IAI
Annuario Iai-Ispi 2010

Sei scenari sulla politica estera dell’Italia

18 Mar 2010 - Ettore Greco - Ettore Greco

L’Italia è in affanno. In un mondo dagli equilibri mutevoli e sempre più multipolare, fatica a definire una coerente strategia di politica estera. Non è, come in passato, un problema di collocazione – la famosa “scelta di campo” – ma di status e di ruolo. Da sempre convinti sostenitori del G7/G8, ci ritroviamo ora in consessi molto più ampi, come il G20, dove i giochi sono più complessi e il nostro peso relativo molto minore. E, come gli altri europei, guardiamo con apprensione all’ascesa del G2. Siamo saldamente integrati in Europa, ma stentiamo a restare, o a farci accettare, nei gruppi di testa.

E più l’Unione si allarga, più dobbiamo preoccuparci di non diventare periferici. Cerchiamo di tener fede ai compiti che ci siamo assunti in sede Nato, ma, con un bilancio della difesa in caduta libera, la nostra credibilità è a rischio. Contribuiamo più di altri ad alcune attività Onu, incluse le missioni di pace, ma importanti impegni globali, come gli aiuti allo sviluppo o il contrasto ai cambiamenti climatici, non ci vedono certo all’avanguardia. Abbiamo compiuto un grande sforzo per internazionalizzarci, ma, avendo difficoltà a fare sistema, siamo rimasti al palo in molti mercati emergenti, mentre le nostre quote traballano in quelli più maturi.

L’orizzonte europeo
Problemi analoghi, si dirà, affliggono anche gli altri paesi europei. La perdita di peso a livello internazionale non è certo solo un nostro assillo. E, in ultima analisi, si può aggiungere, solo se riusciremo a cooperare di più e a integrarci meglio con i nostri partner europei possiamo sperare di incidere sugli assetti globali. Ma non possiamo nasconderci che l’Italia risente di alcune tradizionali debolezze che, fra l’altro, sono spesso all’origine anche delle difficoltà che abbiamo in sede europea. L’Ue può anche, in certi casi, servire da ciambella di salvataggio – il test della Grecia ci dirà molto al riguardo – e pone vincoli esterni che possono risultare utili in certe circostanze, ma dovremmo imparare a considerarla soprattutto come il terreno su cui si misurano le nostre capacità, a cominciare da quella di fare squadra, in cui raramente eccelliamo. Ma più in generale c’è da noi, più che altrove, una certa riluttanza a prendere atto che il mondo è cambiato e che serve quindi un ripensamento strategico complessivo.

Dobbiamo invece tornare a ridiscutere seriamente del ruolo internazionale dell’Italia. Il che significa anche esaminare con più attenzione i nostri interessi nazionali. L’importante è l’ottica in cui lo si fa. Se quella miope e rivendicazionista, un po’ predatoria, che punta ai vantaggi immediati, tipica di chi non sa ragionare che in termini di gioco a somma zero. O in un’ottica di più ampio respiro, che metta al centro dell’analisi le nuove sfide globali e gli strumenti necessari per affrontarli. È questa seconda prospettiva che hanno adottato lo Iai e l’Ispi nell’elaborare il rapporto di sintesi del nuovo annuario sulla politica estera italiana, che uscirà a maggio per i tipi de Il Mulino.

Il rapporto delinea sei possibili scenari di evoluzione della politica estera italiana che corrispondono ad altrettante opzioni strategiche. Le si può sintetizzare come segue.

Ripiegamento nazionalistico – In difficoltà ad affrontare le nuove sfide l’Italia potrebbe diventare preda di un riflesso difensivo e di chiusura, ritraendosi dai contesti di cooperazione e sviluppando atteggiamenti antagonistici, quelli propri del free rider. A livello europeo ciò potrebbe manifestarsi in ricorrenti tentativi di delegittimare le istituzioni comunitarie o di contestarne alcune prerogative, a livello globale in un disimpegno dalle iniziative e missioni multilaterali. In campo economico prevarrebbero orientamenti protezionistici. Il rischio sarebbe quello di rimanere intrappolati in un tipico circolo vizioso: le politiche più assertive con cui si vorrebbero evitare il declino e la marginalizzazione, finirebbero molto probabilmente per accelerarli, poiché creerebbero un clima di sfiducia, se non di sospetto, anche nei rapporti con i partner tradizionali. Ogni deriva nazionalistica tende infatti a ritorcersi contro gli stati che vi si abbandonano, specie se non dispongono delle risorse e capacità necessarie per condurre politiche unilaterali.

Ricerca di alleanze speciali – Di fronte allo slabbrarsi del tessuto multilaterale l’Italia potrebbe invece cercare sostegno e protezione in uno stato più potente in grado di esercitare un’egemonia efficace anche al di fuori dei contesti istituzionali. L’Italia si rassegnerebbe in questo caso a un ruolo subordinato, di fedele scudiero, con un limitato margine di manovra per cambiare orientamenti e politiche del potente alleato. In realtà, l’unica opzione in cui questo scenario potrebbe concretizzarsi è il rilancio di una partnership speciale con gli Stati Uniti. Facendovi affidamento si potrebbe sperare, fra l’altro, di sostenere costi minori di quelli di una politica più attiva e autonoma. Un rapporto di forte subordinazione agli Usa lascerebbe però poco spazio all’Italia in vari ambiti e settori della politica internazionale e andrebbe a scapito del suo ruolo in Europa. Ma c’è un altro punto debole di questa opzione: è improbabile che gli Usa siano disposti a impegnarsi – e a investire – in una partnership speciale con l’Italia, essendo cambiato radicalmente il baricentro geografico dei loro interessi e preoccupazioni.

