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Balcani

Cameron: una soluzione “atlantista” al nodo del Kosovo

3 Dic 2007 - Emiliano Alessandri - Emiliano Alessandri

Sarà il contesto dell’evento – la prima visita ufficiale di David Cameron negli Stati Uniti da leader del Partito Conservatore britannico – sarà una questione anche di opportunità politica – Cameron è andato a Washington per incontrare George Bush e rassicurarlo che a differenza del premier laburista Gordon Brown, i Tories non hanno ripensamenti sulla “guerra al terrore” – ma il messaggio non dà adito ad equivoci: i Balcani sono sull’orlo di una pericolosa crisi e la soluzione non può che venire da una stretta collaborazione internazionale tra Europa e Stati Uniti, in primo luogo in sede Nato. Cameron ne ha parlato, in particolare, in un discorso alla Brookings Institution di Washington D.C.

Questione occidentale e non solo europea
Cameron non ci sta a ragionare per compartimenti stagni. La questione del Kosovo, su cui sono puntati in questi giorni gli occhi della comunità internazionale, è un importante tassello della più ampia questione balcanica, e la questione balcanica è a tutti gli effetti un problema di ordine internazionale. Sostenere che l’indipendenza del Kosovo è una questione esclusivamente europea, sarebbe come dire che l’Afghanistan è una questione asiatica. La realtà è che nel mondo globalizzato del 21° secolo, ogni crisi locale è potenzialmente anche una crisi internazionale.

Per questo motivo, l’approccio corretto alla questione balcanica nel suo complesso, così come allo specifico contenzioso sul Kosovo, sta nell’aderire a quei principi generali che, secondo il leader conservatore, dovrebbero guidare la politica estera britannica in ogni contesto internazionale: la difesa dell’interesse nazionale si basa sulla “relazione speciale” tra Londra e Washington, e al contempo sulla collaborazione con gli alleati europei nel contesto dell’Unione Europea. Nessuna crisi internazionale, Cameron sottolinea, può trovare soluzione se Stati Uniti ed Europa agiscono separatamente o sono in disaccordo, come la guerra in Iraq ha ampiamente dimostrato. La politica estera britannica, così come quella europea, o è “atlantista”, o è irrilevante, se non fallimentare.

L’attenzione di Cameron è concentrata soprattutto sul Kosovo, il cui futuro si gioca in queste settimane. Il 10 dicembre è infatti la data che le Nazioni Unite hanno fissato per la presentazione del rapporto sull’esito dei negoziati sullo status finale del Kosovo. Ma per capire la questione del Kosovo, il leader dell’opposizione inglese invita a guardare all’indipendenza kosovara da una prospettiva storica. Dal capitolo nero della guerra balcanica degli anni ’90 si uscì, sottolinea Cameron, non grazie all’Europa, ma grazie all’America, così come fu su scala più larga per il primo e secondo conflitto mondiale. Furono gli Stati Uniti sotto l’allora presidenza Clinton a porre fine alla tragedia dei Balcani intervenendo militarmente e costringendo poi i leader dell’ex-Jugoslavia a firmare gli accordi di Dayton del 1995. Laddove, invece, l’Europa si scoprì divisa ed impotente. Fu in quella occasione, Cameron sottolinea, che l’Europa imparò la dolorosa lezione che anche dopo la caduta del muro di Berlino gli Stati Uniti sarebbero rimasti un fattore necessario della equazione di sicurezza europea.

Quando quattro anni più tardi il leader serbo Slobodan Milosevic minacciò di nuovo la pace e stabilità dei Balcani rendendo il suo governo protagonista di una spietata repressione della popolazione albanese nella provincia del Kosovo, l’Europa agì questa volta prontamente, dimostrando di aver imparato la lezione. La Nato fu usata allora con efficacia per fermare l’escalation del conflitto. Il popolo serbo, Cameron nota, diede successivamente prova di coraggio e indipendenza quando decise di imboccare il cammino della transizione democratica e dotarsi di una nuova leadership politica pronta al dialogo con il resto dell’Europa e dell’Occidente.

