Italiani tifano Obama, ma hanno dubbi
La crisi economica e le difficoltà sia dell’Unione europea che dell’amministrazione americana a rilanciare la ripresa non hanno intaccato il tradizionale europeismo e atlantismo degli italiani, che anzi continuano a vantare un primato in Europa su entrambi i fronti. A due mesi da elezioni di medio termine che si preannunciano ad alto rischio per il partito di Obama, gli ultimi dati sugli orientamenti dell’opinione pubblica confermano, in Italia più che in altri paesi europei, la positiva inversione di tendenza nei rapporti transatlantici avviata quasi due anni fa con l’elezione del nuovo presidente. Ad una lettura più attenta, tuttavia, emergono alcune divergenze di fondo che potrebbero aggravarsi in vista degli impegnativi, e per certi versi insidiosi, appuntamenti internazionali dei prossimi mesi. È quanto si evince dal Transatlantic Trends 2010, lo studio sugli orientamenti delle opinioni pubbliche europee e americana realizzato dal German Marshall Fund e dalla Compagnia di San Paolo, giunto alla nona edizione.
Consenso ad ampio spettro
L’Italia è il paese in cui, insieme alla Germania, il gradimento per la politica internazionale del Presidente americano rimane tra i più alti (84%): ben oltre la media europea (78%), anche se c’è una leggera flessione rispetto alle stellari aspettative registrate lo scorso anno, pochi mesi dopo l’insediamento (91%). Su questo risultato influisce certamente anche il consenso bipartisan per il modo in cui Obama ha gestito i rapporti bilaterali con l’Italia: 91%, ben venti punti oltre la media degli altri paesi europei. Un dato che dimostra, tra l’altro, che la fine della special relationship che esisteva tra il presidente Berlusconi e l’ex presidente Bush non ha avuto alcuna ripercussione, nella percezione pubblica, sui rapporti bilaterali, che funzionano anche a prescindere dalle amicizie personali.
Questo entusiasmo per gli Usa comincia tuttavia a scemare, anche se in Italia meno che altrove, quando dalla valutazione generale si passa all’analisi delle specifiche politiche: una maggioranza più modesta, ma comunque significativa di italiani intervistati (62% rispetto ad una media europea del 49%) valuta positivamente le scelte dell’amministrazione Obama in Afghanistan; un’ampia maggioranza ne apprezza l’impegno nella lotta ai cambiamenti climatici (76% contro il 61% degli europei), la strategia adottata nei confronti dell’Iran (65% contro il 58%) e della Russia (74% contro il 65%), così come per l’allentamento delle tensioni in Medio Oriente (72% contro il 59%). L’apprezzamento per l’impegno profuso da Obama per migliorare il clima dei rapporti internazionali fa dunque premio, per italiani ed europei più che per gli americani, sugli scarsi risultati fino ad ora ottenuti sui diversi dossier, anche se non è scontato che questa apertura di credito duri ancora a lungo.
I nodi Afghanistan e Iran
Lo conferma, tra l’altro, l’ulteriore decremento di quanti si dichiarano ottimisti sulla stabilizzazione dell’Afghanistan, in netto calo anche in Italia (28%, – 11% rispetto a un anno fa). Se in tutta Europa cresce il numero (ormai siamo al 64%) di quanti vorrebbero la riduzione o il ritiro dei propri contingenti dall’Afghanistan, gli italiani si dividono: circa un terzo (34%) vorrebbe mantenere l’attuale presenza militare, ma sempre un terzo (35%), preferirebbe il ritiro. Uno su quattro si accontenta invece di una riduzione dei soldati.
Sia gli americani che gli italiani sono fortemente preoccupanti per la prospettiva di un Iran dotato di armi nucleari (86% negli Usa e 88% in Italia, la più alta nell’Ue), anche se le divergenze diventano nette quando si passa all’analisi delle misure da adottare: in linea con gli europei, gli italiani prediligono gli incentivi economici (35%), gli americani le sanzioni (43%). Il ricorso all’opzione militare quando sono percorribili altre misure è invece largamente impopolare su entrambe le sponde dell’Atlantico (6% in Europa e 9% negli Usa). Ma se tutte le altre ipotesi si rivelassero inefficaci, il numero di quanti sarebbero disposti ad intraprendere un’azione militare per evitare che l’Iran si doti di un arsenale nucleare diventano il 46% in Italia (rispetto alla media Ue del 43%) e ben il 64% negli Usa.
