BoJo tra convalescenza e ricostruzione del Regno Unito
Quando Boris Johnson è uscito dall’ospedale la domenica di Pasqua, il Regno Unito ha tirato un sospiro di sollievo collettivo dopo giorni di apprensione. La malattia del primo ministro è riuscita a unire i britannici attorno a una figura che, dai tempi del referendum sulla Brexit, aveva polarizzato il Paese. Politicamente lo ha reso più forte: avendo rischiato di morire (“poteva andare in entrambe le direzioni”, ha detto lui), avendo visto da vicino gli sforzi del servizio sanitario nazionale, Johnson ha acquisito un grado di autorevolezza nuovo nelle decisioni che inevitabilmente lo attendono.
È diventato lui stesso il simbolo della lotta del Paese contro il coronavirus. Ma, nel mezzo di una crisi profonda, questo capitale politico non durerà per sempre. Tanto più che, con il premier ancora convalescente, le critiche al governo già aumentano.
Il comunicatore Johnson
Johnson è risultato positivo al coronavirus il 27 marzo. È entrato in ospedale la sera del 5 aprile e 24 ore dopo, in seguito ad un deterioramento delle sue condizioni, è stato portato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale St. Thomas a Londra. Vi ha passato tre notti, poi il miglioramento, fino alla dismissione dall’ospedale.
Nel video che ha rilasciato poche ore dopo essere tornato a casa, Johnson ha ancora una volta dimostrato la sua straordinaria abilità di comunicatore: pallido in volto, palesemente provato, ha ringraziato il servizio sanitario nazionale per “avermi salvato la vista, senza dubbio”, con un messaggio al tempo stesso accorato e ottimista. Nessuno, sul piano dell’abilità di entrare in contatto con gli elettori, regge il confronto con il premier: né all’interno del Partito Conservatore, la stella nascente Rishi Sunak, il cancelliere dello scacchiere che a 39 anni sta dimostrando polso fermo nel gestire la più grande crisi economica dal dopoguerra; né nel Labour, il neo-segretario Keir Starmer, che pure ha ripristinato un senso di competenza e fiducia all’interno partito.
Nuova linfa per BoJo e il Paese
La malattia ha dato nuova linfa politica a Johnson dopo le critiche per la gestione maldestra della crisi, i cambiamenti di strategia, i tentennamenti; lui che ai primi di marzo ancora diceva orgoglioso di aver stretto mani anche durante una visita in un ospedale. Con la sua parabola, Johnson ha anche offerto un messaggio di ottimismo in un Paese nel pieno della pandemia, che registra centinaia di morti al giorno e che, sebbene per lo più obbedisca alle misure restrittive imposte dal governo, mal le sopporta, attaccato com’è alle libertà civili. “Ho visto in prima persona il coraggio non solo dei dottori e degli infermieri, ma di tutti quanti lavorano nella sanità ”, ha detto il premier nel suo messaggio. È “grazie a questo coraggio, a questa devozione, senso del dovere e amore che il nostro Nhs è imbattibile”.
Il coronavirus restituisce a Johnson un paese che sembra aver dimenticato, almeno per ora, le lacerazioni degli ultimi anni, e aver ritrovato quel senso di comunità invocato dalla Regina: basta guardare alle decine di migliaia di persone che hanno risposto agli appelli di volontariato; o all’incredibile caso del veterano di guerra quasi centenario che ha raccolto 20 milioni di sterline camminando nel giardino di casa.
L’inchiesta che ha rovesciato tutto
Ma la malattia non metterà Johnson al riparo dalle critiche per sempre, né lo potrà esimere dal giudizio storico sul suo operato quando la crisi sarà alle nostre spalle. Il Sunday Times, in una lunga inchiesta pubblicata domenica, ha accusato il governo di aver ignorato gli avvertimenti degli esperti e di aver sprecato cinque preziose settimane tra gennaio e febbraio; e Johnson personalmente di aver saltato cinque riunioni di emergenza all’inizio della crisi (accuse respinte da Downing Street, mentre comincia il blame game e la ricerca del capro espiatorio per gli errori commessi).
Starmer, che aveva finora tenuto una linea cauta nell’emergenza, ha attaccato l’esecutivo per i ritardi nelle misure restrittive, nei tamponi e persino nell’approvvigionamento di indumenti protettivi per il personale sanitario. La quarantena, se prolungata, potrebbe acuire le tensioni sociali e il senso di disuguaglianza della società britannica. I cittadini che tutti i giovedì escono davanti al portone di casa per applaudire i medici potrebbero ricordarsi che è stata l’austerity dei tory a tagliare i fondi al Nhs. E che il Boris Johnson che ringrazia per nome gli infermieri – immigrati – che gli sono stati accanto nelle notti in terapia intensiva è lo stesso che progetta un taglio drastico all’immigrazione e che prima della Brexit diceva “riprendiamoci il controllo delle frontiere”.
Johnson continua la convalescenza a Chequers, la residenza di campagna dei primi ministri britannici. Non sarà più (solo) la Brexit a determinare il suo posto nei libri di storia: saranno la pandemia e la ricostruzione del Regno Unito nel dopo-coronavirus. Il Paese per ora è largamente con il primo ministro guarito dalla malattia che sta mettendo in ginocchio il mondo. Sta a lui non sprecare la chance e imparare dagli errori commessi finora.