IAI
Il cordoglio per la scomparsa

Fabrizio Saccomanni, alfiere del multilaterale, campione di gentilezza

9 Ago 2019 - Giorgio Gomel - Giorgio Gomel

Conoscevo Fabrizio Saccomanni, scomparso all’improvviso qualche giorno fa, da trenta anni, qualche tempo dopo il mio approdo all’Ufficio Studi della Banca d’Italia. La prima occasione di lavorare con lui occorse nel 1987  nel redigere il documento preparatorio del Summit del Gruppo dei Sette di Venezia, sotto la guida degli sherpa di allora, Renato Ruggero e Mario Sarcinelli. Un ricordo che conservo, un po’ immaginifico ma gratificante, di noi nei locali maestosi della Fondazione Cini sull’isola di San Giorgio, intravvedendo tra una riunione e una conferenza stampa Reagan, Kohl, Mitterrand e i loro colleghi capi di stato e di governo di altri paesi.

Sul finire degli Anni 90 e successivi ,  tranne il suo intermezzo londinese presso la Bers, condivisi con Fabrizio la partecipazione frequente a comitati di economisti delle banche centrali e dei ministeri delle Finanze in vista dell’Unione economica e monetaria europea, così come a gruppi multilaterali in ambito G7 e G20, nonché  presso il Fondo monetario.

Sul piano più intellettuale collaborai con lui  su  una serie di saggi e articoli su argomenti relativi alla cooperazione economico-finanziaria fra le nazioni, alla regolamentazione dei mercati globali dei capitali, alle differenti dimensioni del multilateralismo.

Quel multilateralismo che di Fabrizio è stato il cardine intellettuale, politico ed umano: un mondo basato su regole cooperative, istituzioni internazionali, “soft laws” e una solida architettura di regolamentazione finanziaria, cui la politica economica dei Paesi industrialmente avanzati ed emergenti dovesse  conformarsi, vincendo vecchie tradizioni protezioniste, pulsioni nazionaliste, atti unilaterali.

Ricordando  il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà teorizzati  da Antonio Gramsci, Fabrizio peccava forse di un eccesso di “ottimismo” della ragione, convinto che le istituzioni multilaterali avrebbero acquisito legittimità e forza operativa e ‘domato’ i policy makers nazionali, spinti da interessi localistici. Così suggeriva nel suo saggio “Tigri globali, domatori nazionali”.

Ottimismo temperato in anni più recenti da un certo disincanto circa quell’ordine liberale internazionale sulla cui esistenza, nell’Occidente  della seconda metà del ‘900, storici, scienziati politici ed economisti oggi  discutono. Tempi – quelli odierni – in  cui l’affermarsi di democrazie ‘illiberali’ dominate da spinte populistico-autoritarie e l’acuirsi di contrasti fra Paesi in materia commerciale e finanziaria sembrano preludere a un mondo di relazioni internazionali conflittuali e disgregatrici.

Un pericolo a cui Fabrizio guardava con preoccupazione, mosso dal suo forte senso di umanità, pur corretto da un gusto  arguto dell’ironia  e dal tratto gentile che hanno lasciato un segno profondo in amici, collaboratori e  lettori.

Nel suo ultimo libro, “Crepe nel sistema : la frantumazione dell’economia globale”, pubblicato l’anno scorso, Saccomanni sottolineava gli effetti nefasti della crisi economico-finanziaria del 2008-2009 e le spinte disgregatrici che colpiscono l’economia mondiale e le sue istituzioni di governo. Auspicava  un nuovo ordine, fondato su un sistema degli scambi aperto e una solida e condivisa regolamentazione finanziaria.

Nella  sua celebre Lettera a Meneceo Epicuro scrive che l’uomo non deve temere la morte: allorché l’uomo vive, infatti, la morte è assente; allorché essa sopraggiunge, l’uomo non è più nel mondo. Riflessione in parte vera per l’individuo. Ma  non per le persone altre da lui e a lui legate da vincoli di amicizia ed affetto. Per quelle persone il timore della morte e della mancanza che ne conseguirà è  una realtà insopprimibile.