In Italia cresce l’apprensione per l’ascesa della Cina
Mario Draghi a palazzo Chigi ha dato un forte segnale di rilancio dell’Italia nelle alleanze storiche. Una linea europeista ed atlantista, sostenuta – anche se con varie sfumature – da tutti i componenti dell’ampia coalizione di governo. A giudicare dalle dichiarazioni dei leader di partito, sembrano un lontano ricordo le posizioni ambigue del Movimento 5 Stelle (M5s) verso la Cina che portarono il governo giallo-verde di allora a siglare il Memorandum d’intesa con Pechino sull’adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative (Bri) nel 2019.
Il raffreddamento della politica italiana nei confronti della Cina non è un fenomeno relegato ai palazzi del governo. Lo dimostrano i risultati dell’ultima indagine demoscopica “Gli italiani e la politica estera 2021” condotta dall’Istituto Affari Internazionali e dal Laboratorio Analisi Politiche e Sociali (Laps) dell’Università di Siena, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo. I dati confermano la crescente diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti della Cina, un trend già registrato nell’edizione 2020.
Giudizio negativo anche su Xi
Complice il deterioramento delle relazioni di Pechino con Unione europea e Stati Uniti, si è acuita negli italiani la preoccupazione per l’ascesa della Cina come potenza globale. Su una scala da 0 a 10 della percezione della minacce, il dato medio del campione è di 6,8 (pari al 59%). Un aumento considerevole se si pensa che lo stesso dato si attestava a 5,7 nel 2018 e a 6,1 nel 2020.
Ancora più critica l’opinione degli italiani nei confronti del presidente cinese Xi Jinping. Su una scala da zero a dieci, dove lo zero rappresenta un sentimento “molto negativo e sfavorevole” e dieci uno “molto positivo e favorevole”, Xi raggiunge un magro 3,8 recuperando solo qualche centesimo dal dato dello scorso anno (3,6). Va notato però che nel sondaggio non raggiungono la sufficienza neanche Joe Biden, che ottiene il 4,7, Emmanuel Macron (4,5) e Boris Johnson (4,4). Peggio di Xi solamente il presidente turco Rycep Tayyip Erdoğan (3).
Il giudizio negativo sulla Cina nel panorama globale si ripercuote anche sulla percezione degli italiani dei rapporti bilaterali tra Roma e Pechino. Chiamati a giudicare l’influenza della Cina in Italia, il 67% del campione ritiene eccessiva l’influenza economica cinese e il 64% quella politica. Entrambi i dati sono in forte aumento rispetto alle rilevazioni effettuate nel 2020, quando il 48% del campione aveva giudicato eccessiva l’influenza economica e il 51% quella politica.
Si direbbe dunque che la linea politica di Draghi verso Pechino sia in sintonia con il crescente sentimento negativo dell’opinione pubblica nei confronti della Cina. Tuttavia, il giudizio su come il governo Draghi ha gestito i rapporti bilaterali non raggiunge la sufficienza, attestandosi al 5,2 in una scala da 0 a 10. Non solo, il risultato è addirittura di poco inferiore al giudizio espresso sul governo Conte II nel 2020 (5,4).
Dubbi sullo scontro Usa-Cina
Ma quale posizione dovrebbe prendere l’Italia di fronte allo scontro Usa-Cina? Fra gli italiani cresce il fronte di quanti ritengono necessario rimanere ancorati all’Europa come alternativa alle due superpotenze: circa il 44% del campione contro il 39% registrato nel 2020. Diminuiscono invece i sostenitori di una posizione del tutto autonoma dell’Italia (28% rispetto al 35% dello scorso anno). Aumentano poi quanti vorrebbero un rafforzamento del legame con Washington in funzione anti-cinese (passati dal 12% al 19%) mentre si registra un calo di chi invece auspica un rafforzamento dei rapporti con la Cina in funzione anti-statunitense (dal 14% al 9%).
Secondo un’ampia maggioranza dell’opinione pubblica, di fronte alla contrapposizione Usa-Cina, l’Italia dovrebbe quindi agire al fianco dell’Unione o da sola. Questo orientamento trova conferma anche nella quota relativamente alta di italiani che mostra diffidenza nei confronti della “Alleanza delle democrazie” proposta dal presidente Usa Biden. Una larga maggioranza del campione (quasi tre quarti) sarebbe in linea di massima favorevole alla proposta, ma il 34% di questi vorrebbe che l’Italia aderisse a questo tipo di iniziative a patto che siano slegate dalla guida americana. Contrario alla partecipazione solo il 27% del campione.
L’approccio di Draghi e la svolta atlantista del M5S
Proprio sulle relazioni con Pechino, Draghi ha nell’ultimo anno compiuto un deciso cambio di passo. Parlando della Cina, a margine del G7 di giugno, Draghi aveva descritto il Paese come “un’autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali e non condivide la stessa visione del mondo delle democrazie”. Il presidente del Consiglio aveva dunque proposto di adottare un approccio realista che preveda si la cooperazione ma anche franchezza sui punti inaccettabili.
In merito alle relazioni bilaterali, Draghi aveva anche espresso l’intenzione di voler rivedere l’accordo sulla Bri siglato nel 2019. Tale dichiarazione non ha finora avuto seguito, ma il nuovo esecutivo ha dimostrato nei fatti di voler sottoporre a un più attento scrutinio le relazioni con Pechino. Nel corso degli ultimi mesi, il governo ha esercitato i poteri speciali del Golden Power per fermare le collaborazioni Linkem-Huawei-ZTE per il 5G e l’acquisto della società di semiconduttori Lpe da parte della Shenzhen Investment Holding. Secondo indiscrezioni, il governo avrebbe anche spinto per evitare la cessione di Iveco al gruppo cinese Faw.
Toni decisamente più freddi provengono anche da parte del M5s, che peraltro aveva dato segno di aver diminuito l’entusiasmo nei confronti di Pechino già durante il governo Conte II. Ne sono una prova le dichiarazioni di uno dei leader più importanti del partito, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Nei mesi scorsi Di Maio ha affermato che le relazioni con gli Stati Uniti sono di gran lunga più importanti di quelle con Pechino, mentre in diverse occasioni non ha mancato di criticare la Cina su dossier come il rispetto dei diritti umani e il mantenimento degli impegni in ambito ambientale.
Cambiamento, quello del M5S, che è possibile riscontrare anche nelle posizioni del partito in sede europea. Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento europeo, ha denunciato più volte l’aggressività cinese, ad esempio in occasione delle sanzioni di Pechino contro gli europarlamentari in ritorsione alle misure Ue contro funzionari cinesi o delle incursioni aeree nello spazio aereo di Taiwan. A settembre, inoltre, il M5S ha votato a favore del rapporto della commissione Affari esteri del Parlamento europeo che chiede il rafforzamento dei rapporti con Taiwan.
Foto di copertina ANSA/ANGELO CARCONI