Obama in Europa e Medioriente: sarà ancora luna di miele?
Barack Obama compierà a breve un viaggio “storico” per alcune capitali europee e del Medio Oriente come pretendente alla presidenza di un’America che si batte contro il declino economico e teme la sconfitta militare. La priorità è quella di uscire dalla guerra piuttosto che riscuotere i dividendi della pace. Per quanto affascinati dallo stesso messaggio che ha conquistato milioni di americani (“change”) ciò che i popoli d’oltreoceano si attendono è che la svolta che Obama intende imprimere alla politica estera americana passi anche per un maggior coinvolgimento dell’Europa nella gestione dell’ordine internazionale.
La visione di Obama dell’Europa: ancora un punto interrogativo
I sondaggi rivelano che l’Europa tutta accoglierebbe con favore la sua elezione. Per evitare che questa luna di miele basata sul comune rifiuto del “bushismo” termini bruscamente quando, se eletto presidente, Obama si cimenterà con i pesanti dossier ereditati dall’amministrazione Bush, il messaggio di cambiamento dovrà essere, in un certo senso, concordato con gli europei. Il rischio, in caso contrario, sarebbe una delusione ancora più profonda di quella che seguì la rielezione di Bush, e una pericolosa normalizzazione delle tensioni transatlantiche.
C’è un contrasto evidente, ma curiosamente trascurato, tra il credito che la maggioranza degli europei hanno aperto nei confronti di Obama e le sue effettive credenziali quando si parla di Europa. È stato notato polemicamente che come presidente della sottocommissione affari europei del Senato, Obama non ha assunto alcuna iniziativa di rilievo. Molti concordano che, se non altro per via delle sue radici familiari, il candidato afroamericano non ha alcuna predilezione innata per l’Europa. Nel suo libro più recente, The Audacity of Hope, Obama non menziona quasi mai l’Europa. Il capitolo dedicato alla politica estera offre una prospettiva “globale” e al contempo fortemente americano-centrica della realtà internazionale, in cui la dimensione transatlantica svanisce quasi completamente.
Il programma per le relazioni con l’Europa, inoltre, è per il momento tratteggiato in modo abbastanza vago. Si parla di rilanciare l’Alleanza Atlantica, ma non risulta chiaro cosa si intenda esattamente per “rallying the Nato members”. Sul futuro del Kosovo o i rapporti con la Russia, Obama da’ per scontato un consenso che invece è da costruire. Sull’ulteriore allargamento della Nato e la difesa missilistica, rischia invece di incontrare resistenza da parte europea, anche se le sue proposte hanno un carattere deliberatamente meno assertivo di quelle di Bush.
Lascia perplessi la vaghezza con cui è affrontato il tema dei rapporti tra Stati Uniti ed Unione europea, anche se il programma enfatizza che un’Europa unita, forte e in pace è nell’interesse dell’America. Elusivo rimane in particolare il rapporto tra Nato ed Ue, su cui invece il repubblicano McCain si è espresso in modo articolato, anche se non privo di ambiguità.
Un punto da chiarire è quello (avanzato da McCain) di una “Lega delle Democrazie” da coinvolgere nella gestione delle crisi internazionali. L’idea è stata accolta con freddezza dalle cancellerie europee che vedono in essa almeno due rischi: l’esautorazione di fatto, se non di diritto, delle Nazioni Unite, e la diluizione della relazione transatlantica in un più ampio consesso aperto a un numero imprecisato di non ben identificate “democrazie”. Tra i consiglieri di Obama figurano alcuni dei sostenitori di questa proposta, come l’ex consigliere di Bill Clinton, Tony Lake.
La centralità del Medio Oriente
Tali ambiguità, per quanto non trascurabili, non costituiscono di per sé un ostacolo insormontabile sul cammino di una relazione transatlantica più solida. Ciò che gli europei sembrano apprezzare di più della candidatura Obama, non sono tanto le sue specifiche credenziali, quanto l’approccio generale che ispira il suo programma: il rilancio del multilateralismo, che per l’Europa pare essere diventato un elemento quasi “identitario” dopo la “deriva unilateralista” di Bush. In ultima analisi è possibile che il futuro della relazione transatlantica venga influenzato principalmente dalle proposte di Obama per il Medio Oriente, perché è in quella regione che, nel bene o nel male, le tensioni internazionali si sono concentrate negli ultimi anni. E qui arrivano sia buone notizie sia nuovi nodi da sciogliere.
Il ritiro dall’Iraq cui Obama si è solennemente impegnato con gli americani è anche una risposta alle richieste europee, quasi una rivincita di quell’Europa che sull’Iraq scatenò una vera e propria “crisi transatlantica” nel 2003. Il problema, tuttavia, resta quello di essersi assunto un impegno che difficilmente potrà essere mantenuto nei tempi indicati.
La disponibilità ad intavolare negoziati diretti con Teheran ha anch’essa un potenziale positivo perché allontana la prospettiva di una nuova guerra. Almeno due, tuttavia, sono i rischi da evitare. Il primo è che gli europei si rifugino in una difesa ad oltranza del quadro attuale, assumendo paradossalmente una posizione più intransigente di Washington sulle condizioni per un progresso dei negoziati. Come viene notato dai consiglieri di Obama, negoziare con Teheran in assenza di una sospensione del programma di arricchimento dell’uranio non viola le risoluzioni Onu, che chiedono sanzioni se il programma continua, non che la diplomazia si fermi. Il secondo rischio è che il ritorno ad una diplomazia diretta con l’Iran si traduca in una marginalizzazione dell’Europa. Così come Washington verificherà il multilateralismo europeo in Afghanistan, anche l’Ue potrebbe voler verificare la disponibilità multilaterale della nuova amministrazione americane in Iran.
Obama insiste sul fatto che l’Afghanistan rimane centrale nella campagna anti-terrorismo. Gli europei concordano, ma mostrano non poche esitazioni dal punto di vista operativo. Per quanto legittima, la richiesta di una definizione degli obiettivi politici della missione prima di stanziare nuove risorse, potrebbe essere letta a Washington come un ulteriore rinvio. Obama, da parte sua, dovrà chiarire se gli Usa continueranno a condurre una missione separata, una decisione che restituisce un’immagine se non altro di confusione e sdoppiamento della strategia occidentale.
Paradossalmente, la questione palestinese, proprio perché retrocessa nella classifica delle priorità dell’amministrazione Bush, potrà ora offrire ampi spazi per la cooperazione transatlantica, nonostante esistano divergenze di approccio. Washington ha lanciato iniziative in gran stile, come Annapolis, ma poi non ha effettivamente speso tutto il suo potere negoziale. Condoleezza Rice ha compiuto numerosi viaggi in Israele, ma raramente con un obiettivo chiaro. Il ritorno di Washington al ruolo di “broker” è di per sé un elemento positivo per gli interessi occidentali nella regione.
L’Europa che Obama incontrerà durante il suo viaggio è un’Europa disorientata dopo il no Irlandese al Trattato di Lisbona. È tuttavia anche un’Europa che, proprio perché affaticata dal processo di integrazione, fa leva sui suoi leader nazionali. Nelle sue soste a Londra, Parigi e Berlino, Obama incontrerà leader europei contenti di lasciarsi alle spalle l’era Bush. Sentire le loro ragioni per coinvolgerli in un messaggio comune di cambiamento è la sfida di Obama.