delle nuove forme assunte dal terrorismo internazionale e degli sviluppi nel campo della proliferazione delle armi di distruzione di massa.
A Riga ci si può aspettare al massimo l’apertura di un processo formale di revisione del concetto strategico. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha insistito sulla necessità di tale revisione, proponendo il 2009, quando l’alleanza compierà sessant’anni, come data per il suo completamento. Bush vorrebbe però aver pronto il nuovo documento per il 2008, l’ultimo anno della sua presidenza. Al vertice sarà in ogni caso approvato un documento di poche pagine, la “Comprehensive Political Guidance” (Cpg), in cui si cercano di definire le minacce comuni alla sicurezza occidentale. Sarà un primo passo, ancorchè timido, verso una più complessiva revisione strategica che appare oggettivamente indispensabile.
Limitati saranno anche i progressi sul piano dello sviluppo delle capacità militari. Sarà tra l’altro annunciata la piena operatività della Forza di reazione rapida (Nato Response Force), una forza di circa 25.000 uomini, altamente integrata e tecnologicamente avanzata, in grado di essere dispiegata in teatri lontani da quello europeo con soli pochi giorni di preavviso. Sull’esatto tipo di missioni per cui questa forza sarà impiegata non vi è però ancora pieno consenso tra gli alleati.
L’ombra dell’Afghanistan
Sul vertice incomberà inevitabilmente l’ombra della situazione in Afghanistan che si è andata gravemente deteriorando, mentre i Governi non sembrano disposti a mandare i rinforzi per la missione Nato insistentemente chiesti dal Segretario generale dell’alleanza e dal comandante della missione. Il rifiuto di gran parte degli alleati di accrescere il loro impegno di fronte all’inasprirsi delle ostilità ha riportato in primo piano il problema cruciale della condivisione dei rischi e delle responsabilità. Si tratta di un problema con cui l’alleanza ha dovuto sempre misurarsi, ma che oggi si presenta in modo più acuto e potenzialmente destabilizzante che in passato. In Afghanistan è in gioco peraltro il ruolo globale di sicurezza della Nato, poiché si tratta della sua prima missione militare su larga scala fuori dall’Europa. Anche per questo, il Segretario generale della Nato, parlando delle missioni dell’alleanza, ha definito quella in Afghanistan “la priorità assoluta”. Al vertice verrà rinnovato l’impegno a portare a compimento la missione e potrebbero anche essere annunciate alcune nuove misure per rafforzarla, tra cui l’invio di nuovi mezzi, se non di truppe. Non è chiaro però se saranno discusse anche nuove iniziative politiche – l’Italia ha proposto per esempio una conferenza internazionale sull’Afghanistan – e se, più in generale, verrà avviata una riflessione collettiva sui problemi che la missione si trova ad affrontare in vista di un eventuale cambiamento di strategia.
Un’irrisolta crisi esistenziale
Insomma, fuori dai confini dell’Europa e fuori dall’ambito delle sue prerogative tradizionali, la Nato fa molta fatica ad affermare un suo ruolo perché gli alleati non hanno una visione strategica comune su molte questioni. Se le fosche previsioni dei primi anni ’90, che davano la Nato per defunta dopo la scomparsa della minaccia sovietica, sono state ampiamente smentite, la questione ormai classica della “ragione d’essere” della Nato rimane quanto mai aperta. I risultati modesti che, tutto fa pensare, verranno raggiunti al vertice di Riga ne offriranno probabilmente un’ulteriore dimostrazione.
Per saperne di più:
Transforming Nato. A primer for the Nato Summit in Riga 2006