Etiopia: lo scontro con i ribelli del Tigray appanna la leadership del premier
Era il 28 novembre 2020 quando il governo federale etiope, guidato dal primo ministro Abiy Ahmed, dichiarò vittoriosa la campagna militare contro i “terroristi” delFronte Popolare di Liberazione del Tigray (Fplt). Poche settimane erano state sufficienti per domare i ribelli nel nord del Paese, dopo l’attacco sferrato alla base di comando dell’esercito nazionale in Tigray.
A distanza di un anno, però, non solo il conflitto è ancora in corso ma i rapporti di forza fra le truppe governative e quelle tigrine sono cambiati radicalmente. Le truppe del Fplt hanno saputo ricompattarsi e guadagnato terreno, riprendendo dapprima il controllo della regione del Tigray, per poi sconfinare in Amhara e in Afar, estendendo il conflitto a gran parte dell’Etiopia centro-settentrionale. Nelle ultime settimane, i combattenti del Fplt hanno raggiunto la città di Dessie, importante snodo sulla rotta con Gibuti, fino a Kemise, a circa 300 chilometri dalla capitale Addis Abeba. La resa dei conti sembra ormai alle porte della capitale.
Mosaico anti-governativo
L’obiettivo dichiarato è quello di rovesciare il regime del premio Nobel Abiy Ahmed, leader del Prosperity Party, al potere dal 2018 e riconfermato in carica a larga maggioranza alle elezioni del giugno scorso. Tuttavia, le forze del Fplt non sono che una, benché la più importante, all’interno di un ampio ombrello di forze anti-governative, tanto diverse quanto frammentate al loro interno. A caratterizzare la loro unione è soprattutto una forte avversione rispetto al governo di Abiy e alla sua politica accentratrice panetiope, più che un progetto politico comune. L’ombrello anti-governativo raccoglie al suo interno un ampio ventaglio di aspirazioni politiche più o meno radicali, che vanno da obiettivi secessionisti a un ritorno a un assetto più marcatamente federale, come stabilito dalla costituzione del 1995.
Il mosaico di istanze anti-governative è evidente anche nel nome con cui recentemente l’unione è stata ufficializzata: Fronte unito delle forze etiopi federali e confederali. Il fronte comprende nove gruppi armati, di cui il Fplt e l’Esercito di Liberazione Oromo sono forze trainanti.
La catastrofe umanitaria
Più di molte altre questioni, preoccupa l’embargo governativo nei confronti del Tigray, che preclude fra l’altro l’accesso ai convogli umanitari. L’isolamento forzato della regione ha infatti portato a una crisi umanitaria senza precedenti per durata (oltre un anno) e gravità di condizioni i cui versa la popolazione. Centinaia di migliaia di persone sono a rischio carestia e malnutrizione, mentre gli sfollati interni hanno superato i due milioni e mezzo. Il conflitto armato fra esercito federale e truppe del Fplt ha portato alla distruzione o all’inagibilità di buona parte delle infrastrutture presenti sul territorio, privando milioni di persone dell’accesso ai servizi di base. Rimangono inoltre bloccate tutte le comunicazioni, stradali e di rete. Inaccessibile la liquidità del sistema bancario per stipendiare dipendenti pubblici, imprese e operatori umanitari.
La situazione in Tigray appare particolarmente drammatica, ma non è certo isolata. Situazioni umanitarie analoghe si registrano anche in Amhara e in regioni meno note come il Benishangul-Gumuz, regione che ospita la diga etiope Gerd, oggetto di controversia regionale con Sudan ed Egitto, e la regione Somali, dove il conflitto fra etnie di origine somala e afar si è inasprito e promette di destabilizzare il vicino stato di Gibuti. Alle tante crisi regionali interne, fa da sfondo un’economia nazionale in affanno, con tassi di inflazione crescenti e con una crescita in netto calo e intorno al 2%, dopo un decennio in doppia cifra. Infine, il progressivo ritiro delle truppe etiopi dal Sud Sudan e dalla Somalia per far fronte al conflitto interno rischia di estendere il cerchio di instabilità all’intera regione del Corno d’Africa.
Le carte della diplomazia
Gli sviluppi della crisi in corso non escludono al momento esiti tragici e clamorosi di conflagrazione nazionale o di balcanizzazione del Paese. Il rischio è presente agli occhi di molti osservatori internazionali, come dimostrano i precipitosi tentativi di mediazione perseguiti dall’Unione africana, dagli Usa e da altri capi di Stato vicini ad Abiy, come il presidente keniota Uhuru Kenyatta.
Nonostante la necessaria agitazione internazionale, la crisi etiope è una crisi politica interna, come per altro ricordato più volte dagli stessi vertici etiopi, e la sua soluzione non potrà che arrivare da un accordo politico fra i suoi principali contendenti, il governo federale, da una parte, e il Fplt, insieme al resto delle forze antigovernative, dall’altra. Un processo di riconciliazione fatto di piccoli passi, con l’apertura di corridoi umanitari e di negoziato per un cessate il fuoco, rappresenta l’opzione più realistica per arrivare a una soluzione politica e pacifica in tempi brevi, scongiurando un’escalation vicino alla capitale.
Spiragli di speranza
In quest’ottica, la storia etiope degli ultimi cinquant’anni può essere motivo di ottimismo: il regime dell’imperatore Haile Selassie e quello comunista di Haile Mariam Menghistu, hanno certamente avuto lati oscuri e sanguinari, ma gli avvicendamenti politici al vertice, dall’imperatore alla rivoluzione di Menghistu nel 1974 e da quest’ultimo ai ribelli tigrini di Meles Zenawi nel 1991, sono stati nel complesso pacifici e hanno sempre risparmiato la capitale da spargimenti di sangue, quasi a conclusione naturale di un ciclo politico della millenaria storia etiope.
A differenza dei predecessori, Abiy Ahmed non sembra arrivato al capolinea, in quando gode ancora di un certo consenso politico (radicato in buona parte nell’élite oromo e amhara, le etnie dominanti) che i primi due avevano esaurito al momento della loro deposizione. È indubbio però che la sua leadership si sia appannata, e che per riportare l’Etiopia sulla strada della stabilità politica e della prosperità economica dovrà diluire le pretese di un’Etiopia politicamente monolitica come le sue celebri chiese nel nord del Paese, nonché favorire una maggiore decentralizzazione e inclusione politica degli altri gruppi etnico-regionali. Fra questi ci sono appunto i tigrini del Fplt, l’etnia minoritaria ma indomita, e protagonista della scena nazionale etiope per quasi un trentennio prima di Abiy.
Foto di copertina EPA/Str