IAI
Una sfida culturale per Biden

Jesus a Capitol Hill

11 Gen 2021 - Cesare Merlini - Cesare Merlini

Fra le insegne multiformi e multicolori agitate dalla folla che il 6 gennaio scorso ascoltava il discorso di Donald Trump e, da esso incitata, si accingeva a dare l’assalto al bianco e classicheggiante Capitol Hill, spuntavano striscioni con su scritto Jesus in grande e qualcos’altro in piccolo (in alto a sinistra nella foto di copertina EPA/Will Oliver).

E che diavolo – se è permesso l’accostamento verbale – ci faceva il nome di Gesù fra le grida per il furto delle elezioni, gli inviti ad impiccare Nancy Pelosi, le bandiere confederate o quant’altro si vedeva brandire dai rivoltosi con cinturoni di cuoio e berretti rossi?

Era lì a rivelare la presenza e il ruolo delle organizzazioni cristiane fra i fan del presidente sconfitto e non rassegnato. Infatti, uno degli accorgimenti retorici più comuni dei popolarissimi predicatori, che di esse sono l’anima, è quello di invitare gli incantati (e paganti) ascoltatori a scegliere di fare nella loro vita “quello che farebbe Gesù”. Il che potrebbe sollevare qualche arduo interrogativo, se l’ispirato oratore non avesse lì dal podio sempre la risposta pronta.

Prima per importanza fra tali organizzazioni è quella dei cosiddetti Evangelicals, che rappresentano circa un quarto dei cittadini americani bianchi. Nelle elezioni del 2016, l’80% di loro aveva votato per l’outsider tycoon, maschio dalla chioma gialla e dalle dubbie credenziali religiose. Non dovrebbe essere molto diversa la percentuale che lo ha fatto nel 2020 (lo sapremo presto). E anche nel novembre scorso qualcuno di loro avrà votato Trump, facendo finta di credere che così avrebbe fatto Gesù.

I cristiani evangelici sono solo una parte dello zoccolo duro dei sostenitori di The Donald, zoccolo la cui consistenza numerica e la cui forza politica e territoriale sono deducibili dall’impegno a non alienarselo posto dai vertici di un Grand Old Party spostato sempre più di destra e diventato sempre meno conservatore.

Già all’indomani dell’assalto al tempio del Parlamento, il comitato nazionale repubblicano ha condannato la violenza, ma plaudito a chi tale violenza aveva aizzato, più o meno con le parole usate dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni a casa nostra.

Vi sono prese di distanza da questa linea del partito repubblicano, certo – e il loro numero appare crescente – ad anticipare un futuro di scontri laceranti al suo interno fra l’anima tradizionalista amica del business, ora minoritaria, e quella populista, ora trumpiana.

Ecco, le posizioni che tenderanno ad assumere in prevalenza le varie fazioni degli evangelici, anche in relazione agli atteggiamenti delle molte altre denominazioni religiose americane – quella cattolica compresa – potranno avere un’influenza determinante sull’esito della competizione.

Il che invita a guardare al contesto socio-culturale degli Stati Uniti nel tempo che viene. Come molti analisti hanno fatto notare, il fiorire del populismo è stato alimentato dalla disuguaglianza economica crescente – non solo americana – già ben prima delle cesura storica del 2016.

L’attesa che tale cesura venga almeno in parte ricomposta nel quadriennio appena iniziato si trova davanti al drammatico ostacolo aggiuntivo (non solo americano) della pandemia che sta avendo l’effetto di esaltare le disuguaglianze e aggravarne le conseguenze. Donde l’inevitabile permanere di una pressione politica verso il populismo.

Il ticket presidenziale Biden-Harris, stando alle anticipazioni programmatiche e alle scelte dei componenti della nuova amministrazione, sembra essere ben cosciente delle sfide sanitarie ed economiche che ha di fronte. Si suggerisce qui che ne deve contemplare una terza: quella dell’educazione, della formazione e della cultura.

Più che in altre nazioni, in quella americana la disuguaglianza ha colpito e colpisce da anni il sistema scolastico e universitario, dove le disparità appaiono sempre più profonde. E le indagini demoscopiche evidenziano come la crescita delle frustrazioni identitarie, oltre che economiche e sociali, si accompagni con, anzi derivi dal diminuire dei gradi di istruzione, dei livelli di conoscenza e dei quozienti di intelligenza.

Della conseguente maggiore vulnerabilità alla disinformazione, alle fake news, ai falsi slogan politici e, perché no, alle superstizioni religiose abbiamo avuto una rappresentazione non priva di colpi di teatro dalle parti di quello che è stato chiamato il cuore della democrazia americana nella prima settimana del 2021.

Joe Biden ha vinto la battaglia elettorale, sia per la presidenza sia per il controllo del Congresso. Adesso deve affrontare quella di cambiare (un po’) l’America.