Diritto, democrazia e debito. Parla Sabino Cassese
Sabino Cassese, giurista e accademico italiano, è giudice emerito della Corte costituzionale. Ha conversato con AffarInternazionali su tre argomenti dibattuti in questa fase nella comunità internazionale: Diritto, Democrazia e Debito.
I problemi sono due. Il primo vede la tendenza a portare il sistema delle fonti nell’ambito del potere esecutivo, e quindi a non rispettare quello che noi chiamiamo il principio di legalità, lo stato di diritto che è il principio base dei nostri ordinamenti; il secondo problema è invece di compliance, ossia di rispetto delle norme. Vediamo il primo problema. In tutti gli ordinamenti moderni, il diritto è quello che concerne dalla legge, e discende dalla legge perché normalmente è adottata dall’organo rappresentativo del popolo. Ora, nella misura in cui molte delle decisioni che si sono succedute negli ultimi tempi sono decisioni prese dai poteri esecutivi, e non dal potere legislativo, c’è una sorta di evasione, di aggiramento, del principio che noi nel nostro ordinamento chiamiamo riserva di legge, il principio in base al quale le norme generali e astratte sono dettate dagli organi amministrativi del popolo. Il secondo aspetto è quello della scarsa compliance, ossia del poco rispetto delle norme, che riguarda anche i trattati internazionali. I trattati internazionali hanno una base contrattuale, ma poi da questo derivano dei principi che vanno rispettati, anzi in molti casi i trattati istituiscono organismi che dettano regole, e queste regole, molto spesso, hanno la stessa forza delle norme internazionali, in qualche caso addirittura superiore, basti pensare agli artt. 10 e 11 della nostra Costituzione. Ora c’è un atteggiamento favorevole all’aggiramento di quest’obbligo, e in modo particolare questo riguarda i trattati multilaterali. Ciò avviene perché i trattati multilaterali costituiscono un vincolo più forte rispetto agli accordi bilaterali, che sono condizionati dalla volontà di due persone. Gli accordi multilaterali sono (primo) condizionati dalla volontà di più persone, (secondo), in molti casi, retti dal principio non di unanimità ma di maggioranza, e (terzo) in moltissimi casi danno luogo all’istituzione di organismi che a loro volta dettano delle altre norme (l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Organizzazione Internazionale del lavoro). Questi principi sfuggono alla volontà del singolo Stato: non sono principi che sono dettati con un criterio che noi chiamiamo nel diritto europeo: intergovernativo. Questi sono i due fenomeni che si stanno realizzando in quest’ultimo periodo.
LA VERTICALIZZAZIONE DEL POTERE
L’indebolimento dello spirito democratico, più che della democrazia, certamente c’è, ed è dovuto fondamentalmente ad un fenomeno che spesso si affaccia quando vi sono emergenze o urgenze. Quello di ritenere che procedure più rapide, normalmente provenienti dal potere esecutivo, risolvono più rapidamente i problemi. Questo è nella maggior parte dei casi un illusione. Infatti, le procedure più rapide spesso sono seguite da una scarsa capacità esecutiva, oppure da un compliance difficile, per il semplice fatto che negli ordinamenti democratici è difficile adoperare strumenti di tipo autoritario o, come dire, unilaterale. Quindi, finiscono per dare l’impressione di decidere presto, ma poi nella realtà l’esecuzione di quella decisione diventa difficile. Molto meglio è che vi siano quelle consultazioni, negoziazioni, e quella partecipazione che sono tipiche di un ordinamento democratico che ha un Parlamento, che si chiama così proprio perché parla, e non solo fra i suoi membri, ma anche con la società. A questo si è aggiunto di recente la tentazione – che non è autoritaria, ma che si ammanta del buon nome rousseauiano della democrazia diretta -, che spinge a ritenere che si possano prendere con un “clic” decisioni collettive e poi delegarne l’attuazione a delle persone vincolate da un mandato. Lei ha capito che mi riferisco al pacchetto delle tre proposte avanzate dal Movimento cinque stelle. Questa è notoriamente una facciata dietro la quale si annida quella che i politologi chiamano verticalizzazione del potere, e che una volta si chiamava concentrazione del potere. Ricordo sempre che “De l’esprit des lois“, dove per la prima volta veniva formulata, come applicato nella Costituzione inglese, la teoria della separazione dei poteri formulata da Montesquieu, in realtà segue di non molti decenni l’esperienza di Luigi XIV, un esperienza che a quell’epoca tutti ricordavano come un esperienza di concentrazione nelle mani di una sola persona, non a caso chiamata “Re Sole”, di tutti i poteri. Quindi la separazione dei poteri come negazione della concentrazione dei poteri.
IL PROBLEMA DEL DEBITO
Il costituzionalismo più antico di tipo anglosassone. Aveva un argomento contro la redazione di costituzioni scritte, che era il seguente: “una generazione non può vincolare la generazione successiva, per consentire ad essa (la generazione successiva ndr) di fare le sue scelte”. Quindi la lunga durata delle costituzioni è stata per lungo tempo ritenuta un fatto negativo perché vincola la facoltà di scelta della generazione successiva. Ora se c’è una cosa che vincola, e duramente, le generazioni successive, è l’accensione di debiti, perché i debiti li pagano quelli che vengono dopo. E questo è il punto determinante della questione che divide la cultura di alcuni Paesi rispetto alla cultura di altri. Il concetto che il debito è facile da fare perché dà dei benefici e non fa affrontare i costi da parte di coloro che fruiscono i benefici, perché i costi vengono spostati a domani. È una critica che spesso viene fatta anche nei nostri ordinamenti. Le faccio un esempio: quando il governo Dini (1995) adottò una legge di riforma delle pensioni e stabilì che quella legge avrebbe avuto un effetto, e si sarebbe applicata dopo qualche anno, qualcuno osservò che era facile fare leggi di questo tipo, perché in questo modo il governo avrebbe goduto di tutti i benefici di un provvedimento illuminato, il cui costo sarebbe stato addebitato a qualcuno che veniva dopo e che andava in pensione un pochino più tardi e avrebbe protestato nei confronti di un altro governo. Questo è un problema di distribuzione dei benefici e dei pesi, dei vantaggi e dei costi, nel corso del tempo, e viola un principio fondamentale, che chi trae beneficio da qualcosa deve anche pagarne i costi, ossia il principio di Adam Smith. Non si può andare a colazione in un bar, fare colazione e poi rinviare il pagamento a un anno dopo. Questa corrispondenza per cui deriva la volgarizzazione popolare della famosa frase di Adam Smith: è dalla reciproca convenienza di colui che fornisce e colui che ne gode, che deriva la massimizzazione del beneficio sociale.