Diplomazia degli affari – In questo scenario l’Italia sceglierebbe di concentrare i suoi sforzi nella promozione dei suoi interessi economici anche se talora ciò non fosse in sintonia con consolidate posizioni europee e transatlantiche. La presenza internazionale del paese si estrinsecherebbe prevalentemente in una spregiudicata diplomazia degli affari verso le aree e i paesi più dinamici e promettenti. Questo approccio da commesso viaggiatore potrebbe permettere all’Italia di sfruttare al meglio le opportunità di mercato, favorendone la sprovincializzazione. Ma è dubbio che si possano tenere distinti i rapporti economici da quelli politici e di sicurezza. Il rischio è di ritrovarsi economicamente esposti in Stati instabili e con cui potrebbero crescere le tensioni politiche. Se poi ciò implicasse entrare in contrasto con gli impegni assunti a livello internazionale, la reputazione del paese non potrebbe non risentirne.

Piccolo cabotaggio – In difficoltà a dare un preciso orientamento alla sua politica estera, l’Italia potrebbe, più o meno consapevolmente, rassegnarsi a un pragmatismo di basso profilo, tipico del navigatore a vista. Vivrebbe un po’ alla giornata: non rimetterebbe in discussione le alleanze e le partnership esistenti, ma non si impegnerebbe fino in fondo nell’attuazione degli impegni che ne derivano; cercherebbe di difendere con più decisione questo o quel suo interesse particolare, ma evitando conflitti dirompenti; continuerebbe a contribuire a varie iniziative internazionali, ma restando ai margini dei processi decisionali che contano. È un approccio che potrebbe metterla al riparo dal rischio dell’isolamento, ma non da quello della marginalizzazione. Equivarrebbe in pratica ad accettare passivamente una progressiva perdita di status a livello internazionale. Inoltre, con atteggiamenti incerti e ondivaghi, si suscita una percezione di incoerenza e inaffidabilità negli altri attori internazionali, dandogli il motivo, o il pretesto, per escluderci.

Idealismo delle nobili cause – Per ridare smalto e credibilità al suo ruolo internazionale l’Italia potrebbe puntare a un recupero della dimensione etica della sua politica estera, facendosi paladina di nobili cause, come la democratizzazione degli Stati autoritari, la tutela dei diritti umani e il riequilibrio tra Nord e Sud del mondo. Un approccio da cavaliere dell’ideale con cui l’Italia potrebbe sperare di rafforzare il proprio ruolo in alcuni consessi internazionali. L’esperienza però insegna che è molto difficile fondare la politica estera su principi etici. Si rischia facilmente di cadere in contraddizione, esponendosi all’accusa di praticare un doppio standard. Inoltre, se si ponesse come precondizione il rispetto dei principi e standard già acquisiti in Occidente, ci si precluderebbe la cooperazione con alcune potenze emergenti, dal cui coinvolgimento non si può più prescindere. Infine progetti come la “comunità delle democrazie”, se promossi in alternativa all’Onu, potrebbero avere un effetto destabilizzante, anziché aggregante, nell’attuale scenario internazionale.

Multilateralismo – In questo scenario si darebbe priorità all’impegno nella cooperazione multilaterale e alla partecipazione ai processi di integrazione a livello europeo, nella convinzione che questa sia la via maestra per dare un assetto stabile a un mondo globalizzato. L’adesione al multilateralismo può però assumere due forme assai diverse fra loro: una essenzialmente passiva, che vede nelle istituzioni internazionali soprattutto un utile ancoraggio o dei contesti in cui rimarcare una presenza e difendere il proprio status; un’altra più dinamica e propositiva che, senza temere di discutere strutture e pratiche consolidate, si pone il problema, a seconda delle diverse situazioni, della loro revisione, aggiornamento o approfondimento. Nel primo caso abbiamo una posizione difensiva di fronte ai processi di trasformazione o di passiva accettazione degli stessi. Nel secondo caso, invece, ci si mette nella logica dell’attore protagonista che cerca di dare un contributo fattivo al miglioramento delle istituzioni. Per un paese come l’Italia la capacità di iniziativa è fondamentale soprattutto a livello europeo. È infatti attraverso una più forte solidarietà e coesione europea che l’Italia può sperare di incidere sugli equilibri mondiali, preservando il suo stesso ruolo. Questa opzione in favore di un multilateralismo attivo è però particolarmente impegnativa perché richiede non solo la conferma degli impegni internazionali, ma anche una disponibilità ad attuare quelle riforme interne che sono necessarie per renderli credibili e sostenibili nel tempo.

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Vedi anche:

L’Italia e la trasformazione dello scenario internazionale fra rischi di marginalizzazione e nuove responsabilità

S. Silvestri: I ritardi dell’Italia in un mondo che cambia

B. Biancheri: La politica estera italiana tra multilateralismo e nuovi slanci bilaterali