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Vent’anni dalla riunificazione

Germania capoclasse dell’Europa

28 Set 2010 - Federico Niglia - Federico Niglia

In questi tempi di crisi è estremamente diffusa, tra i commentatori politici ed economici italiani, l’esortazione a “fare come i tedeschi”. Guardando alla Germania, il paese europeo che meglio degli altri ha saputo rispondere alla crisi, si invoca spesso l’adozione, nei campi più disparati, di questo o quell’aspetto del sistema tedesco: chi ne vuole importare il sistema elettorale, chi la cogestione sindacale, chi la politica dell’export e così via. Dietro a queste invocazioni, che spesso nascondono visioni stereotipate della Germania, vi è comunque l’apprezzamento per un paese che negli ultimi venti anni ha saputo ripensarsi e imporsi come un modello di riferimento. Il ventennale della riunificazione è un’occasione per un bilancio degli sviluppi che hanno caratterizzato la Germania.

Vent’anni di fatiche
Secondo diverse stime il costo della riunificazione si aggira attorno ai 1.500 miliardi di euro: quest’enorme cifra è stata in gran parte spesa per colmare il divario socio-economico esistente tra i Länder occidentali e quelli orientali. Più che per riformare un apparato industriale e produttivo obsoleto, i maggiori sforzi sono stati volti a ricreare quel capitale umano che vent’anni di nazismo e quaranta di comunismo avevano mortificato nella Germania orientale. Negli anni novanta erano diffusi i dubbi circa la reale possibilità di “recuperare” l’ex Ddr, dalla quale giungevano pericolosi segnali di stagnazione e di rigurgito dell’estremismo: l’incessante trasferimento di giovani in età da lavoro verso le regioni occidentali, l’emergere di problemi di instabilità sociale, il radicarsi di gruppi estremisti di matrice neonazista o veterocomunista, tutti questi elementi facevano presagire una sorte non certo luminosa per quella che un tempo era stata la culla della nazione tedesca.

Le recenti analisi hanno fugato molte di queste preoccupazioni, mostrando come i trend di crescita delle regioni orientali si siano progressivamente allineati su quelli delle regioni occidentali: una recente ricerca del Deutsche Institut für Wirtschaftsforschung di Berlino prevede anzi che entro il 2019 il reddito prodotto dai Länder orientali raggiungerà il livello di quelli occidentali(1). Una tale convergenza economica potrebbe favorire, in prospettiva, anche un riavvicinamento a livello di struttura sociale.

La grande novità della Germania riunificata va però ricercata, forse più che negli andamenti economici, nella psicologia collettiva. Si è assistito a una riscoperta dell’identità nazionale da parte dell’opinione pubblica. In questi anni i tedeschi hanno preso definitivamente le distanze dalle pagine più cupe della loro storia nazionale, facendo i conti con quello che sembrava destinato a rimanere un “passato che non passa”. Cresciuti senza poter fare riferimento ad un’eredità storica, i tedeschi hanno per lungo tempo faticato ad ammettere che la Germania potesse assumere nuovamente la leadership dell’Europa occidentale. Il principale approdo della Germania riunificata sta invece proprio in questo: nella volontà esplicita della classe dirigente politica, economica e culturale del paese di farsi carico delle ambiziose responsabilità del “capoclasse”.

Nuova leadership
Tutto questo spiega l’evoluzione della politica tedesca nel contesto europeo e globale dalla seconda metà degli anni novanta ad oggi. La Germania, condizionata fino al 1990 dalla divisione del paese, a partire dalla seconda metà di quel decennio ha iniziato ad essere sempre più assertiva, pur senza rinnegare lo spirito di collaborazione europea ed internazionale che aveva sempre caratterizzato la Repubblica federale tedesca.

