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Osservatorio IAI/ISPI

Sahel: l’interesse italiano senza una chiara direzione

16 Feb 2020 - Bernardo Venturi - Bernardo Venturi

In pochi anni, il Sahel è passato da area semi-sconosciuta e marginale nelle relazioni internazionali con l’Africa occidentale, ad area strategica. L’Italia si è uniformata a questo approccio, soprattutto per questioni legate alle migrazioni irregolari verso l’Europa che vedono Burkina Faso, Mali e Niger come Paesi principalmente di transito.

Al Vertice di Pau Francia-G5 dello scorso 13 gennaio, la Francia ha fatto appello ai partner internazionali perché diano supporto a Parigi a quattro linee di azioni: lotta al terrorismo, coordinamento delle attività di capacity building in ambito securitario, servizi di base e presenza dello Stato in aree periferiche dei tre Paesi, e cooperazione allo sviluppo. Questa “nuova” coalition pour le Sahel potrebbe essere l’occasione per il governo italiano per fare il punto sull’impegno italiano in quest’area e sulle sue potenzialità. Ma cosa sta già facendo l’Italia oggi?

Avanzata della diplomazia, confusione sul militare
L’Italia è apprezzata qui come in alcune altre regioni africane per non avere un’agenda nascosta e per cooperare, tutto sommato, a viso aperto. Questo gli ha dato dei vantaggi, per quanto la mancanza di ambasciate sul territorio è stata un forte limite – Roma ha infatti soltanto 22 ambasciate in Africa, contro, per esempio, le 44 francesi o le 39 tedesche. L’apertura delle ambasciate in Niger (2017) e Burkina Faso (2018) hanno sicuramente aiutato a creare rapporti bilaterali più solidi e continuativi. Rimane scoperto il Mali, ancora seguito dai due diplomatici di base a Dakar, troppo poco per il ruolo che ha Bamako oggi nella regione e non solo. Per questo l’idea di aprire un’altra ambasciata sulle rive del Niger è in cantiere alla Farnesina. Roma ha inoltre nominato Bruno Archi inviato speciale per il Sahel, una figura che, almeno potenzialmente, potrebbe colmare qualche lacuna e lavorare anche in una prospettiva regionale. Nella pratica, però, serve una presenza e un’azione costante che, al momento, non sembrano in essere. Non sono comunque mancate le visite di alto profilo nel corso del 2019: il premier Giuseppe Conte in Niger e Ciad, l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta in Niger, la vice-ministra degli Esteri Emanuela Del Re in Niger, Mali e Burkina Faso.

Nel settore della difesa, l’Italia contribuisce agli sforzi multilaterali per la sicurezza dei Paesi saheliani attraverso la missione delle Nazioni Unite Minusma, le missioni dell’Unione europea in ambito politica di sicurezza e difesa comune (EUCAP Sahel Niger e Mali, EUTM Mali) e il progetto Gar-SI Sahel. Tra il 2017 e il 2019 l’Italia ha stipulato inoltre accordi di cooperazione con Burkina Faso, Niger e Ciad contribuendo al lavoro della coalizione G5 Sahel. Dopo mesi di stallo, alla fine del 2018 è stata lanciata anche la missione bilaterale di assistenza e supporto al Niger (Misin) istituita nel 2017 e attualmente composta da circa 100 unità con l’obiettivo di formare le forze armate nigerine nel contrasto al terrorismo e nel controllo delle frontiere (ad oggi circa 2700 unità formate). L’esperienza di Misin ha messo in luce alcuni limiti italiani sui quali servirà riflettere prima di lanciarsi in nuove avventure e per meglio incanalare la recente voglia di protagonismo italiano nel Sahel. In primis, una limitata conoscenza della politica locale, che ha portato a mesi di ambiguità tra smentite o mezze conferme nigerine sull’impegno italiano. In secondo luogo, il rischio di un limitato coordinamento con gli altri partner.

Il contributo della cooperazione allo sviluppo
Roma è impegnata anche sul fronte della cooperazione allo sviluppo nel Sahel. Burkina Faso e Niger sono considerati prioritari e mentre Ciad, Mauritania e Mali sono Paesi d’intervento secondario. A Ouagadougou l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo ha una propria sede, competente anche per il Niger. L’Italia opera ampiamente attraverso fondi propri diretti e attraverso il Fondo fiduciario per l’Africa, oltre ad altri strumenti multilaterali in sede Ue, ed è impegnata anche nella lotta alla desertificazione e nella cooperazione bilaterale in ambito ambientale. La vice-ministra Del Re ha anche ventilato varie volte la possibilità di aprire una piattaforma di coordinamento per la cooperazione universitaria con il Sahel, come già fatto alcuni mesi fa per il Corno d’Africa. Un’iniziativa sicuramente lodevole qualora venissero dedicate risorse e capacità tecniche adeguate.

Nel complesso, l’impegno italiano nel Sahel è contrassegnato da slancio e attivismo, ma le competenze e gli strumenti messi in campo mostrano alcuni limiti. L’attenzione sul multilaterale rimane centrale e l’Italia dovrà partecipare attivamente ai tavoli di lavoro evitando di moltiplicare ulteriormente i propri interventi senza un percorso adeguatamente condiviso con i governi locali e coordinato con i partner internazionali.

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.