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Brexit: parla Bill Emmott

“Un momento molto triste, ma dobbiamo conviverci”

31 Gen 2020 - Francesco De Leo - Francesco De Leo

Scrittore e opinionista britannico, Bill Emmott è stato direttore del The Economist dal 1993 al 2006. Conversa al telefono da Londra con AffarInternazionali.

Caro Bill, tra ventiquattr’ore il Regno unito sarà fuori dall’Unione europea, qual è il tuo sentimento in questo momento?
“Sento che questo è un momento molto triste e assolutamente non necessario, dovuto a decenni di mala gestione politica da parte dei governi britannici. Ma ora è successo e dobbiamo conviverci. Non può, e non deve, essere un disastro, è un fardello che noi britannici dovremo portare sulle nostre spalle. Ad ogni modo, i corridori possono vincere una corsa anche caricando pesi sulle loro spalle, pertanto non mi sento disperato al riguardo, ma ugualmente triste”. 

Imputi errori all’Unione europea in questi anni di lunghe trattative con il Regno Unito?
“Allora, credo che il problema principale sia stato da parte britannica. Tuttavia, l’Unione europea, sin dalla crisi finanziaria globale del 2008, non ha funzionato bene. Non ha protetto le vite, gli standard di vita dei suoi cittadini, ha dimostrato processi di decisione politica lenti e problematici, soprattutto riguardo all’euro, ma anche sull’immigrazione. Ritengo che la ragione per cui Matteo Salvini è diventato così popolare in Italia e per cui la Lega è ora il partito più grande e popolare nel Paese sia proprio legata a quegli stessi problemi dell’Unione europea e dell’Europa in generale a cui è connessa anche la Brexit. Credo che la ragione per cui si è arrivati a decidere questa Brexit riguardi ovviamente in modo particolare la Gran Bretagna, ma l’Unione europea non ha funzionato bene negli ultimi dieci anni”. 

Qual è stata, secondo te, la ragione principale della scelta del popolo britannico?
“Credo che il problema più rilevante tra il popolo britannico sia che solo ad un piccola parte di esso importa abbastanza dell’Europa. L’Europa non è un tema importante per la maggior parte degli elettori britannici, perciò quando è stata offerta loro la scelta e hanno dovuto prendere una decisione, il fatto che l’Unione europea non funzionasse bene, insieme allo scontento per scelte del loro stesso governo, li ha portati a votare, con uno scarto ridotto, in tale direzione. Alla fine dei conti, però, sono troppo pochi i cittadini britannici a cui importa dell’Ue. Credo che in Italia, in Francia, in Germania, grazie all’esperienza della Seconda guerra mondiale, ci sia un più profondo sentimento di legame con l’Unione europea; in Gran Bretagna il problema è che troppe persone sono indifferenti o disinteressate all’Ue”.

Si è sostenuto da parte di alcuni opinionisti che il popolo britannico possa aver  votato per il famoso referendum senza un’adeguata conoscenza delle conseguenze di una scelta così importante per il futuro del Paese. Che ne pensi? È vero tutto questo o è poco generoso nei confronti di un popolo che si è espresso in una determinata maniera?
“Credo che quella dell’Unione europea, nelle sue varie sfaccettature, sia una storia molto complessa. Perciò ritengo sia vero che i voti siano stati basati sull’ignoranza di una vasta quantità di informazioni, il che ha esposto gli elettori a menzogne e false informazioni – anche da parte dell’attuale primo ministro Boris Johnson durante la sua campagna, in cui ha raccontato bugie ben documentate sull’Unione europea -. Tuttavia, il punto focale è che i cittadini britannici non si sono preoccupati a sufficienza di verificare queste informazioni, di attribuire all’Unione europea la stessa importanza che danno ad altri aspetti della loro vita, come il lavoro, la sanità, l’istruzione, e quindi di pensare seriamente alla scelta da fare. Poi, quando abbiamo deciso di uscire e tutto si è fatto caotico, tre anni fa, la reazione è stata ugualmente di indifferenza verso la situazione in cui ci eravamo messi”.

Chiudendo gli occhi… che Regno Unito riesci a immaginare per i prossimi anni?
“Immagino un Paese che sarà vicino all’Europa, che avrà un’identità che dipenderà dall’essere fuori dall’Europa, ma che in realtà sarà molto vicino all’Europa, perché non abbiamo alcuna scelta e non desideriamo essere da nessun’altra parte. Perciò credo che saremo un paese psicologicamente confuso, fingendo di essere separati, mentre rimaniamo molto vicini ai nostri amici e dirimpettai europei”.

Secondo te il Regno Unito fuori dalla Ue cosa perderà e cosa guadagnerà?
“Credo che il Regno Unito perderà la sua voce, la sua influenza nelle decisioni, nei comportamenti e nelle azioni che verranno intraprese da Germania, Francia, Italia e dai principali Stati membri dell’Unione europea riguardo alla collettività. Sarà un Paese con un ruolo marginale, a cui si telefona per secondo, o per terzo, non per primo, per essere consultato e con cui allinearsi. Perciò saremo messi ai margini, perderemo influenza, perderemo voce, tutto questo. Quello che guadagneremo, credo sia forse una sorta di chiarezza nella nostra politica, per troppo tempo occupata da litigi sull’Unione europea. Ma comunque credo che ne guadagneremo ben poco”.

In questi lunghi anni di trattative non sono mancate previsioni catastrofiche sul futuro economico del Regno unito fuori dall’Ue? Che idea ti sei fatto?
“Credo che ora che abbiamo più chiarezza la situazione economica possa migliorare leggermente rispetto agli ultimi due anni, ma come prossimo passo dovremo portare a termine i negoziati sulle relazioni commerciali con l’Unione europea che inizieranno quest’anno. Fino a che tale processo non sarà concluso non potremo avere completa chiarezza sul futuro dell’economia britannica. Ma in conclusione vorrei dire che il costo della Brexit, che è reale, deve essere considerato insieme all’influenza di altre politiche ed eventi nel resto del mondo. Credo che verranno portate avanti nuove politiche, in particolare con significativi investimenti pubblici nelle infrastrutture, verosimilmente con tagli alle tasse: a dieci anni di distanza dalla crisi finanziaria globale siamo in un momento finanziario favorevole, perciò credo che il nuovo governo di Boris Johnson sarà in grado di contrastare gli effetti negativi della Brexit attraverso un forte stimolo fiscale e tramite la spesa pubblica. Perciò in uno, due, tre anni di tempo non credo sarà possibile misurare gli effetti della Brexit perché sopravverranno altri fattori di carattere economico e finanziario, e altre circostanze a livello mondiale”.