I due cancellieri che si sono succeduti dal 1998 ad oggi, il socialdemocratico Gerhard Schröder e la cristiano-democratica Angela Merkel, hanno agito con continuità per trasformare la Germania in uno dei paesi più all’avanguardia sia in Europa che nel mondo. Diversi sono gli ambiti in cui il processo di rinnovamento è stato perseguito con successo, ma quello delle politiche ambientali esemplifica forse meglio di altri la portata delle riforme attuate: il paese, che al momento della riunificazione presentava una condizione ambientale non particolarmente felice anche a causa delle produzioni altamente inquinanti ancora attive nell’Est, è oggi il leader mondiale della green economy. E, secondo le statistiche, la crisi non ha arrestato questo processo di trasformazione interna.

Questi cambiamenti si riverberano anche sugli orientamenti della politica estera tedesca. La Germania si è affermata come una delle pietre angolari del sistema di governante politica ed economica globale. Il suo contributo è oramai imprescindibile per la definizione degli equilibri globali e per la definizione dell’agenda internazionale: lo si è visto nei vertici G8 e G20, nei negoziati “5+1” sull’Iran, nonché nella fallita conferenza Onu di Copenhagen sul clima. È inoltre una Germania che, superando una remora legata alla memoria della guerra, è oggi disposta ad impegnarsi anche militarmente per la stabilizzazione delle aree di crisi.

Cooperare con il “capoclasse”?
Questa indiscussa leadership nei diversi ambiti della vita internazionale rappresenta una grande ricchezza per l’Europa, che attraverso la Germania, può rafforzare la propria proiezione a livello globale. Dal punto di vista dell’Unione europea, la crescita politica ed economica della Germania rappresenta inoltre un importante fattore propulsivo: convergendo verso gli standard tedeschi gli altri membri dell’Ue possono procedere sul cammino delle riforme interne e rafforzare così l’Unione stessa.

Ma non mancano i risvolti spiacevoli. Forte delle sue convinzioni e capace di imporle in modo più vigoroso che in passato, la Germania rappresenta un partner meno accomodante di alcuni anni fa. Non più ricattabile, come prima del 1990, sul tema della riunificazione, la Germania odierna ha adottato un linguaggio più diretto e assertivo non solo verso paesi terzi, ma anche verso alleati e amici. Non sono mancati i momenti in cui i tedeschi hanno “bacchettato” i partner europei meno virtuosi: gli italiani lo hanno sperimentato in diverse occasioni, nei negoziati per l’elaborazione della strategia energia/ambiente dell’Ue come nella definizione delle misure di salvataggio della Grecia dalla crisi.

A ciò si aggiunga il fatto che la Germania ricorda sempre meno quella locomotiva che nei momenti difficili aveva risollevato l’economia europea: come peraltro già sottolineato su questa rivista(2), si va creando un crescente divario tra i paesi più avanzati dell’Unione e quelli che più faticano a rispondere alla crisi e alle pressioni provenienti dalla concorrenza globale.

Dati questi sviluppi, si può prevedere un’interazione sempre più problematica tra i paesi europei più virtuosi e quelli che lo sono meno, soprattutto nella formulazione delle strategie dell’Unione per far fronte alle grandi sfide globali: dietro a una convergenza di facciata si profila infatti un confronto tra paesi con visioni, risorse e potenzialità profondamente diverse.

Le divergenze crescenti non devono però rappresentare una scusante per evitare il dialogo. È vero: nel corso di questi ultimi venti anni la Germania è cambiata, ma è cambiata certamente in meglio, e questo per l’Europa e per l’Italia è una risorsa, non un problema.

(1) Karl Brenke, Klaus F. Zimmermann (a cura di), Die Wirtschaft in Ostdeutschland 20 Jahre nach dem Fall der Mauer: Rückblick, Bestandsaufnahme, Perspektiven, «Vierteljahrshefte zur Wirtschaftsforschung», n. 2/2009. http://www.diw.de/sixcms/detail.php?id=diw_02.c.298950.de.
(2) Paolo Guerrieri, Le due facce della ripresa europea, 10/09/2010, https://www.archivio-affarinternazionali.it/archivio/articolo.asp?ID=1542

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Vedi anche:

C. Merlini: L’asse franco-tedesco, la cabina di regia dell’Ue e il ruolo dell’Italia