La Cina è ancora una potenza nucleare moderata?
La crescita della Cina come potenza economica e politica globale e la moltiplicazione dei suoi interessi rendono inevitabile un rafforzamento della sua potenza militare che si va estrinsecando in terra, aria, mare ed ora anche nello spazio extra atmosferico ed in quello cibernetico. È da evitare che ciò avvenga anche nel settore delle armi nucleari.
Per quanto il termine “potenza nucleare moderata” sia un ossimoro, poiché non vi è nulla di “moderato” nel dotarsi dell’arma nucleare, l’espressione appariva sinora appropriata nel caso della Cina se si mette a confronto la sua politica nucleare con quella delle altre maggiori potenze.
Sin dal primo test atomico nel 1964, Pechino dichiarò che non avrebbe impiegato per prima l’arma atomica (No First Use) né a minacciarne l’uso. Successivamente Pechino si impegnò, senza porre condizioni, a non impiegarla contro gli Stati che non la posseggono. Anche altri Stati nucleari lo hanno fatto sottoponendo però tale impegno a condizioni che ne indeboliscono la credibilità. Delle rimanenti potenze nucleari, solo l’India ha adottato sinora la dottrina del non primo uso nonostante il fatto che il suo rivale, il Pakistan, non escluda affatto il primo impiego.
Un arsenale “pacifico”…
La relativa moderazione cinese viene corroborata sul piano quantitativo dal numero di testate, presumibilmente circa 300, che è più di dieci volte inferiore a quelle possedute dalle “superpotenze” nucleari Usa e Russia e si colloca, almeno per ora, al livello degli arsenali delle potenze nucleari minori come la Francia il Regno Unito, l’India e il Pakistan. Essa ha resistito alle maldestre insistenze di Trump di associarla al negoziato Usa-Russia sulle riduzioni strategiche che pure avrebbe potuto permettere ai cinesi di pareggiare il proprio arsenale strategico con quello molto superiore dei russi e americani. Pechino sostiene inoltre di mantenere proprie testate nucleari separate dai loro vettori il che rende più credibile la sua posizione sul non primo uso e detiene ancora lanciatori con carburante liquido poco adatti ad un lancio immediato.
Questo approccio “moderato” al nucleare perde parte della sua credibilità se si considera la sua natura prevalentemente unilaterale, il fatto che non è legalmente vincolante e che è reversibile e non sottoposto a verifiche. Non vi è impegno che impedisca a Pechino di ammodernare il proprio arsenale e di incrementarlo. Assieme agli Stati Uniti, la Cina è uno dei pochi paesi a non aver ancora aderito al Trattato Ctbt che proibisce gli esperimenti nucleare, uno dei pilastri della pace e della sicurezza internazionale.
… (ma non troppo)
La Cina non è mai stata vincolata da accordi come il defunto Trattato Inf affondato da Trump, che proibiva i missili nucleari a raggio intermedio agli Usa e alla Russia. Risale a poche settimane fa la notizia, rilevata attraverso immagini satellitari commerciali, che Pechino starebbe costruendo 120 silos missilistici nella provincia di Gansu. Immagini successive rivelano un secondo campo di silos simili nello Xinjiang orientale che potrebbe includere circa altri 110 silos.
La costruzione di centinaia di queste costose installazioni nucleari potrebbe essere l’indicazione dell’intenzione di incrementare il proprio arsenale missilistico e possibilmente di dispiegare un numero ancora superiore di testate poiché i moderni missili cinesi sono a testata multipla. Nulla esclude però che si tratti invece di un modo per sfuggire ad un eventuale attacco disperdendo tra i numerosi nuovi silos il relativamente ridotto numero di missili e testate che Pechino attualmente possiede.
Questa scoperta non risulta esser stata confermata o smentita da parte di un Paese che mantiene sulle questioni militari una tradizionale opacità.
Patti chiari, amicizia lunga
L’Unione europea non può ignorare la nuova realtà militare cinese. Indipendente dal se la Cina venga definita “partner strategico” o un “rivale sistemico” è necessario che le questioni nucleari vengano poste sull’agenda del dialogo strategico che da decenni è stato stabilito tra la Cina e l’Ue, ma che sinora si è principalmente occupato di questioni economiche e industriali.
Poiché a tali vertici è stato associato l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, attualmente lo spagnolo Josep Borrell, è necessario che vi si affrontino anche i temi della sicurezza militare. Benché non vi sia un consenso totale in seno all’Ue sui temi nucleari, sussistono questioni su cui vi è in Europa ampia convergenza. Tutti i Paesi europei, come anche la Cina, sostengono pienamente il Trattato sulla Non proliferazione nucleare che celebrerà il prossimo gennaio la sua decima Conferenza di riesame.
La Cina e l’Ue partecipano ai negoziati per salvare l’intesa Jcpoa sul nucleare iraniano che sono presieduti da Borrell e sulla quale le posizioni tra Bruxelles e Pechino sono convergenti. Tutti gli Stati membri hanno ratificato la proibizione dei test nucleari ed hanno titolo per chiedere che Pechino faccia altrettanto senza aspettare che lo faccia prima Washington. Tutti i Paesi europei sostengono l’interruzione della produzione di materiale fossile a scopi bellici e possono legittimamente chiedere a Pechino di aderire alla moratoria sulla produzione già mantenuta da Stati Uniti, Regno Unito Francia e Russia. Non è necessario appartenere all’area Asia-Pacifico per incoraggiare Pechino ad una maggiore trasparenza nel campo degli armamenti.
L’impegno Ue
La Strategia europea contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa fu lanciata, sotto presidenza italiana, nel 2003 e cioè quasi 20 anni fa, quando la Cina non veniva ancora vista come un pericolo, e quando alcune minacce, come quella cibernetica, ancora non esistevano. È tempo che essa venga aggiornata.
Ma soprattutto è indispensabile che l’Europa si adoperi affinché Pechino non faccia passi indietro, come purtroppo hanno fatto altri Paesi nucleari, rispetto a posizioni più avanzate già assunte nel campo del controllo degli armamenti ed in particolare quella sul Non Primo Uso dell’arma atomica. La stabilità strategica va mantenuta attraverso una riduzione degli armamenti, non attraverso una nuova e costosa corsa al riarmo.
Foto di copertina EPA/WU HONG