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Africa

La Cina alla conquista del Mali

26 Lug 2012 - Danilo Ceccarelli - Danilo Ceccarelli

La crisi che il Mali sta vivendo in questi ultimi mesi ha spaccato il paese a metà. Mentre il nord è caduto nelle mani dei gruppi ribelli islamici legati ad Al Qaeda, il sud si trova impantanato in una crisi politica da cui sembra non trovare una via d’uscita.

Il 22 marzo Bamako, la capitale del paese, è stata teatro di un colpo di stato effettuato da un gruppo di militari guidati dal comandante Sanogo. Una parte dell’esercito, stanca della cattiva gestione del presidente Amadouni Tourè, ha occupato il palazzo presidenziale e la radio di stato. Dopo un’intercessione da parte della Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale), si è riusciti ad instaurare un governo di transizione con a capo il presidente Dioncounda Traoré.

Approfittando dell’instabilità politica che regnava nella parte meridionale del paese, il gruppo tuareg del Mnla (Movimento per la liberazione dell’ Azawad) ha occupato la zona nord insieme ai ribelli islamici dei Ansar Dine e di Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico). Dopo una breve convivenza, le differenti fazioni hanno dato inizio ad una guerriglia che è terminata con la fuga dei separatisti tuareg.

La parte nord del paese è così caduta nelle mani dei gruppi legati ad Al Qaeda che da alcuni mesi ormai governano l’intera zona. Il governo di Bamako, troppo debole per risolvere questa crisi, sta aspettando una decisione da parte della comunità internazionale che potrebbe intervenire con un contingente armato.

Legame antico
Con un paese ormai disgregato sul piano politico-istituzionale, l’economia ha subito un improvviso arresto. In un momento in cui tutti i principali investitori stranieri hanno chiuso i rubinetti, la Cina sembra essere il solo paese rimasto fedele agli impegni economici presi negli ultimi anni. In un’intervista rilasciata il 9 luglio, in occasione dell’inaugurazione di un Centro agricolo a Bamako, l’ambasciatore cinese Cao Zhongming ha dichiarato che il suo paese «sostiene l’integrità territoriale del Mali e […] gli sforzi che si stanno compiendo in vista di una riunificazione del paese”.

Durante un recente incontro a Pechino, il diplomatico maliano Aliou Diallo ha dichiarato che “la Cina è uno dei pochi amici a non aver abbandonato il Mali nella crisi che la sta attraversando”.

Le origini di questo legame risalgono al 1960, anno in cui il Mali proclamò la sua indipendenza liberandosi dal giogo colonizzatore della Francia. La Cina fu uno dei primi paesi a riconoscere il nuovo stato democratico, avviando relazioni diplomatiche ed economiche. Negli ultimi dieci anni i rapporti tra i due stati si sono intensificati a causa dei grandi investimenti che il paese asiatico ha effettuato sul territorio maliano. L’ammontare del commercio bilaterale è passato da 64 milioni di dollari nel 2003 a 230 milioni di dollari nel 2008. Nella prima metà del 2011 c’è stato un incremento record del 48,5%.

I flussi di denaro provenienti dalla Cina si sono concentrati principalmente nella costruzione di infrastrutture di pubblica utilità come scuole, reti stradali e ospedali. Dal 2007 ad oggi, gli investitori asiatici hanno impiegato all’incirca un miliardo di euro in questi progetti. Il grande spostamento di capitali ha contribuito in modo determinante allo sviluppo economico del Mali, incrementando in misura esponenziale la crescita del paese.

Penetrazione graduale
Le motivazioni che hanno portato la Cina ad investire nel Mali non sono certo di carattere filantropico. Prima di tutto, bisogna ricordare che il Mali è il terzo produttore d’oro del continente, dietro al Sud Africa e al Ghana. Inoltre, il suo sottosuolo è ricco di giacimenti di uranio e petrolio, risorse che fanno gola al governo asiatico. La Cina ha inoltre puntato all’industria tessile, visto che la produzione di cotone rappresenta una delle più importanti ricchezze del paese.

Molti vedono la Cina come un paese colonizzatore che, attraverso una politica di affiancamento e cooperazione, mira a diventare il primo partner dello stato africano. Naturalmente non è il solo ad aver messo gli occhi sulle ricchezze maliane. Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Canada sono i principali pretendenti, senza contare l’India che in questi ultimi anni si è imposta sul piano economico e tecnologico.

La Cina ha però promosso una strategia di investimento totalmente differente da quella dei paesi occidentali. Il gigante asiatico ha improntato i rapporti con il Mali sul piano della collaborazione e non dello sfruttamento, come hanno fatto in passato le grandi potenze come la Francia e gli Stati Uniti. In questo modo è riuscito ad accattivarsi anche le simpatie della popolazione, creando posti di lavoro in un paese con un altissimo tasso di disoccupazione.

Gli ultimi eventi che hanno destabilizzato l’equilibrio politico e sociale del Mali hanno bloccato molti investitori stranieri. Preoccupati dalla crisi che ha diviso il paese, i maggiori gruppi finanziari hanno preferito fermare tutte le attività in attesa di un miglioramento dello scenario politico e istituzionale.

Neutralità interessata
La Cina invece ha adottato una strategia diversa, incentrata su una diplomazia moderata e prudente. All’indomani del colpo di stato avvenuto a marzo, il gigante asiatico si è allineato all’Onu e all’opinione pubblica internazionale, condannando apertamente i rivoltosi. Il portavoce del ministero degli esteri cinesi Hong Lei ha dichiarato che la Cina “si oppone alla presa di potere anticostituzionale e […] fa appello a tutte le parti in gioco affinché si possa tornare ad una situazione di unità nazionale”. Il governo asiatico ha inoltre offerto il suo appoggio per risolvere la crisi che sta affliggendo il Mali.

La situazione potrebbe rivelarsi estremamente vantaggiosa per Pechino: in un momento in cui gli investimenti stranieri sono bloccati, il gigante asiatico potrebbe imporsi definitivamente facendo leva su una politica di cooperazione. Mentre la comunità internazionale sta prendendo in considerazione un possibile intervento armato per liberare il nord dagli occupanti islamici, la Cina sta rimanendo neutrale. Un atteggiamento insolito da parte di un paese che ha molti interessi nel Mali e per questo dovrebbe essere in prima linea su decisioni di questo tipo.

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