Strategia della fermezza
Questa lettura strettamente atlantista delle vicende balcaniche degli ultimi anni si riflette in una interpretazione analoga della soluzione alla presente crisi. Per Cameron, i prodromi della crisi sono da individuarsi nel rifiuto che il governo serbo ha opposto nel marzo scorso al piano di “supervised independence” elaborato dalle Nazioni Unite ed accettato dalle autorità albanesi del Kosovo. Quello, per Cameron, fu non solo uno schiaffo alla minoranza albanese in Serbia, ma uno schiaffo all’Occidente e alla sua idea di ordine regionale nei Balcani. La dimostrazione, per Cameron, sta nella minaccia da parte del primo ministro serbo Kostunica di sostenere l’indipendenza della Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina se la comunità internazionale sancisse l’indipendenza del Kosovo contro il parere del governo serbo. È proprio questa connessione che il leader serbo intende stabilire tra questione kosovara e l’ordine della Bosnia deciso a Dayton, rischiando così di far precipitare l’intera regione balcanica in una nuova, incontrollabile, crisi.

Di fronte a questa sfida, secondo Cameron, Stati Uniti ed Europa devono rispondere con coerenza e fermezza. Il governo serbo deve sapere che nessuno degli articoli dell’accordo di Dayton di cui la Serbia stessa è firmataria, è negoziabile. Dayton è la base dell’ordine dei Balcani e quell’ordine, per quanto imperfetto e non ancora completamente stabile, non è in discussione. Il governo serbo deve inoltre accettare una realtà che non può che venir prima di ogni altra considerazione politica o storica.

La popolazione attuale del Kosovo è per oltre il 90% composta da albanesi. Dopo la repressione del 1999, è semplicemente inimmaginabile che gli albanesi del Kosovo accettino di vivere sotto l’autorità serba. Ogni tentativo da parte del governo serbo di negare questa “verità” e decidere in via unilaterale il futuro del Kosovo si scontrerebbe inevitabilmente con la dura reazione dell’Occidente.

Uso della forza da parte della Nato?
Cameron non esclude il ricorso all’uso della forza militare da parte della Nato se il governo serbo intendesse nuovamente minare la base dell’ordine internazionale che l’Occidente ha stabilito nei Balcani. In questo contesto, il leader dell’opposizione inglese invita la Russia, che ha preso le parti della Serbia, a usare il proprio potere nella regione come risorsa di stabilità, non come fonte di tensione tra essa e l’Occidente. L’atlantismo del leader conservatore inglese si spinge fino al punto di prospettare una “coalizione dei volenterosi” guidata da Stati Uniti e Gran Bretagna se l’Unione Europea non trovasse al proprio interno il consenso necessario per arrestare l’escalation verso un nuovo conflitto balcanico.

Proprio perché in realtà è solo un tassello del più ampio ordine europeo e occidentale, Cameron invita il governo serbo a valutare i benefici che potrebbe trarre da un approccio collaborativo alla soluzione della questione del Kosovo. Il governo serbo deve sapere, spiega Cameron, che se accetterà le regole dell’ordine occidentale, le strade sono aperte per l’ingresso della Serbia nell’Unione Europea. Questo è ciò che chiedono le nuove generazioni. Questo è ciò che darebbe un futuro stabile alla economia serba.

Anche qui, tuttavia, Cameron chiede fermezza. È sbagliato, sostiene, mettere in discussione ciò che l’Unione europea ha fin dal principio considerato come una condizione preliminare ai negoziati, vale a dire la consegna alle autorità giudiziarie internazionali dei criminali di guerra serbi. Questo sarebbe un “appeasement” inaccettabile. Invece di tentennare sulla difesa dei principi che ha giustamente sancito, l’Europa dovrebbe invece, secondo Cameron, imprimere una nuova accelerazione al processo di allargamento che dopo l’ingresso di paesi dell’Europa centrale ed orientale non può ora arenarsi nell’area strategica dei Balcani. In Francia in particolare, il leader conservatore lamenta, sembra registrarsi un’opposizione crescente al processo di allargamento.

Insomma, il leader dell’opposizione inglese prepara la sua battaglia personale e politica per la futura guida della Gran Bretagna con un messaggio forte e chiaro. L’Europa cui egli guarda è un’Europa unita e ancora più larga di quella attuale fino ad includere l’intera area balcanica. Ma è anche un’Europa che non esiste politicamente se non come alleato naturale degli Stati Uniti. La nuova bomba balcanica si può ancora disinnescare, ma solo se nell’affrontare la questione del Kosovo i leader europei saranno pronti ad ammettere che l’ordine europeo è parte integrante di un più ampio ordine atlantico. E che la politica estera dei singoli governi europei e dell’Unione europea nel suo complesso, o è atlantista fino in fondo, oppure non persegue il “vero” interesse dell’Europa.