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Politica estera tedesca

Il grand design di Angela Merkel tra slanci e ostacoli

28 Nov 2007 - Federico Niglia - Federico Niglia

Sotto la guida di Angela Merkel la Germania si sta affermando come un attore centrale per l’individuazione di nuove strategie politiche globali e per la soluzione dei principali problemi che affliggono la comunità internazionale. In quella che potremmo definire come una nuova Weltpolitik confluiscono orientamenti tradizionali e istanze innovative della politica mondiale, frutto della particolare visione internazionale del nuovo cancelliere.

Il rilancio della politica estera tedesca ha preso avvio con il superamento dell’impasse che aveva colpito il processo di integrazione europea dopo il naufragio del trattato costituzionale. Spendendo tutto il suo potere personale, Merkel ha saputo generare consenso e favorire il raggiungimento di un compromesso, tradottosi poi nel trattato firmato il 28 ottobre scorso a Lisbona. In quel negoziato Merkel ha contribuito a salvaguardare le principali riforme funzionali al potenziamento delle capacità di politica estera dell’Unione Europea, prima fra tutte quella che prevede l’istituzione dell’Alto Rappresentante per la politica estera e gli affari di sicurezza.

Coesione europea
In parallelo al consolidamento delle istituzioni, Merkel sta puntando al miglioramento dell’intesa con i leader dei principali paesi europei. Dato il minore dinamismo che caratterizza la politica estera britannica di Gordon Brown rispetto a quella di Tony Blair, è con il presidente francese Nicolas Sarkozy che il cancelliere tedesco sta cercando di porre le basi per una politica estera europea più condivisa. Il tradizionale asse franco-tedesco può rappresentare nuovamente uno strumento di aggregazione per la definizione di una posizione comune europea sui dossier politici più rilevanti. L’interessante convergenza sperimentata di recente tra Parigi e Bonn sulla questione iraniana potrebbe preludere ad un’intesa di più vasta portata.

Un fattore imprescindibile per il successo delle iniziative europee è rappresentato dall’appoggio americano e di questo Merkel sembra essere ben più conscia. L’attuale cancelliere ha saputo superare le incomprensioni che, soprattutto a causa di un quadro internazionale particolare, si erano create tra il suo predecessore e la Casa Bianca. La diplomazia tedesca ha progressivamente riguadagnato credito presso l’alleato americano, al punto che la Germania viene oggi considerata a Washington come un alleato con il quale condividere la responsabilità globale che grava sugli Stati Uniti.

Ripristinati i tradizionali riferimenti della politica estera tedesca, Merkel sta estendendo la sua trama diplomatica ai principali paesi emergenti, considerati partner strategici per delineare nuovi equilibri che permettano di superare l’ingovernabilità che ormai caratterizza il sistema istituzionale internazionale. La recente visita del cancelliere in India, ultima di una serie di iniziative che ha portato Merkel a stringere rapporti con gli esponenti dei paesi più dinamici e strategici a livello internazionale, è estremamente indicativa in proposito. Negli incontri con il premier Singh, il cancelliere, che ha puntato a migliorare i rapporti tra i due paesi e ad approfondire le relazioni commerciali bilaterali, ha cercato soprattutto di trovare una sponda per il rilancio dei negoziati commerciali in ambito Wto e per la promozione di un accordo multilaterale sul clima.

Per il raggiungimento dei suoi obiettivi diplomatici Merkel potrà fare leva anche sulla centralità che la Germania ha riconquistato in ambito economico. Pur dovendo affrontare importanti ristrutturazioni, l’economica tedesca sta dimostrando, soprattutto nella proiezione esterna, un dinamismo estremamente accentuato: primo esportatore mondiale di merci dal 2003, la Germania ha visto nel 2006 il suo export crescere del 13,5%. All’eccellente performance commerciale fa riscontro una crescita estremamente significativa degli investimenti tedeschi all’estero, che, sempre nel 2006, hanno superato i 1.000 miliardi di dollari. Complessivamente considerata, l’economica tedesca può rappresentare un supporto fondamentale per il perseguimento del disegno diplomatico di Merkel, che in questo ricorda molto il suo maestro, Helmut Kohl, il quale seppe imporre, a suon di marchi, tempi e modi della riunificazione tedesca.

