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Intreccio d'interessi tra sicurezza e scambi

Corea: Gsomia, stop sventato in extremis fra Seul e Tokyo

21 Nov 2019 - Gennaro Ambrosio - Gennaro Ambrosio

A 6 ore dalla scadenza fissata per il 23 novembre a mezzanotte, contrariamente a quanto annunciato il 22 agosto, il governo sudcoreano ha reso nota la decisione di sospendere momentaneamente la cessazione del General Security of Military Information Agreement (Gsomia), patto di intelligence sharing tra la Corea del Sud e il Giappone firmato nel 2016 e finalizzato allo scambio di informazione militari e strategiche sull’arsenale nucleare e missilistico nordcoreano. Il dietro front di Seul è giunto a seguito delle forti pressioni operate fino all’ultimo da Washington. Qualora l’accordo dovesse in futuro cessare, gravi saranno le ripercussioni sulla sicurezza e gli interessi degli Stati Uniti e dei suoi alleati regionali.

Le ragioni della decisione di Seul
Il 22 agosto Seul annunciava la decisione di porre fine al Gsomia. La mossa di Seul fa seguito alla decisione nipponica, resa effettiva il 4 luglio, di imporre restrizioni al commercio verso la Corea del Sud su tre componenti fondamentali (poliammide fluorurata, fotoresist e fluoruro di idrogeno) per la realizzazione di chips, semiconduttori e displays, beni ad alta tecnologia dei quali la Corea del Sud è uno dei maggiori produttori al mondo. Il governo sudcoreano ha interpretato il provvedimento come una  rappresaglia nei confronti della sentenza del 29 novembre 2018 della Corte Suprema di Seul sulla questione delle vittime coreane dei lavori forzati nelle aziende giapponesi (chōyōkō soshō mondai, 徴用工訴訟問題).

La Corte, aggiornando la decisione del 30 luglio 2013 della Corte inferiore, ha ordinato alla Mitsubishi Heavy Industries di indennizzare i cittadini sudcoreani da essa coattivamente impiegati durante la Seconda Guerra Mondiale. Mitsubishi deve corrispondere una somma compresa tra i 100–150 milioni di wŏn (89.000–133.000 dollari Usa) a ognuna delle cinque donne parte del contenzioso, e 80 milioni di wŏn ciascuno ai sei uomini ex-impiegati della compagnia.

La stessa Corte aveva condannato, il 30 ottobre 2018, per la medesima ragione la Nippon Steel & Sumitomo Metal a versare 88.700 dollari Usa di indennizzo a quattro vittime sudcoreane. Mitsubishi rifiuta di conformarsi alla decisione “estremamente deplorevole” del Tribunale, mentre il governo di Tokyo, appellandosi al Trattato di normalizzazione nippo-sudcoreano del 1965, ritiene la sentenza contraria alla legge internazionale.

Il provvedimento e la reazione sudcoreana
Gli esportatori giapponesi devono ora inoltrare al governo di Tokyo singole richieste di autorizzazione all’esportazione dei materiali soggetti a restrizioni e sottostare a un processo di verifica dell’intera procedura della durata media di 90 giorni.

L’opinione pubblica sudcoreana ha risposto boicottando tutti i prodotti made in Japan. Il Governo di Seul, oltre alla programmata fine del Gsomia, ha rimosso, il 18 settembre, il Giappone dalla ‘lista bianca’ dei 29 Paesi partner commerciali privilegiati e ha avviato, l’11 settembre, una procedura di contestazione alla World Trade Organization (Wto), l’Organizzazione del commercio mondiale. Tokyo avrebbe infatti violato il principio base dell’Organizzazione, secondo cui ogni Paese membro deve essere trattato come ‘the most favoured country‘. Il 16 settembre è stata avviata dalla Wto l’indagine del dossier sudcoreano: alle parti restano 60 giorni per risolvere la disputa, trascorsi i quali verrà creato un panel per risolvere la questione.

Ai negoziati bilaterali la Corea del Sud ha accusato il Giappone di violare l’articolo 11 del General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt), che vieta la regolamentazione sul volume delle esportazioni a meno che i prodotti esportati non rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale; così come di avere violato l’Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (Trips) e il Trade Related Investment Measures (Trims). Il Giappone si è difeso sostenendo la necessità del provvedimento  poiché la Corea del Sud opererebbe un blando sistema di controllo su prodotti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale. Il 1° e il 2° round, l’11 ottobre e il 19 novembre, si sono conclusi in un nulla di fatto; un 3° round è oggi ritenuto improbabile da ambo le parti.

