Siria davanti alla giustizia internazionale: prospettive per le vittime di tortura
Se per anni il conflitto in Siria è stato al centro della scena mediatica internazionale, l’attenzione si è progressivamente spenta in seguito alla riconquista, supportata e foraggiata da Russia e Iran, di buona parte del Paese da parte del regime di Bashar al Assad.
Un rischio della fase attuale è che vengano meno gli sforzi per perseguire i crimini commessi durante il conflitto, sulla scia della generale accettazione della vittoria militare di Assad. Una recente iniziativa diplomatica dei Paesi Bassi, tuttavia, potrebbe riaccendere le speranze riguardo alla possibilità di ottenere giustizia per le vittime di tortura in Siria.
La mossa olandese
Il 18 settembre scorso, il ministro degli Esteri olandese, Stef Blok, ha inviato una nota diplomatica al governo siriano informandolo che i Paesi Bassi intendono invocare la responsabilità internazionale della Siria per violazioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Cat).
In particolare, il governo olandese richiede formalmente la cessazione immediata di tutti gli atti di tortura e altri maltrattamenti, l’avvio di indagini e processi contro i responsabili, e la riparazione dei danni alle vittime.
A tal fine va seguita la procedura a tre fasi prevista dall’articolo 30 della Convenzione. Innanzitutto, i Paesi Bassi devono tentare un negoziato con quello siriano, fallito il quale tocca tentare la via dell’arbitrato internazionale. Passati sei mesi dalla richiesta di arbitrato senza che vi sia accordo sulla sua organizzazione, i Paesi Bassi potranno sottoporre la questione alla Corte internazionale di giustizia (Cig) dell’Aia.
I tentativi di negoziato e arbitrato tra le parti andranno probabilmente a vuoto, data la ferma opposizione di Damasco. Si apre quindi la prospettiva che la Cig esamini l’apparato repressivo siriano e il sistema di torture su cui esso si basa.
I poteri della Corte internazionale di giustizia
La Cig potrà appurare quali norme contenute nella Convenzione siano state violate dallo Stato siriano, dichiararne la responsabilità e stabilire le riparazioni dovute alle vittime. A differenza della Corte penale internazionale, invece, non ha la facoltà di accertare la responsabilità penale individuale dei presunti autori di tortura.
Poiché i procedimenti di fronte alla Cig possono durare anni, è probabile che i Paesi Bassi richiederanno l’adozione di misure provvisorie volte a proteggere nell’immediato le vittime di tortura. Attraverso tali misure potrebbe essere richiesto al governo siriano di intraprendere una serie di azioni, tra cui la revisione della legislazione nazionale sulla tortura, l’avvio di procedimenti penali contro i presunti responsabili, la conservazione delle prove dei crimini commessi, il miglioramento delle condizioni di detenzione, nonché garantire libero accesso ai luoghi di detenzione da parte di organismi internazionali e organizzazioni non governative.
Sebbene tali misure provvisorie, così come un’eventuale sentenza di condanna, abbiano carattere vincolante è probabile che il regime di Assad si rifiuti di attuarle (come accaduto di recente nel caso del Myanmar). A differenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, infatti, la Cig non ha il potere di applicare forzatamente le proprie decisioni.
L’impasse della giustizia internazionale
Se in linea di principio i responsabili di torture e maltrattamenti possono essere processati di fronte alla Corte penale internazionale, nel caso della Siria la competenza di quest’ultima necessita di essere attivata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, poiché il Paese non ha ratificato lo Statuto di Roma.
Si tratta tuttavia di un’opzione assai remota, a causa del veto russo e cinese in seno al Consiglio, già esercitato nel 2014 e ripetutamente minacciato negli anni seguenti. Alla medesima condizione è sottoposta la creazione di un Tribunale speciale simile a quelli istituiti negli Anni Novanta per giudicare i crimini commessi nell’ex Jugoslavia e in Ruanda.
Se al momento la giustizia internazionale sembra quindi affrontare un’impasse, in Europa e in America si sono cominciati a celebrare processi contro ex soldati del regime di Assad, ribelli e membri dell’Isis. Il processo più rilevante si è aperto il 23 aprile scorso a Koblenz, in Germania, nei confronti di due ex alti ufficiali dei servizi segreti siriani. Ulteriori procedimenti contro agenti del regime sono stati avviati in Austria, Svezia e Norvegia, mentre mandati d’arresto sono stati spiccati in Francia e Germania.
Tali procedimenti possono beneficiare dei dati e delle analisi elaborati sia dalla Commissione di inchiesta sulla Siria, attiva sin dal 2011, che dal cosiddetto Iiim (International, Impartial, and Independent Mechanism for Syria), creato nel 2016 dall’Assemblea generale dell’Onu con il compito di svolgere indagini penali sui crimini commessi in Siria.
Niente illusioni
Non bisogna farsi illusioni sul fatto che le vittime di tortura e di altri crimini perpetrati in Siria possano ottenere giustizia nel futuro prossimo: se ciò avverrà, il cammino sarà lungo e non privo di ostacoli. I processi in Europa e in altri Paesi potranno celebrarsi contro un numero assai limitato di responsabili, dando quindi soddisfazione a poche decine o centinaia di vittime. Tuttavia, questi costituiscono un passo fondamentale nella lotta all’impunità in Siria, e si può sempre sperare che facciano da apripista a futuri processi a livello internazionale.
In tale contesto, la mossa olandese offre l’occasione di un accertamento giudiziario delle torture sistematiche e diffuse di cui è responsabile il regime siriano. A sua volta ciò potrebbe costituire uno strumento di pressione diplomatica nei confronti della Siria e dei Paesi terzi che intendano ristabilire rapporti diplomatici con essa o partecipare al processo di ricostruzione del paese. Tale pressione sarà tanto più efficace quanti più Stati si uniranno al procedimento avviato dai Paesi Bassi.
Le opinioni espresse dall’autore sono a titolo personale e non possono essere attribuite all’International Commission of Jurists