Passa per la Turchia la corsa al gas dell’Asia
Negli ultimi mesi si sono succeduti a Istanbul una serie di incontri organizzati da istituzioni e centri di ricerca americani, europei e turchi, che ancora una volta hanno posto l’accento sul ruolo della Turchia come fulcro del transito energetico regionale, confermando l’interesse sia del mondo politico sia di quello imprenditoriale (non solo turchi) per il valore strategico di questo settore. I dibattiti si sono soffermati, in particolare, sulla compatibilità tra i vari progetti di impianti che dovrebbero portare il gas dall’Asia all’Europa, sulla competizione tra le imprese coinvolte nella loro realizzazione e sulla stabilità politica delle aree che ne dovrebbero essere attraversate.
Corridoio meridionale
Consapevole di essere in una posizione strategica, la Turchia ha avviato nuova iniziative sia sul fronte dell’approvvigionamento energetico sia su quello della realizzazione di infrastrutture. La diversificazione delle rotte e dei mercati sta comportando però problemi nella gestione dei tre principali progetti volti a stabilizzare la distribuzione di idrocarburi verso l’Europa occidentale: il Nabucco, il Trans-Adriatic Pipeline (Tap) e il Interconnector Turkey-Greece-Italy (Itgi). Tutti e tre questi progetti, che si inseriscono nel sistema energetico trans-europeo come “corridoio meridionale”, dovrebbero infatti attingere ai giacimenti marittimi di gas a largo dell’Azerbaijan, e in molti si stanno domandando se siano tra loro compatibili.
Il progetto Nabucco, che Usa e Ue sostengono anche perché ridurrebbe la dipendenza energetica europea dalla Russia, resta mal visto da Mosca. Lo conferma anche il secco rifiuto dei russi alla recente proposta di unirne una parte con il gasdotto South Stream avanzata dall’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni. South Stream collegherà direttamente il sistema di distribuzione del gas russo a quelli europei, passando attraverso il Mar Nero. Remote sono invece le possibilità, ventilate dai partecipanti al consorzio Nabucco, di forniture di gas dal Turkmenistan, che ha preferito una diversione dei suoi flussi energetici verso Cina, Russia e Iran (gasdotto trans-asiatico e gasdotto Dauletabad-Sarakhs-Khangiran).
Gli altri due gasdotti, il Tap e il Itgi, coprono superfici meno estese e possono quindi creare minori problemi politici. Il gasdotto trans-adriatico Tap, sviluppato congiuntamente dalla svizzera Egl e dalla norvegese StatoilHydro, collegherà il giacimento di gas di Shah Deniz, a largo dell’Azerbaijan, alla rete di trasmissione greca, attraverso il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum, per poi raggiungere Albania e Italia. L’interconnettore Turchia-Grecia-Italia (Itgi), si innesterebbe su reti già esistenti: il ramo Karacabey-Komotiny è operativo dal 2007 e vi si dovrebbero aggiungere “solo” un corridoio sottomarino attraverso l’Adriatico (fino ad Otranto), che potrebbe essere agibile dal 2013, e l’estensione fino alla Bulgaria. Ciò permetterebbe l’approvvigionamento della regione balcanica, rifornendo Romania e Ungheria, Serbia e Croazia. L’Itgi è sostenuto da una serie di accordi bilaterali e trilaterali, da un’intesa tra la compagnia di Stato azera Socar e la società italiana Edison, oltre che dal recente Memorandum d’intesa tra Edison, la greca Depa e la turca Botas (giugno 2010).
Problemi aperti
La realizzazione e il potenziamento di queste infrastrutture presentano tuttavia una serie di incognite, a partire da quelle legati alla complessa rete di imprese e paesi che partecipano ai diversi consorzi. La turca Botas, ad esempio, partecipa sia a Nabucco che a Itgi; il gigante russo Gazprom, in partnership con l’italiana Eni, ha accordi con alcuni paesi coinvolti in Nabucco, come Austria, Bulgaria, Ungheria.
Un altro nodo è legato alla diversificazione delle vie di transito e dei flussi energetici in uscita, obiettivo perseguito sia dall’Azerbaijan che dalla Turchia. La compagnia di Stato azera Socar ha accordi non solo con i tre consorzi sopra elencati, ma anche con Gazprom, per il trasporto di gas da Baku, in Azerbaijan, a Novo-Filya, nel Daghestan; Baku inoltre ha sottoscritto un accordo di fornitura di gas a Teheran attraverso il gasdotto Kazi-Magomed-Astara.
La Turchia non è da meno dell’ Azerbaijan: sta ipotizzando l’apertura di tre condotte che alleggeriscano il carico di traffico negli Stretti. Mentre una di queste (il gasdotto Samsun-Ceyhan-Trans-Anatolian Pipeline) è gestita da una compartecipazione (joint venture) tra Eni, Calik Holding, Transneft e Rosneft, le altre due (Burgas-Alessandria e Costanza-Trieste) sono inserite nel programma Inogate, da cui la Russia è esclusa. Inoltre la Turchia tra il 2007 ed il 2009 ha firmato una serie di accordi sia con l’Iran che con la Russia.
La complessa partita della gestione delle rotte di approvvigionamento si giocherà su più tavoli. Attualmente Mosca ed Ankara si trovano in una situazione ambivalente, in cui coesistono iniziative cooperative e rivalità. Dalle scelte turche dipende, in parte, anche la sicurezza energetica europea. L’indebolimento del legame tra Ankara e Bruxelles potrebbe avere delle ripercussioni negative anche da questo punto di vista. La stessa Unione europea non sembra riuscire a seguire una coerente politica energetica comune. Continuano a prevalere gli interessi nazionali e le pressioni dei grandi gruppi economici.
La problematicità delle aree in cui si trovano i più importanti giacimenti, infine, contribuisce a complicare ulteriormente il quadro. Anche per questo i progetti per la realizzazione di infrastrutture si stabiliscono attraverso consorzi e intese bilaterali e multilaterali: una situazione così complessa conferma che, al contrario di quanto recentemente dichiarato da diversi protagonisti della vicenda, sia in Europa che negli Usa, saranno probabilmente logiche diverse da quelle del libero mercato a determinare i prossimi sviluppi in questo settore.
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Vedi anche:
N. Sartori: Retromarcia italiana su South Stream?