I problemi sino-russi
Se tanti e forti sono i fattori che inducono a pensare che Merkel riuscirà nei suoi propositi, altrettanto rilevanti sono gli ostacoli che rischiano di frustrare, o quanto meno limitare, le ambizioni tedesche. Una minaccia giunge oggi proprio da quei paesi che durante il cancellierato Schröder erano considerati degli amici: Russia e Cina. Merkel ha preso posizione contro il rinnovato imperialismo economico di entrambi i governi, i quali, forti degli abnormi introiti derivanti dall’esportazione di energia e di prodotti manifatturieri, minacciano di operare un accaparramento selvaggio di industrie strategiche anche in Europa: il recente allarme lanciato da Berlino contro l’utilizzo politico dei fondi sovrani va letto come un monito diretto ai governi di Mosca e Pechino. Con quest’ultimo Merkel è andata addirittura oltre, criticando apertamente la politica cinese in materia di diritti umani. È probabile che, qualora la diplomazia tedesca continuasse ad avanzare in modo così “irriguardoso”, Russia e Cina sarebbero incentivate ad ostacolare la Germania e a farne fallire le aspirazioni. Un intervento sino-russo in funzione antitedesca potrebbe dispiegare forze tali da incidere anche sull’unità politica europea, inducendo i principali partner della Germania a non seguire il cancelliere fino in fondo: la recente visita di Sarkozy a Pechino, nella quale il presidente francese ha incassato contratti per 20 miliardi di euro facendo cadere ogni riferimento alla questione dei diritti umani in Cina, dà bene il senso di questa eventualità.

A rendere più incerto il quadro contribuisce anche la situazione politica interna della Germania, dove la Grosse Koalition fatica sempre più a mantenersi in equilibrio. Il partito socialdemocratico cerca di uscire dalla morsa in cui è stato spinto da un cancelliere sempre più popolare e da una sinistra estrema che guadagna terreno sfruttando le molte sperequazioni che ancora esistono nel paese. Per raggiungere questo obiettivo l’Spd sta progressivamente abbandonando i toni concilianti usati nella fase di avvio della grande coalizione attaccando in modo sempre più diretto il cancelliere. Fatto paradossale, Merkel viene oggi criticata per il suo impegno in campo internazionale. L’Spd rinfaccia al cancelliere il suo scarso interesse per la politica interna, un concetto chiaramente riassunto da una dichiarazione del capogruppo socialdemocratico al Bundestag, Peter Struck, secondo cui “mentre altri rappresentano il paese all’estero noi lavoriamo per le persone che sono in Germania”. Nonostante il consolidamento di Merkel e del suo partito, l’attuazione del disegno diplomatico del cancelliere necessiterà, anche per un certo tempo, dell’appoggio dell’Spd di cui è stato di recente eletto presidente, Kurt Beck, sostenitore di una svolta a sinistra. Qualora la fine dell’intesa sulla politica estera si consumasse prima dell’emergere di una leadership consolidata verrebbe meno un presupposto interno necessario per la conduzione di una politica estera di alto livello.

Stanti i molti fattori di incertezza internazionale ed interna è difficile prevedere a quali risultati concreti approderà la Weltpolitik di Angela Merkel. È indubbio che il cancelliere continuerà sulla strada intrapresa e cercherà, in un estremo sforzo diplomatico, di ottenere una sanzione formale del nuovo ruolo internazionale della Germania. In questa prospettiva si colloca la ripresa dell’offensiva diplomatica per l’ottenimento di un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’esito positivo di questa campagna sembra essere tutt’altro che scontato, sia per l’esistenza di una netta opposizione italiana e dell’atteggiamento ondivago di paesi come il Brasile e l’India, sia perché non sembra accettabile una riforma del Consiglio di Sicurezza che aggravi ulteriormente lo squilibrio in termini di rappresentanza esistente a favore dei paesi europei. Pur in assenza di un riconoscimento formale, la Germania si avvia comunque a diventare un attore sempre più rilevante della politica mondiale, il cui contributo risulterà imprescindibile per fronteggiare le nuove sfide poste da un mondo policentrico, globalizzato e fortemente instabile.

Altrettanto difficile è dire quali prospettive per l’Italia vengono aperte da questa affermazione internazionale della Germania. In prima battuta sembrerebbe che l’Italia abbia molto da perdere e poco da guadagnare. Se in ambito economico la potenza tedesca sembra relegare ai margini un’Italia sempre meno competitiva, in ambito politico la minaccia appare ancora più rilevante. A parte l’aspirazione tedesca al seggio permanente in Consiglio di Sicurezza, la quale si pone in netto contrasto con la posizione italiana sulla riforma del Consiglio, sul fronte europeo l’incubo di una riedizione dell’asse franco-tedesco targato Merkel-Sarkozy sta tornando ad agitare i sonni dei responsabili della politica estera italiana. A ben guardare, però, i motivi di intesa sono altrettanto se non più forti rispetto a quelli di divisione. Italia e Germania condividono innanzitutto una forte aspirazione al rilancio del processo di integrazione europea e al potenziamento dell’Unione. Su alcuni temi fondamentali, come ad esempio quello dei diritti umani, la convergenza è poi più solida e duratura di quella registrata con altri partner europei. È dunque nell’interesse dell’Italia favorire un’intesa con Berlino sulle principali questioni, spiegando al contempo le perplessità e le obiezioni concernenti alcuni aspetti della politica estera tedesca.