A fronte di queste tendenze, vale comunque la pena notare che sia per gli italiani che per gli europei, la desiderabilità di una forte leadership dell’Unione europea negli affari mondiali raggiunge livelli molto più alti (85% in Italia) rispetto a quella per la leadership Usa (55%). Ad ulteriore conferma delle altissime aspettative esistenti sia in Europa che negli Usa (dove la desiderabilità per la leadership Ue è del 72%) per il ruolo dell’Ue e, indirettamente, per le potenzialità ancora inespresse del Trattato di Lisbona, entrato in vigore alla fine del 2009.
La crisi e l’euro
Più complesso è lo scenario quando si arriva all’analisi degli effetti della crisi economica in Europa, dalla quale un maggioranza sempre più ampia di italiani (67%) ed europei (60%) dichiara di essere stata colpita direttamente, con un significativo incremento rispetto allo scorso anno. A differenza di molti altri paesi europei, incluse Francia e Germania, nei quali la maggior parte degli intervistati afferma che la moneta unica ha avuto effetti negativi sull’economia nazionale, in Italia invece il giudizio è equamente diviso tra chi vede nell’euro effetti positivi per il paese (47%), e chi invece giudica negativamente l’introduzione della moneta unica (48%). La consapevolezza della positiva funzione di “protezione” svolta dalla moneta unica e dall’Ue, in particolare rispetto agli effetti della crisi finanziaria, in Italia ha evidentemente fatto breccia non solo tra le forze politiche che solo recentemente hanno smesso di evocare l”uscita dell’Italia dall’euro”, ma anche in strati più ampi dell’opinione pubblica. Non a caso, infatti, una maggioranza di italiani (62%), superiore alla media europea, ritiene che l’appartenzenza all’Ue abbia avuto risvolti positivi per l’economia nazionale, e più di tre italiani su quattro (altro record) ritengono che dalle attuali difficoltà economiche deriverà un maggiore impegno per l’integrazione europea.
Oltre i confini
Le cattive notizie che quasi quotidianamente giungono dal fronte afghano hanno colpito anche la popolarità della Nato, ritenuta ancora indispensabile dalla maggioranza sia degli americani (60%) che degli europei (59%), ma in costante e netto calo negli ultimi anni. Gli italiani rimangono comunque i più favorevoli al rafforzamento della cooperazione tra Usa e Ue in materia di sicurezza (53%), anche se vedono con largo favore l’idea di un’Unione europea più indipendente. In vista del vertice Nato di novembre a Lisbona, in cui verrà approvato il nuovo concetto strategico dell’Alleanza, è utile notare come ll’idea che la Nato possa intervenire al di fuori dei confini europei per difendere la sicurezza degli Stati membri riscuota ampi consensi sia in Europa, (62%, e in Italia 65%), che negli Usa (77%).
Se in Italia la fiducia sul ruolo di leadership che Usa e Ue possono svolgere sulla scena mondiale rimane molto alta (72% la Ue, 86% gli Usa), cresce anche la consapevolezza dell’importanza della leadership della Cina (77% in Italia, contro il 63% della media europea e il 92% degli Usa) e, benché più limitatamente, di quella dell’India (48% in Italia, 36% in Europa e 73% negli Usa). Mentre gli italiani, insieme ai tedeschi, sono tra i più restii in Europa ad ammettere una comunanza di valori con la Cina tali da rendere possibile la cooperazione su grandi questioni internazionali (tre italiani su quattro ritengono che i valori siano troppo distanti), quasi un italiano su due crede che con la Cina si possa cooperare invece sulla base degli interessi comuni.
Le tormentate vicende degli anni di Bush non sembrano dunque aver intaccato la solida vocazione transatlantica dell’opinione pubblica italiana. Le scelte della nuova amministrazione, in particolare lo sforzo di rilanciare il dialogo e le sedi multilaterali, sono in sintonia con le corde più tradizionali e profonde della politica estera sia italiana che europea. Questo consenso, già parzialmente in calo rispetto allo scorso anno, è tuttavia fatalmente destinato a consumarsi su alcuni dossier chiave, come Afghanistan, Iran, o il conflitto israelo-palestinese, i risultati dovessero tardare ad arrivare. Da vette così alte di consenso è infatti facile precipitare repentinamente. Con effetti che potrebbero rivelarsi duraturi e problematici.
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Vedi anche:
G. Gramaglia: Obama tiene l’Europa, ma perde la Turchia
R. Matarazzo: L’Italia, la crisi e le opportunità dell’effetto Obama