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Verso le elezioni: politica di difesa

Non solo F-35

30 Gen 2013 - Vincenzo Camporini - Vincenzo Camporini

Più che restaurare, la prossima legislatura dovrà ricostruire l’assetto della politica di sicurezza e difesa, partendo dalle fondamenta e dalla ridefinizione della politica estera del paese.

Se non si chiariscono gli obiettivi fondamentali della nostra politica esterna, non basta ripetere che questa si basa sui tre pilastri costituiti da Nato, Onu e Unione Europea. Dagli obiettivi devono quindi scaturire iniziative che vanno al di là della reazione tardiva che si è spesso innescata a seguito di eventi che hanno rischiato di mettere in seria difficoltà il Paese. L’esempio più eclatante di questo atteggiamento tardivo è stata la partecipazione alle operazioni militari che hanno portato alla caduta del leader libico Muammar Gheddafi.

Riforma della Difesa
Dalla definizione della nostra politica estera dovrà poi scaturire l’impostazione di quegli strumenti utili alla sua concretizzazione. Tra i più importanti vi è quello militare. Il governo di Mario Monti ha già avviato il processo mediante la Legge Delega per la riforma della Difesa, approvata dal Parlamento il 12 dicembre scorso. Questa norma non è però basata su un’analisi strategico-operativa delle esigenze, ma su meri fatti contabili, in quanto non si potrà andare oltre alle magre risorse riservate oggi a questa funzione. Il nostro strumento deve quindi essere modellato in base a tale disponibilità.

Questo non è un approccio razionale. In questo quadro economico e dopo aver perso quasi un lustro in un ottuso immobilismo, non certo per volontà del vertice militare, questa appare però la strada più agevole.

Come tutte le leggi delega, anche quest’ultima dovrà trovare concreta attuazione mediante l’emanazione dei relativi decreti delegati. Non sarà cosa da poco, considerata la vastità dei provvedimenti da prendere. Gli organici dovranno scendere a 150 mila entro il 2024, anche se i tagli sarebbero necessari in tempi più stretti.

Dal punto di vista organizzativo, bisogna rompere una volta per tutte le resistenze campanilistiche che le tre forze armate continuano a opporre, razionalizzando le loro strutture e rivedendone criticamente le funzioni. Il tutto mirando al raggiungimento e al mantenimento delle capacità necessarie al conseguimento degli obiettivi politici del paese.

F35 ed esuberi
Paradossale è la vicenda degli F35. Questi caccia sono destinati a sostituire un numero attualmente ben maggiore di Tornado, AM-X e AV8-B per garantire alle truppe sul terreno la copertura aerea, senza la quale nessuna operazione militare in ambiente non completamente amichevole risulta possibile. In assenza di questa capacità, l’Italia si vedrebbe ridotta a fornire boots on the groud, le truppe sul terreno per missioni internazionali, da mettere a disposizione di altri, confidando nella volontà altrui di sostenere e proteggere le nostre unità. Non è un’opzione politicamente percorribile non assumersi la responsabilità di proteggere adeguatamente i militari italiani dispiegati sul terreno. E’ quindi paradossale sostenere la partecipazione italiana alle missioni di pace senza darsi i mezzi per proteggere i nostri militari.

Militari la cui gestione dal punto di vista del personale è anche più delicata che in un’impresa civile.

La veste di militare, infatti, richiede una disponibilità totale anche ad affrontare rischi mortali. Presuppone, quindi, uno spirito di squadra assoluto, in cui ciascuno deve potersi fidare totalmente del collega e di tutta la catena gerarchica. Una ristrutturazione in cui il personale non abbia l’evidenza di essere rispettato, garantito e protetto dall’organizzazione è destinata a creare danni permanenti e incompatibili con la funzionalità di una forza armata.

Sarà quindi indispensabile la creazione di percorsi per accompagnare il personale in esubero verso altre forme di impiego. Questi percorsi dovranno essere identificati in assoluta trasparenza e con l’esplicito concorso degli organi interni di rappresentanza. Le misure per la riduzione degli effettivi dovranno anche avere un carattere strutturale per garantire nel tempo il rispetto della specificità di una struttura, come quella della difesa, che per le sue finalità deve poter contare su un’età media degli addetti molto più bassa di qualsiasi altra.

I decreti delegati devono individuare percorsi di carriera atipici, affinché dopo un certo numero di anni di servizio vi siano sbocchi sicuri per coloro che non troveranno più posto negli organici. Il tutto anche mediante una riqualificazione professionale mirata a soddisfare le esigenze della società civile, sia nell’ambito dell’organizzazione pubblica che in quello dell’imprenditoria privata.

La rivoluzione logistica delle Forze Amate
Per integrare le tre componenti delle forze armate occorrerà attuare una vera e propria rivoluzione che trasferisca la responsabilità logistica ora nelle mani dei Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate al vertice interforze, eliminando le innumerevoli duplicazioni esistenti. Una razionalizzazione di questo settore vitale permetterà una significativa riduzione delle esigenze organiche e un accorpamento in un numero limitato di siti, enti e organismi oggi dispersi sul territorio.

In aggiunta, comporterà un’economicità di esercizio dovuta ad evidenti economie di scala. L’opposizione sarà però fortissima. I soggetti implicati difenderanno il proprio giardinetto e il governo dovrà avere la mano ferma per superare le resistenze.

Nessuno si illude più di poter disporre in misura congrua di tutto ciò che può servire alla gestione di una crisi militare. L’analisi e le conseguenti decisioni devono quindi essere in un quadro multinazionale. Per l’Italia questo significa avere due punti di riferimento: la Nato, che da sempre indirizza la pianificazione in modo da soddisfare esigenze collettive, e, soprattutto, l’Unione Europea, che uscendo dall’attuale situazione di stallo deve seguire una politica che le consenta di pianificare e realizzare le proprie strutture e capacità militari.

Per una vera politica comune di sicurezza e difesa serve un unico strumento efficace e bilanciato. È indispensabile se si vuole avere un ruolo determinante nelle vicende storiche contemporanee.

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