Osce: connubio da realizzare con il Mediterraneo
Il rafforzamento della ‘dimensione mediterranea’ dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) è uno sviluppo significativo almeno quanto la ‘rinascita’ dell’organizzazione a seguito della crisi in Ucraina. Nonostante il nuovo clima di Guerra Fredda che tiene impegnati i 57 Paesi dell’Organizzazione sul fronte europeo, il poco conosciuto Partenariato Mediterraneo dell’Osce è infatti cresciuto apprezzabilmente negli ultimi anni.
Nel 2017, la presidenza italiana del Gruppo di contatto Mediterraneo ha segnato senza dubbio un altro passo in avanti. Ma si può davvero parlare di un nuovo connubio tra Osce e Mediterraneo? La sensazione è che si tratti di una relazione non ancora consumata. Pertanto, la presidenza italiana dell’Osce potrebbe non limitarsi a dare lustro ai risultati già ottenuti, cercando di imprimere un cambio di marcia. Per farlo sarebbe necessario riprendere la traccia originaria che ha legato l’Osce alla sponda sud e che non può prescindere dall’aspirazione a estendere il ‘metodo Helsinki’ – messo a dura prova ma non fuori gioco in Europa – alla sicurezza mediterranea e mediorientale.
Una lunga storia che rischia di sbiadire
Pochi sanno o si ricordano che fu nel contesto della Csce (Conference on Security and Cooperation in Europe, Osce dal 1995) che l’Europa strinse i primi rapporti di dialogo multilaterale in ambito politico e di sicurezza con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, aprendo la strada a iniziative dell’Unione europea più strutturate e certo meglio conosciute come il ‘processo di Barcellona’ del 1995. Su insistenza di un pugno di Paesi – in particolare l’allora non-allineata Malta, ma anche l’Italia – l’Atto Finale di Helsinki del 1975 riconobbe l’indivisibilità della sicurezza euro-mediterranea. Fu un fatto piuttosto innovativo per il tempo.
Questo avvenne anche se le due superpotenze dell’Organizzazione – Stati Uniti e Unione sovietica – erano allora unite nell’osteggiare l’allargamento del processo di distensione al di fuori del già complesso contesto europeo. Dal canto loro, i Paesi della sponda sud videro nell’Osce non tanto un foro di dialogo fra Est e Ovest quanto una sorta di nuovo concerto europeo su più vasta scala di quello di ottocentesca memoria. Sin dagli anni ’70, numerosi Paesi arabi cercarono con questo nuovo soggetto un dialogo Nord-Sud più paritario e votato alla risoluzione pacifica dei conflitti secondo l’allora originale nozione di una sicurezza ‘cooperativa’ e ‘comprensiva’.
I decenni che seguirono videro il dialogo euro-mediterraneo intensificarsi. Ma fu solo con il tramonto della Guerra Fredda che la relazione fu rivalutata alla luce del mutato quadro strategico. Fu in quegli anni che l’idea variamente formulata di una Conference on Security and Co-operation in the Mediterranean (Cscm) sul modello della Csce fu avanzata, in particolare su iniziativa italiana e spagnola, non riuscendo tuttavia a suscitare il sostegno internazionale necessario. Fallita questa prospettiva, il Partenariato Mediterraneo si è progressivamente rafforzato nell’era post-bipolare, mentre paradossalmente si allentavano gli elementi distintivi che lo legavano all’esperienza tutta particolare del processo multilaterale Csce/Osce.
Una Helsinki della sponda sud
Così facendo, il Partenariato si è in larga misura ridotto a fungere da foro di dialogo – uno tra i tanti – in cui affrontare tematiche sempre più imprescindibili per la sicurezza euro-mediterranea e internazionale, su tutte la lotta al terrorismo. Come si è evidenziato sulla questione delle migrazioni, come su quella delle transizioni post ‘Primavere Arabe’, il Partenariato ha offerto un contributo minore in campi in cui erano già in corso iniziative ben più corpose dell’Ue e di altre organizzazioni (l’Osce non ha uffici regionali, non fa grant-making né prestiti, concentrandosi invece su piccole attività di capacity-building e condivisione di esperienze, quasi sempre organizzate su territorio europeo).
Il reale valore aggiunto della dimensione mediterranea dell’Osce non sta probabilmente nel dare ulteriore corpo alla pur utile “cooperazione pratica” già esistente, quanto piuttosto nel riscoprire la vocazione dell’Organizzazione come piattaforma multilaterale plurale ed inclusiva e la sua funzione di bridge builder.
Il ritorno in auge dell’idea di una ‘Helsinki del Mediterraneo’ (formula tra l’altro usata dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni nella sua precedente veste di ministro degli Esteri) sembra sottolineare la necessità di legare i prossimi passi del Partenariato a una certa visione del multilateralismo che miri non tanto alla convergenza – o addirittura all’integrazione -, quanto alla coesistenza pacifica tra realtà di un Mediterraneo sempre più globale e globalizzato, ma non per questo più stabile o più uniforme.
Il Mediterraneo nella presidenza italiana
Nel 2018, l’Italia potrebbe dunque concentrarsi su alcuni obiettivi che segnerebbero un ‘ritorno al futuro’ per la dimensione mediterranea dell’Osce. Il primo sarebbe portare i temi del Mediterraneo fuori dal Gruppo di contatto e dentro il Consiglio permanente, l’organo di discussione e decisione dell’Osce che settimanalmente si riunisce a Vienna a livello di ambasciatori. Stati Uniti e Russia, ancora restii ad aprirsi completamente al Mediterraneo in ambito Osce, si troverebbero così costretti ad affrontare in modo aperto i sempre più evidenti e pericolosi legami tra le tensioni Est-Ovest e le dinamiche Nord-Sud.
Un secondo obiettivo sarebbe quello di promuovere la nomina di un rappresentante speciale Osce per il Mediterraneo. Questa nuova figura aumenterebbe la visibilità del Partenariato Mediterraneo conferendogli al contempo maggiore spessore politico. Il compito del rappresentante speciale non sarebbe quello di intromettersi nel conflitto israelo-palestinese o di interferire con l’operato dei vari inviati speciali dell’Onu per Siria o Libia.
Dovrebbe piuttosto portare avanti – in parallelo ad un programma di cooperazione settoriale di medio termine (al momento ogni presidenza di turno tende a ricominciare da zero) – un dialogo rilanciato sulle possibili articolazioni extra-europee dell’esperienza Csce/Osce. Al centro dovrebbe senza dubbio stare il rebus, difficile ma ineludibile, di come sviluppare in ambito mediterraneo/mediorientale delle confidence and security building measures (Csbm) – almeno in parte ispirate a quelle Osce – in grado di disinnescare un sempre più possibile conflitto armato regionale.
Infine, questo approccio più politico dovrebbe accompagnarsi a una prospettiva strategica di più ampio raggio del Partenariato attuale, che abbracci quello che già anni fa era stato descritto come il Mediterraneo allargato, dal Golfo al Sahel. Oltre a rilanciare il progetto di un partenariato Osce con la Libia, l’Italia potrebbe individuare metodi innovativi per coinvolgere rappresentanti dei Paesi del Golfo e, a certe condizioni, anche dell’Iran. A tale scopo, potrebbero essere esplorate in una prima fase forme di dialogo non formali, attraverso il cosiddetto ‘secondo binario’.
Le posizioni qui espresse sono strettamente personali e non riflettono quelle dell’Osce né quelle di altre entità o istituzioni.
Foto di copertina © Antonio Melita/Pacific Press via ZUMA Wire