L’avvelenamento di Navalny è la risposta del Cremlino alle proteste in Bielorussia
Anna Politkovskaya, Alexander Litvinenko, Sergei Skripal e sua figlia Yulia, l’attivista del collettivo Pussy Riot Pyotr Verzilov, Vladimir Kara-Murza, Viktor Yushenko, Yuri Shchekochikhin. Questa è solo un’incompleta lista dei critici del regime – che vanno da politici dell’opposizione a ex funzionari dell’intelligence fino a giornalisti indipendenti -, avvelenati da agenti russi. Per non parlare del leader dell’opposizione Boris Nemtsov, assassinato nei pressi del Cremlino nel 2015.
Oggi, il più eminente oppositore di Putin, Alexei Navalny, si trova ricoverato in Germania in condizioni gravi, dopo che è stato avvelenato in Russia. Il Berlin Charite Hospital dichiara che i risultati clinici indicano avvelenamento con una sostanza del gruppo degli inibitori della colinesterasi.
I fatti di Minsk
L’avvelenamento di Navalny coincide con le proteste di piazza in Bielorussia, dove in 7mila sono stati arrestati da quando sono iniziate le manifestazioni: molti hanno riportato violenze da parte della polizia; almeno quattro sono morti. Nonostante la repressione in atto, le proteste e gli scioperi continuano in tutto il Paese: chiedono la liberazione di tutti i prigionieri politici e la ripetizione di elezioni libere, dopo il contestato esito del voto delle presidenziali del 9 agosto scorso.
Il malcontento dei bielorussi ha radici profonde, dovuto in parte anche al governo dittatoriale di Aleksandr Lukashenko, che dura da 26 lunghi anni, e in parte al precario sistema socio-economico che dipende molto dalle sovvenzioni russe. I problemi sono stati poi ulteriormente aggravati dal fallimento di Lukashenko di gestire la pandemia di Covid-19, liquidata come una “psicosi” curabile bevendo vodka.
Da quando sono esplose le proteste in Bielorussia, in molti si sono interrogati su come Mosca avrebbe risposto a quanto in atto sul suo confine occidentale. Una delle risposta è arrivata ed è stato l’avvelenamento di Navalny. Ecco come i due eventi sono legati fra loro.
La posizione del Cremlino
La Russia ha fatto fatica a sviluppare una risposta strategica agli eventi in Bielorussia, lasciando l’Occidente a interrogarsi sulle reali intenzioni del Cremlino. Due opzioni sono state prese in considerazione finora: in primo luogo, un’assistenza politica (e, se necessario, militare) a Lukashenko per tenerlo al potere – come ha fatto anche in Siria, dove ha rafforzato il dominio di Bashar al-Assad. La consequenza sarebbe un ulteriore rafforzamento dell’asse geopolitico fra Minsk e Mosca.
Un’altra opzione nel menu russo sarebbe quella di abbandonare Lukashenko al suo destino, provare a costruire relazioni con l’opposizione e seguire da vicino una pacifica transizione nel Paese. Mosca spererebbe che, alla luce della dipendenza economica di Minsk, un eventuale nuovo governo bielorusso non sia in grado di voltare facilmente le spalle al vecchio partner.
Per il momento, tuttavia, sembra che il Cremlino stia lavorando alla prima opzione, cioè il mantenimento di Lukashenko al potere. Nonostante il bielorusso non sia sempre stato un alleato facile per Putin, ciò che ha sempre reso la loro relazione speciale è stato il simile stile di governo dittatoriale. Si tratterebbe quindi non semplicemente di salvare Lukashenko, ma di precludere che possibilità di rivolta nello spazio post-sovietico possano avere un effetto domino anche sulla Russia.
Inoltre, secondo il Cremlino quanto è in atto a Minsk è geopolitico – “una lotta per lo spazio post-sovietico“, ha detto il ministro degli Esteri Sergey Lavrov – e non ha nulla a che vedere con delle proteste anti-governative.
Le possibili reazioni russe
Le proteste bielorusse sono percepite dal Cremlino come una nuova “EuroMaidan“, un sovvertimento del governo su modello di quanto avvenuto nel 2014 in Ucraina che andrebbe evitato. Per scongiurare questo scenario, le azioni di Mosca sono state finora duplici: la prima è domestica. L’avvelenamento di Navalny intima ai russi di non avventurarsi in proteste anti-governative contro il loro stesso regime. Le manifestazioni bielorusse sono infatti arrivate in un momento in cui la stessa legittimità di Vladimir Putin è messa in discussione, dopo l’esito del referendum che gli consentirà di stare al potere fino al 2036 e alla luce delle massicce proteste nella regione orientale di Khabarovsk. Avvelenando Navalny, l’obiettivo del Cremlino, se non quello di uccidere l’oppositore, sarebbe quello di tenerlo fuori dai giochi politici e di indebolire l’opposizione in vista delle elezioni regionali in Russia.
In secondo luogo, la risposta russa alle proteste bielorusse è stata quella di attivare tutta la rete filo-russa presente nel Paese: l’International Strategic Actions Network for Security ha segnalato un’azione congiunta portata avanti dai media di stato, dall’amministrazione Putin, dai servizi segreti e dal ministero della Difesa russo a Minsk. In particolare, Russia Today e RIA Novosti, insieme alla tv di Stato bielorussa, avrebbero iniziato una campagna di fake news contro la leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya, adesso in esilo in Lituania. I giornalisti e i tecnici che si sono rifiutati di continuare a lavorare nella “Tv di Lukashenko” sono stati sostituiti con operatori russi.
Per gli osservatori occidentali, nelle proteste in Bielorussia non è in ballo la geopolitica o l’integrazione euro-atlantica di Minsk, ma la richiesta di avere nuove e libere elezioni nel Paese. Questa non è, tuttavia, la chiave di lettura del regime russo rispetto alle proteste. Per Mosca, la Bielorussia sarebbe una nuova Ucraina. Dopo le proteste del 2014, Kiev si è rivolta a Occidente.
Oggi, invocando la fine del regime di Lukashenko, i bielorussi potrebbero lasciare l’orbita russa e optare per una maggiore integrazione europea. In più, un successo della rivolta contro l’eterno leader di Minsk dimostrerebbe che è possibile liberarsi di un regime ultra-venticinquennale attraverso proteste di massa. Un esempio che Mosca non vuole venga replicato all’interno dei suoi confini.
Una vera e propria strategia russa sul dossier bielorusso dev’essere ancora definita. Nel frattempo, il Cremlino sembra pronto a sostenere lo sforzo di Lukashenko di rimanere al potere.
Traduzione dall’originale in inglese a cura della redazione.