Golpe in Mali: il rischio delle scorciatoie
A due giorni dal colpo di stato in Mali si cominciano a chiarire i principali risvolti del cambio di regime e dei suoi protagonisti. Le prospettive per i prossimi mesi, però, rimangono del tutto incerte.
L’inizio del copione sembra quello del golpe a Bamako di soli otto anni fa. Come nel 2012, tutto parte dal campo militare di Kati, una decina di chilometri a nord della capitale. Il 22 marzo 2012, nello stesso campo è nato il Comitato Nazionale per il Recupero della Democrazia e la Restaurazione dello Stato, che aveva portato il capitano Amadou Haya Sanogo a capo del Paese.
Il pomeriggio del 18 agosto 2020 il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta (per tutti IBK) si trovava nella sua residenza nel quartiere di Sebenikoro, quando è stato arrestato insieme al primo ministro, Boubou Cissé. Portati al campo di Kati, nella notte il presidente Keïta è stato forzato a dimettersi e a sciogliere governo e assembla nazionale.
Malcontento e proteste sociali
Voci di un possibile golpe si erano diffuse nei giorni scorsi, come già a febbraio, dopo un discorso molto duro fatto da IBK contro alti ufficiali del suo stesso esercito accusati di abusi, appropriazione indebita e perdita del controllo nel combattere i movimenti jihadisti.
Il colpo di stato si inserisce con irruenza nel quadro delle proteste sociali che si susseguono da oltre due mesi in tutto il Paese. Le proteste erano cominciate il 5 giugno scorso, data che ha dato il nome M5-Rfp (Mouvement du 5 juin / Rassemblement des forces patriotiques) al cartello che raccoglie un arcipelago di partiti e altre realtà sociali. L’eterogeneo movimento, che vede spiccare tra i leader la figura dell’imam Mahmoud Dicko, chiedeva una svolta politica. Le dimissioni del presidente maliano erano certamente tra le richieste ma il movimento cerca anche cambiamenti più profondi. Non va dimenticato inoltre che il leader dell’opposizione maliana Soumaila Cissé è stata rapito da un gruppo sconosciuto pochi giorni prima delle ormai controverse elezioni parlamentari del 29 marzo 2020.
Identikit dei golpisti
Dopo le dimissioni forzate del presidente maliano, i soldati golpisti hanno creato il Comité national pour le salut du peuple (Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo, Cnsp) e hanno affermato la volontà di gestire la transizione politica. Lo schema e i richiami appaio alquanto simili ad altri golpe africani e i rappresentanti del Comitato si sono detti non interessati al potere, ma solo cambiare il paese nell’interesse del popolo e a organizzare nuove elezioni presidenziali. Nel Cnsp i più attivi sono i colonnelli, figure intermedie in termini militari, ma supportati anche da generali. Il leader è il 25enne Malick Diaw, figura che sembra predestinata a diventare un’icona del golpe.
Nelle prime dichiarazioni, però, colpisce la continuità che il Cnsp vuole dare: confermate le alleanze internazionali e la presenza di Minusma – la missione delle Nazioni Unite in Mali -, Barkhane/Takuba – la task force paneuropea nel Sahel – e Unione europea nel Paese; confermata la volontà di proseguire nell’implementazione dell’Accordo di Algeri con il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad, regione separatista del nord. Infine, il colonnello maggiore Ismaël Wagué, portavoce del Comitato, ha citato l’implementazione delle raccomandazioni del Dialogo Nazionale Inclusivo tenutosi alla fine del 2019, un processo contestato nel Paese proprio per la sua limitata inclusività.
Il Cnsp ha sottolineato anche che “la società civile e i movimenti socio-politici sono invitati a unirsi a noi per creare insieme le migliori condizioni per una transizione politica civile che porti a elezioni generali credibili per l’esercizio democratico che getterà le basi per un nuovo Mali“. Un invito che il M5-Rfp sembra avere raccolto dopo un primo momento di silenzio. Il 19 agosto, infatti, il movimento ha inquadrano le dimissioni del presidente Keïta come conseguenza della mobilitazione politica e sociale dei mesi scorsi. Il comunicato del cartello sociale e politico mostra anche la volontà di lavorare con la giunta militare per progettare un governo di transizione e una tabella di marcia per l’ordine democratico.
Dopo i dubbi delle prime ore, sembra chiaro che non vi siano legami diretti tra i golpisti e il M5-RFP. Certamente, il movimento ha logorato il potere di IBK e ha creato lo spazio perché i militari trovassero la determinazione per la loro azione.
Le reazioni internazionali
Le risposte regionali e internazionali al golpe sono state per ora alquanto prevedibili. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ha condannato l’azione militare e sospeso il Mali dall’organizzazione, così come avvenuto in precedenza per altri colpi di stato nella regione. Nel condannare il golpe, le cancellerie internazionali hanno fatto spesso riferimento all’Ecowas e al suo lavoro di mediazione degli ultimi due mesi in Mali, per ora con scarsi risultati tangibili.
Quello che salta all’occhio però, è come il golpe sia avvenuto in un Paese sul quale la comunità internazionale sta impegnando ingenti risorse per una riforma del sistema di sicurezza nazionale. Ancora una volta, emerge il contrasto tra questo lavoro di supporto internazionale e le dinamiche politiche maliane. Dalla Francia a Minusma, gli internazionali sembrano lavorare in una dimensione parallela che non incide davvero sulla governance locale.
E così, mentre da una parte i putschisti presentano il golpe come un acceleratore del processo di cambiamento chiesto dalle piazze – e sono supportati da una parte significativa della popolazione – da un’altra prospettiva il colpo di stato rischia di essere un ulteriore conflitto aperto che si aggiunge ai troppo già presenti nel Paese.