Gli Usa riattivano unilateralmente le sanzioni Onu sull’Iran
Non è bastata l’opposizione del gruppo E3 (Francia, Germania e Regno Unito), Russia e Cina a impedire agli Stati Uniti di ricorrere al meccanismo di ripristino delle sanzioni sull’Iran (snapback), previsto nel Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action), l’accordo da cui Trump si era ritirato in data 5 maggio 2018.
Pertanto, dal 19 settembre scorso l’amministrazione Trump, mediante un’azione congiunta dei dipartimenti di Stato, del Tesoro e del Commercio, ha adottato un complesso di misure miranti a colpire i soggetti coinvolti nei programmi nucleare e missilistico iraniano, nonché a bloccare il trasferimento delle tecnologie connesse.
In particolare, ai sensi dell’ordine esecutivo 13382 in materia di contrasto alla proliferazione di armi di distruzioni di massa, sono finiti nel mirino del Dipartimento di Stato il capo dell’Atomic Energy Organization of Iran (Aeoi) e il capo della società Tesa Kashan Complex, che si occupa delle tecnologie per le centrifughe.
In base allo stesso provvedimento, il dipartimento del Tesoro ha adottato misure sia contro il programma nucleare iraniano, includendo nella blacklist quattro figure apicali dell’Aeoi, il Nuclear Science and Technology Research Institute (Nstri) per ricerca e sviluppo nel nucleare e la società Mesbah Energy Company per la produzione di acqua pesante, sia il programma missilistico, designando cinque individui e tre entità, tra cui Shig’s Shahid Haj Ali Movahed Research Center, per la cooperazione tecnica con la Corea del Nord.
Infine, il dipartimento del Commercio ha imposto restrizioni alle esportazioni verso cinque soggetti iraniani legati all’Aeoi.
Armi convenzionali
Elemento cardine del nuovo round di sanzioni è l’adozione da parte del Presidente Trump dell’ordine esecutivo 13949 “Blocking Property of Certain Persons with Respect to the Conventional Arms Activities of Iran” in attuazione di un embargo di armi convenzionali illimitato sull’Iran. L’imminente scadenza dell’embargo di armi imposto dal Consiglio di Sicurezza, in data 18 ottobre, ha sollevato la questione della proroga tra le parti del Jcpoa: da un lato, Russia e Cina si oppongono al rinnovo, dall’altro, gli Usa spingono a che il regime di Teheran non entri più in possesso di aerei da guerra, carri armati e altre armi convenzionali. Nel mezzo vi è l’Ue, che ha stabilito un embargo unilaterale fino al 2023, suscettibile di essere ritirato in caso di buona condotta di Teheran.
L’ordine esecutivo 13949 prevede, in particolare, il congelamento dei beni e il divieto di transazioni con individui o entità (i) che effettuano trasferimenti di armi e materiale d’armamento da e verso l’Iran nonché la relativa assistenza tecnica o finanziaria, (ii) intraprendono operazioni che contribuiscono o rischiano di contribuire alla proliferazione di armi e materiale d’armamento nonché la relativa assistenza tecnica o finanziaria, (iii) che sono posseduti o controllati o che agiscono per conto di individui/entità sanzionati ai sensi di tale ordine esecutivo.
Snapback o kickback?
Gli Stati Uniti hanno implementato lo snapback con l’obiettivo di contrastare in maniera massiccia l’attività di proliferazione in Iran. Tuttavia, in concreto, tale operazione rischia di generare un contraccolpo (o kickback) sia sul piano delle alleanze, sia sul piano degli equilibri globali.
Sotto il primo profilo, tali misure hanno ulteriormente allontanato le sponde dell’Atlantico, non solo a causa dell’extraterritorialità delle sanzioni che impongono divieti anche a operatori non sottoposti alla giurisdizione Usa, compresi gli europei, ma soprattutto perché rischiano di vanificare gli enormi sforzi diplomatici del gruppo E3 che – secondo quanto riporta il New York Times – ha ribadito in una lettera l’impegno a tenere in piedi l’accordo.
In ottica geopolitica, lo snapback dà una spinta definitiva all’Iran verso Est, dove Cina e Russia prevedibilmente terranno poco in conto le misure statunitensi, come fatto in passato, dimostrando, anzi, l’inefficacia di misure adottate unilateralmente, senza il consenso degli altri attori chiave della scena internazionale.
Dalla cooperazione alla competizione
Gli Usa, storicamente garanti di un ordine internazionale fondato sui principi di stato di diritto, democrazia e diritti umani, si trovano oggi a fronteggiare le sfide poste dalle potenze emergenti Cina e Russia che propongono un modello di governance autoritario, che subordina il rispetto del diritto internazionale all’interesse nazionale. Tale atteggiamento mina alle basi il sistema di sicurezza internazionale fondato sui trattati, in particolare il controllo sulle armi e la non proliferazione.
Dal canto loro, gli Stati Uniti stanno contribuendo a smantellare tale architettura, ritirandosi dai trattati, in quanto ritenuti obsoleti e limitanti nel contrasto alle forze antidemocratiche. Pertanto, la sicurezza internazionale è affidata sempre meno al dialogo, alle misure per la costruzione di fiducia reciproca e a sistemi di verifiche e sempre più a strategie di sicurezza nazionale.
Di qui, la transizione dalla cooperazione e multilateralismo alla competizione e unilateralismo. Se il ripiegarsi in sé stessi degli Usa, flettendo i muscoli, sia una strategia vincente per ottenere il primato, in primis tecnologico, è difficile dirlo a priori. Di certo, un atteggiamento poco collaborativo con l’intera comunità internazionale, inclusi gli alleati europei, spinge l’obiettivo ancora più lontano.
Questa pubblicazione fa parte di una serie realizzata in collaborazione con lo Studio Legale Padovan.