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Energia

Tap, chiave di volta tra Roma e Baku

13 Lug 2014 - Nona Mikhelidze, Nicolò Sartori - Nona Mikhelidze, Nicolò Sartori

Anche i soci più sperimentati possono portare nuovi affari. È il caso del presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev che, a sei anni dalla sua ultima visita in Italia, è a Roma per incontrare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Matteo Renzi.

L’Italia è oggi il primo partner commerciale dell’Azerbaijan con un volume di scambio bilaterale di oltre sette miliardi di euro, ma il presidente azero si aspetta di espanderlo ancora.

Sebbene non annunciato esplicitamente, il cuore dell’incontro è la realizzazione della Trans-Adriatic Pipeline (Tap), il gasdotto che dovrà trasportare il gas del Mar Caspio sino alle coste italiane.

Attorno alla questione, si gioca tuttavia una più ampia partita economica, poiché Baku è pronta a mettere sul piatto italiano investimenti in una vasta gamma di settori: edilizia, infrastrutture, ingegneria meccanica, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ricerca spaziale, agricoltura e industria alimentare, turismo. In questo contesto il destino di Tap – oggi appeso al giudizio del Ministero dell’Ambiente italiano sull’impatto ambientale del gasdotto – sarà fondamentale per definire il futuro impegno economico di Baku nel nostro paese.

TAP e il gas dell’Azerbaijan
Il 28 giugno 2013 l’Italia, attraverso il gasdotto Tap, è stata selezionata come punto di approdo del Corridoio sud, l’iniziativa lanciata dalla Commissione europea dieci anni fa per trasportare il gas del Mar Caspio – estratto dal giacimento azero di ShahDeniz II – verso i mercati europei. L’obiettivo è di rafforzare la sicurezza dell’Unione di fronte a possibili crisi con i fornitori energetici (l’ultima crisi tra Russia e Ucraina ne è un esempio).

In dicembre il parlamento italiano ha ratificato l’accordo intergovernativo siglato dal governo di Mario Monti con i leader di Albania e Grecia, paesi attraverso cui transita Tap. L’accordo assicura la cooperazione tra le parti per la costruzione e l’operatività del gasdotto. Nel frattempo, il consorzio di ShahDeniz II – guidato dalla britannica Bp – ha sottoscritto contratti per la fornitura venticinquennale di gas con compagnie energetiche europee, e ha infine approvato la decisione di investimento per un valore totale di 28 miliardi di dollari.

I 10 miliardi di metri cubi (Bcm) di gas azero – espandibili in futuro a 20 Bcm – dovrebbero arrivare in Italia tra il 2018 e il 2019, contribuendo a diversificare in modo significativo le forniture italiane, a rendere più liquido il mercato del gas e a rafforzare la posizione del paese come potenziale hub energetico dell’Europa meridionale.

Inoltre, durante la fase di realizzazione, Tap dovrebbe generare un indotto a livello locale di circa 80 milioni di euro annui, con la creazione di 150 posti di lavoro. A ciò si dovrebbero aggiungere circa 12 milioni di euro annui e 250 posti di lavoro in attività dirette e indirette legate alle operazioni del gasdotto.

Nodo pugliese
Il progetto Tap è però appeso a un filo. Nonostante gli accordi internazionali sottoscritti nei mesi passati e l’impegno del governo italiano reiterato a più livelli, la realizzazione di Tap è oggi bloccata. Si attende infatti che la Commissione valutazione impatto ambientale (Via) del Ministero dell’ambiente si pronunci sulla sostenibilità dell’approdo del gasdotto in Puglia. Un’eventuale bocciatura da parte della Commissione rischia di bloccare la cooperazione energetica tra Baku e Roma.

Anche se in passato è stata esaminata la possibile fusione di Tap con il gasdotto IgiPoseidon che garantirebbe l’approdo – già autorizzato dal Ministero dell’ambiente – nei pressi di Otranto, sembra che questa soluzione non sia gradita al consorzio ShahDeniz e al presidente Aliyev. Quest’ultimo potrebbe addirittura minacciare di uscire dal mercato italiano in caso di fallimento di Tap.

A Baku le alternative, seppure sub-ottimali, non mancano: primo fra tutti il gasdotto Nabucco West, scartato lo scorso giugno a vantaggio di Tap, ma il cui iter tecnico e regolatorio è tuttora valido. Oppure- soluzione più audace e complessa – la progettazione di una nuova pipeline che attraversi i Balcani occidentali per terminare in Croazia, che è pronta a proporsi come hub energetico alternativo all’Italia.

Il governo italiano si trova pertanto di fronte a un bivio, e dovrà fare del suo meglio per rassicurare Aliyev in attesa dell’autorizzazione ministeriale per la realizzazione di Tap. Non può però permettersi di forzare la mano.

Il rischio che il focoso presidente azero faccia saltare il banco è reale, con buona pace della sicurezza energetica nazionale e, soprattutto, della credibilità internazionale del nostro paese.

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