Etiopia: Nobel ad Abiy Ahmed, il premier della pace con l’Eritrea
Nel continente delle guerre infinite arriva un riconoscimento che è anche un segnale di speranza. Il centesimo Nobel per la Pace assegnato tra la sorpresa del mondo al più giovane leader africano, il premier etiopico Abiy Ahmed, non invertirà le spirali perverse che intersecano armi e povertà, lotte interetniche e fondamentalismi , ma certamente darà una spinta ulteriore al riformismo di Addis Abeba e magari a un’imprevedibile onda lunga nei suoi immediati dintorni. Il premier – 43 anni, intraprendente e politicamente navigato nonostante la giovane età – certamente non si tirerà indietro, come confermano le prime parole dopo la notizia del Nobel. “Questa – ha detto – è una grande notizia per l’Africa, per l’Africa orientale, dove la pace è una merce molto costosa. E sono sicuro che ci darà la forza per lavorare in direzione della pace”.
Un uomo che non ama perdere tempo
E se qualcosa di Abiy si è capito è che non ama perdere tempo. Così, poco dopo aver ricevuto via Facebook le congratulazioni del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ha preso il telefono per un ringraziamento che è andato subito oltre le frasi di circostanza, mirando dritto a un focolaio di tensione come quello annoso dello sfruttamento delle acque del Nilo, appannaggio quasi esclusivo per decenni dell’Egitto, e alla più recente questione della Diga del Rinascimento, in costruzione in Etiopia e che Il Cairo vede come il fumo negli occhi temendo che gli sottragga risorse idriche fondamentali facendo calare la portata del fiume.
I due, ha riferito il portavoce della presidenza egiziana Bassam Radi, hanno trovato “un consenso per sostenere le relazioni bilaterali” e hanno affermato “l’importanza di abbattere tutti gli ostacoli ai negoziati sulla diga del Rinascimento per arrivare a un accordo che realizzi le aspirazioni e le aspettative dei popoli di Egitto, Sudan ed Etiopia”. Per i non addetti ai lavori può non significare molto, ma per gli instabili equilibri dell’area è un segnale di distensione che va preso molto seriamente. Già in giugno i due si erano visti per parlare della contesa sulla diga, nella quale è coinvolto anche il Sudan e che farebbe dell’Etiopia il leader in Africa per produzione ed esportazione di energia. Ma ora il potere contrattuale di Abiy acquista nuova forza.
La pace con l’Eritrea
D’altra parte, Abiy il Nobel se l’è guadagnato in primo luogo perché ha saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo di un confine conteso – quello con l’Eritrea – che ha inghiottito tra gli 80 e i 100.000 morti nei due anni di guerra (1998-2000) tra Addis Abeba e Asmara e compromesso per 18 anni i rapporti tra due Paesi nati come fratelli dalla lotta di liberazione comune contro il Negus rosso Menghistu e finiti come nemici sempre sull’orlo di un nuovo conflitto.
Il leader etiopico aveva scommesso sulla pace già nel suo primo discorso di insediamento, il 2 aprile 2018, quando aveva aperto all’Eritrea. Il 6 giugno dichiarava di accettare l’accordo di pace del 2000 firmato ad Algeri e mai applicato, cogliendo di sorpresa il nemico numero uno dell’Etiopia, il presidente eritreo Isaias Afewerki, che, già a lungo isolato dalla comunità internazionale, non poteva non accettare.
Tra l’incredulità dei leader africani e la sorpresa un po’ sprezzante di quelli occidentali, il giovane Abiy la pace l’aveva poi fatta davvero, sbarcando ad Asmara un mese dopo, scambiando un abbraccio con il presidente eritreo e formalizzando in settembre, a Gedda, in Arabia Saudita, un accordo formale. Tra linee telefoniche ripristinate e nuovi collegamenti aerei , frontiere aperte e poi richiuse, il miraggio ancora tale per Addis Abeba del recupero di uno sbocco al mare usando i porti eritrei, problemi e tensioni rimangono ma non assomigliano neanche un po’ alla guerra dietro l’angolo che rischiava a ogni momento di scoppiare tra le mani di Meles Zenawi (storico autoritario leader successo a Menghistu) e di Isais Afewerki.
Mediatore in Sudan e riformista interno
E in un’altra violenta crisi al confine di casa, quella sudanese, il leader etiopico si è offerto in giugno come mediatore – su mandato dell’Unione africana – per convincere il Consiglio militare di transizione e i civili dell’Alleanza per la democrazia e il cambiamento a trovare un accordo verso un governo provvisorio dopo la destituzione manu militari del trentennale dittatore Omar al Bashir.
Ma l’omaggio di Oslo è andato anche alla qualità del riformismo interno del premier etiopico la cui strada è ancora lunga ma il cui inizio è stato promettente. Sessantamila prigionieri politici liberati, i giornalisti fuori dalle galere, la legalizzazione dei gruppi di opposizione sono un bel record per un premier che è in carica da un anno e mezzo e che ha già collezionato due tentati attentati sponsorizzati da quei conservatori, fra i militari, che non vedono di buon occhio le carte sparigliate dall’uomo nuovo che ha studiato a Londra ‘leadership trasformativa’ ed è ingegnere informatico oltre ad avere un passato da militare.
In Etiopia ci sono 120 gruppi etnici, 84 lingue delle quali nove sono lingue ufficiali regionali, due religioni maggioritarie e altre 6 meno diffuse: difficile mettere ordine e trovare una via che faccia stare insieme le esigenze di tutti, dalla lotta alla povertà alle pretese delle rappresentanze etniche nei centri di potere non solo politico. Ma l’uomo è solido e la formazione impeccabile. Se non altro perché lui, il primo oromo a guidare il Paese – etnia più popolosa ma da sempre marginalizzata – è nato da una madre cristiana ortodossa e da un padre musulmano ed è cresciuto a una scuola che con una parola assai di moda si definirebbe inclusiva.
Non solo diplomazia dunque, ma pacificazione etnico-sociale e sviluppo. Su questi temi il comitato dei saggi di Oslo gli ha fatto un’apertura di credito, con la motivazione che il leader di Addis Abeba “ha rapidamente elaborato i principi di un accordo di pace (con l’Eritrea, ndr)” e “ha avviato importanti riforme per dare a molti cittadini la speranza per una vita migliore e un futuro più luminoso”, cercando di “promuovere la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale”. Abiy, che ha fatto grandi passi, non è tuttavia nemmeno a metà del guado ed è consapevole che le carte del futuro suo, dell’Etiopia e dell’area se le deve giocare ancora quasi tutte.