Biden e Johnson: divisi dalla Brexit, uniti su tutto il resto
Boris Johnson non ha perso tempo: non appena la vittoria di Joe Biden è apparsa chiara, il primo ministro britannico si è prontamente congratulato con il futuro presidente.
E del resto, Johnson deve recuperare terreno: è stato definito da Biden “un clone emotivo e fisico” di Donald Trump, né lo aiuta essere soprannominato, sull’altra sponda dell’Atlantico, il “Trump britannico“. Per non parlare della gaffe del 2016, quando aveva accusato Obama di avere un’avversione atavica per l’Impero britannico in quanto “mezzo-keniano” – un episodio riportato a galla dopo le elezioni da un ex consigliere di Obama.
In realtà la vittoria di Biden alla Casa Bianca presenta, per Johnson, rischi e opportunità: rischi sul progetto qualificante della sua premiership, e della sua carriera politica tutta, la Brexit. E l’opportunità di rinverdire, sullo scacchiere internazionale, la famosa “special relationship“, quella relazione asimmetrica più importante per Londra che per Washington, soprattutto ora che, con l’uscita dall’Unione europea, il Regno Unito è un po’ meno utile all’America.
L’ostacolo Brexit
Con le elezioni del 2020, si spezza quel filo ideologico che ha legato la Brexit a Trump: Johnson perde un leader populista come lui e un sostenitore della Brexit – e con ciò la promessa di un rapido accordo commerciale con gli Usa, così importante per la strategia (e la retorica) del primo ministro britannico.
Biden, al contrario, non ha mai nascosto l’avversione alla Brexit e, memore delle sue radici irlandesi, ha lamentato i rischi al processo di pace in Nord Irlanda, che, ha detto, non può diventare “una vittima della Brexit”. Gli Accordi del Venerdì Santo, che hanno posto fine a decenni di Troubles e portato la pace tra cattolici e protestanti, hanno un valore speciale per i democratici americani, visto il ruolo svolto da Clinton nel negoziato.
La vittoria democratica allontana la prospettiva di un accordo commerciale immediato tra Londra e Washington, non fosse altro perché per Biden non è una priorità – né lo sarà necessariamente il rapporto con Londra. È probabile che il futuro presidente guardi a Parigi e a Berlino come interlocutori privilegiati in Europa.
Inoltre, l’Internal Market Bill, il disegno di legge britannico che rimette in discussione alcuni degli impegni assunti da Londra con l’Ue in sede di divorzio, in particolare sul protocollo relativo alla delicata questione dei confini dell’Irlanda del Nord, ha destato preoccupazione tra i democratici. “Se il Regno Unito dovesse violare quel trattato internazionale e la Brexit minare gli Accordi del Venerdì Santo, non ci sarebbe alcuna possibilità che il Congresso approvi un accordo commerciale”, ha ammonito Nancy Pelosi nel settembre scorso.
Fonti del governo giurano che la vittoria di Biden non modifica la posizione di Downing Street sulla Brexit o sull’Internal Market Bill. In verità, un presidente americano meno ben disposto è per Londra un incentivo a chiudere l’accordo commerciale con Bruxelles, abbandonando definitivamente la suggestione di una Brexit “pura” con un no-deal. Anche la drammatica uscita di scena di Dominic Cummings, lo stratega di Johnson e Brexiteer di ferro, rimuove un potenziale ostacolo al compromesso, proprio quando il negoziato è nelle fasi finali.
Gli altri dossier
Se la Brexit pone degli ostacoli oggettivi, anche se non insormontabili, su altri dossier internazionali Johnson e Biden sono allineati su posizioni politiche tradizionali. Su Iran, Russia, cambiamento climatico, Nato e questioni di sicurezza, una Casa Bianca stabile e decisa a rafforzare istituzioni internazionali e iniziative multilaterali offre maggiori garanzie di cooperazione che non un Trump unilateralista e imprevedibile.
Una buona notizia per Johnson, che vede il 2021 come un anno fondamentale – pandemia permettendo – per rilanciare il Paese e la sua idea di “global Britain“: il Regno Unito avrà la presidenza del G7 e ospiterà a Glasgow la COP26, il summit delle Nazioni Unite sul clima co-presieduto dall’Italia.
Il volume degli scambi commerciali e investimenti con gli Usa, e lo status del Regno Unito, che anche con la Brexit resta una potenza commerciale e militare e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, fanno il resto.
Ieri, oggi e domani
Inoltre, Biden è un pragmatico. Dopo la vittoria, ha incluso Boris Johnson tra i primi capi di governo con cui ha preso contatto, dopo quello canadese e insieme agli altri principali leader europei (anche se ha immediatamente sollevato la questione nord-irlandese).
Al contrario, Donald Trump aveva relegato Theresa May al nono posto nella lista delle telefonate, ma si sa che tra i due non correva alcuna simpatia. Il possibile futuro segretario di Stato di Biden, il senatore Chris Coons, intervistato dalla Bbc, ha sottolineato come le elezioni rappresentino un’occasione per un “nuovo capitolo” nelle relazioni transatlantiche.
Johnson non avrà con Biden l’affinità ideologica e personale che aveva con Trump, anime gemelle quanto lo erano state prima di loro Reagan e Thatcher, Clinton e Blair. Ma se riuscirà a superare lo scoglio della Brexit, può sperare in relazioni solide e produttive.