Dagli Usa un colpo ai negoziati multilaterali sulla digital tax
È arrivata – inaspettata – la notizia che gli Stati Uniti hanno deciso di sospendere i negoziati multilaterali in corso all’Ocse sulla definizione di nuove regole per l’introduzione di una tassa digitale globale, così come espresso in una lettera del segretario del Tesoro americano Steven Mnuchin inviata ai ministri delle Finanze di quattro Paesi europei e vista dal Financial Times.
Dopo l’ottimismo emerso a gennaio in concomitanza con la pubblicazione di un documento condiviso che gettava le basi teoriche per sviluppare una nuova cornice fiscale globale per le attività digitali, quest’ultima decisione americana potrebbe aver dato un punto d’arresto significativo alla possibilità di trovare un consenso multilaterale nel breve termine sulla digital tax.
Trattative spinose
Eppure, questa rottura non sorprende del tutto. Già durante i negoziati di gennaio era emersa una polarizzazione tra gli Usa e alcuni Paesi europei che avrebbe reso le successive trattative particolarmente spinose. Ma nulla di tutto ciò sembrava far prevedere un’escalation così grave e le cui conseguenze potrebbe produrre un’escalation delle tensioni commerciali tra Usa e Unione europea.
Paradossalmente, erano stati proprio gli Usa ad aver enfatizzato l’importanza di un processo multilaterale sulla tassazione alle attività digitali che prevenisse la fioritura di iniziative nazionali che avrebbero potuto danneggiare l’economia globale. Alla luce di questo contesto, appare ancora più ironica la motivazione ufficiale con cui gli Usa hanno giustificato la loro uscita dai negoziati, spiegando che in questo momento i governi dovrebbero concentrarsi sulle risposte economiche al Covid-19 piuttosto che accelerare su una digital tax globale.
Ma, come sottolineato più volte dal commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, l’introduzione di una digital tax, oltre che garantire una più equa tassazione, potrebbe essere uno degli strumenti per incrementare la capacità fiscale per finanziare le politiche espansive rese necessarie dalla crisi Covid-19.
Divisioni in seno all’Inclusive Framework
Alla plenaria di gennaio dell’Inclusive Framework, ovvero il forum di 137 Paesi guidato dall’Ocse, i negoziati hanno trovato un punto di arrivo sulla definizione generale di un accordo internazionale per tassare i profitti provenienti dall’economia digitale.
Questo si concentra su due pillars. Il primo riguarda strettamente la possibilità di tassare i redditi prodotti nel mondo digitale dove si concretizzano le vendite reali, favorendo le giurisdizioni di mercato. Il secondo, invece, permette alle agenzie delle entrate dei Paesi firmatari di considerare il profitto globale del gruppo multinazionale per richiedere una maggiore imposizione fiscale nel caso in cui la percentuale di tasse pagata dal gruppo non superi un’aliquota minima fiscale (intorno al 3%).
Dalla lettera del segretario al Tesoro Mnuchin si evince la volontà degli Usa di ritirarsi dai negoziati sul primo pillar perché gli Usa non sono disposti a firmare un accordo che danneggerebbe molte grandi imprese con sede americana e che affrettarsi a trovare una soluzione durante questo periodo storico “è una distrazione da questioni ben più importanti”.
Va anche detto che gli Usa non hanno digerito bene il rifiuto da parte dell’Inclusive Framework della proposta di Washington, “Safe Harbour“, che avrebbe reso opzionale l’osservanza del pillar 1 da parte delle multinazionali, permettendo loro di scegliere se attenersi alle regole per beneficiare di un sistema migliore di risoluzione delle controversie fiscali. Mnuchin ha però sottolineato che nelle trattative sul secondo pillar, invece, gli Stati sono molto vicini a un accordo, auspicando di riuscire a concordare un’aliquota fiscale minima entro la fine del 2020.
Gli scontri e il compromesso
Nel corso del 2019, l’amministrazione Trump si era già scontrata apertamente con il governo francese, reo di aver approvato l’introduzione di una digital tax nazionale. Il governo americano era arrivato a minacciare l’imposizione di dazi sull’export di prodotti francesi per un valore doppio rispetto a quello della digital tax. Ma il rappresentante del commercio statunitense aveva anche messo nel mirino altri Paesi (Regno Unito, Spagna e Italia) che avevano introdotto iniziative simili alla digital tax francese. Washington aveva accusato i governi europei di perseguire un comportamento anti-competitivo che avrebbe danneggiato ingiustamente le multinazionali Usa che operano in Europa.
Fu proprio il compromesso di procedere con dei negoziati multilaterali condotti dall’Ocse che permise agli Stati Uniti e ai Paesi europei di trovare un compromesso ed evitare un’escalation delle tensioni commerciali. L’accordo prevedeva il “congelamento” delle digital tax nazionali in vista di una proposta condivisa e globale sviluppata dai negoziati in corso all’Ocse che avrebbe dovuto esser approvata entro dicembre 2020.
Secondo quanto pubblicato dal Financial Times, per evitare il sorgere di iniziative nazionali come risposta alla sospensione unilaterale dei negoziati, gli Usa avrebbero minacciato di imporre dazi a coloro che procederanno con soluzioni nazionali. I Paesi europei però non sembrano pronti ad accettare di buon grado questo atteggiamento americano. Il Regno Unito e la Francia hanno comunicato la loro intenzione di proseguire con la propria iniziativa nazionale, senza però specificare quando entrerà effettivamente in vigore, se i negoziati non dovessero riprendere. Il commissario Ue Gentiloni ha rincarato la dose dicendo che l’Ue è pronta a procedere con un’iniziativa europea se lo sforzo Ocse dovesse interrompersi, e, che in caso di ritorsioni americane, l’Ue è pronta a rispondere in maniera adeguata.
Non tutto è perduto?
Nonostante la lettera getti ombre sul futuro dei negoziati, non tutto è perduto. Potrebbero esistere ancora gli spazi diplomatici per cercare di far avanzare positivamente il percorso multilaterale per una digital tax globale. L’incontro dei ministri delle Finanze del G20, previsto per luglio, potrebbe essere un appuntamento importante per capire effettivamente quali scenari si potrebbero aprire.
L’emersione di digital tax nazionali non rappresenterebbe soltanto il fallimento della governance multilaterale, ma anche un ulteriore fattore di instabilità nelle relazioni transatlantiche, in un momento in cui le due sponde dovrebbero invece cercare di cooperare il più possibile per cercare di uscire dalla crisi Covid-19.