Conseguenze sulle relazioni nippo-sudcoreane e timori Usa
Sintomo del cattivo stato delle relazioni nippo-sudcoreane è l’assenza del presidente Moon Jae-in all’incoronazione dell’imperatore Naruhito, il 22 ottobre. Il colloquio lì avuto dal primo ministro Lee Nak-yon con il premier giapponese Shinzo Abe e la lettera di Moon allo stesso Abe hanno favorito il ritorno al dialogo e l’incontro Abe–Moon a margine del 22° Asean+3 Summit di Bankgok (31 ottobre-4 novembre). Moon si è detto disposto “a cooperare fino all’ultimo per evitare la fine dell’accordo”, ma ha vincolato il suo rinnovo alla normalizzazione delle relazioni.

Il 22 novembre, a 6 ore dalla scadenza del Gsomia, la Corea del Sud ha annunciato la sospensione momentanea della cessazione dell’accordo. Il ministro degli Esteri Kang Kyung-wha, all’ultimo minuto, è volata a Nagoya per presenziare al G20 dei ministri degli Esteri e per trovare una soluzione alla questione con la controparte nipponica. Alla partenza Kang ha ribadito che la posizione del Governo non è mutata e che il Gsomia può essere terminato in qualunque momento.    

Decisive per la scelta di Seul le pressioni degli Usa. Il Segretario di Stato, Mike Pompeo, e il ministro Kang hanno tenuto colloqui telefonici a poche ore dalla scadenza dell’accordo. Il generale Robert Adams, capo delle truppe Usa in Corea del Sud, sosteneva che la cessazione del Gsomia manderebbe ai rivali regionali l’errato messaggio che l’alleanza Usa-Giappone-Rok (Republic of Korea) “non è poi così forte”. La fine dell’accordo influenzerebbe negativamente l’alleanza e la reciproca fiducia rendendo molto più lenta e scoordinata ogni preparazione, analisi e risposta nei confronti di Pyongyang.

La Corea del Nord, a oggi, ha operato quest’anno 11 test missilistici e tre test del lanciamissili super-large. Kim Jong-un minaccia poi di adottare una ‘new way‘ se, entro fine anno, non verrà trovata una soluzione diplomatica alla questione della denuclearizzazione e smilitarizzazione della penisola (e alla fine delle sanzioni). Ciò ha spinto il segretario alla Difesa Usa Mark Esper a posporre le esercitazioni militari Usa-Rok di fine anno.

Gsomia: non solo una questione di politica estera
La minaccia nordcoreana, e quella economica della Cina, rendono il rinnovo del Gsomia cruciale per le relazione nippo-sudcoreane, per l’alleanza Usa-Giappone-Rok e per la pace e la sicurezza regionale.

L’Amministrazione Moon, il cui consenso è sceso sotto il 40% per via dello scandalo dell’ex-ministro della Giustizia, Cho Kuk, deve ora fronteggiare anche questa sfida. Il rinnovo del Gsomia, infatti, avrà ripercussioni in politica interna. L’accordo è inviso all’opinione pubblica perché retaggio dell’odiata presidenza di Park Geun-hye e perché lega la sicurezza nazionale a un vicino percepito spesso come poco sincero e credibile, poiché scarsamente propenso a fare i conti con la storia.

L’intervento di Washington, che nulla ha fatto di concreto finora per smorzare la crisi tra i due alleati, potrebbe non bastare. Il malcontento verso gli Usa è in aumento per via degli attriti commerciali e per via della richiesta del presidente Donald Trump di maggiori contributi (5 miliardi di dollari a fronte degli attuali 870 milioni) per le 28.500 truppe Usa stanziate sul suolo sudcoreano.

In questo contesto, non sorprende forse il risultato del recente sondaggio di un noto think-tank sudcoreano: il 45,5% degli intervistati sosterrebbe la Corea del Nord in un’eventuale guerra con il Giappone; solo il 15,1% appoggerebbe il vicino al di là dello stretto; mentre il 39,4% ha detto di ‘non avere un’idea’ in proposito. La frattura tra i due alleati è sempre più profonda e, in questo contesto, il rinnovo del Gsomia resta tutt’altro che semplice.