I nodi irrisolti dell’accordo sugli investimenti tra Ue e Cina
È ormai consuetudine che affari riguardanti la Cina attirino l’attenzione; in questo caso sette anni di negoziato terminati con uno sprint finale in chiusura d’anno (e di presidenza tedesca del Consiglio) hanno indubbiamente contribuito. Per la Commissione europeo si è concluso il tanto agognato accordo comprensivo sugli investimenti con la Cina. Eppure, il dibattito sembra tutt’altro che concluso, con Stati membri, membri delle istituzioni europee ed esperti che continuano a soppesarne i risultati.
Persino l’indubbio vantaggio principale della conclusione dell’accordo ovvero quello di aver appianato, almeno in parte, le regole del gioco per Unione europea e Cina è stato messo in discussione. Gli svantaggi sono principalmente di natura intangibile, almeno per il momento, e riguardano l’ormai consueta incoerenza da parte di Bruxelles e il rischio di aver fatto tanta confusione – e fatica – per poco o nulla.
Cosa prevede l’intesa
Procediamo dunque con ordine, cosa guadagnerebbe l’Ue dall’accordo? Maggiore accesso al mercato cinese. Nelle condizioni attuali, pre-accordo, le compagnie europee hanno accesso limitato al mercato cinese e le capacità di fare affari sono danneggiate dal trattamento preferenziale riservato alle compagnie cinesi. Nonostante la Cina abbia mantenuto certi ambiti off-limits, quali il settore automobilistico, dell’aviazione e della sanità, numerosi altri sono ora tecnicamente di libero accesso per le compagnie europee. Compagnie europee e cinesi, cioè, riceveranno lo stesso trattamento.
Perché tecnicamente? Perché i due attori hanno deciso di escludere dall’accordo la permanenza dei propri meccanismi di controllo degli investimenti, quindi lasciando una più o meno arbitraria – a seconda del meccanismo in discussione – via libera a bloccare investimenti poco desiderati. Infatti, sebbene spesso questi meccanismi siano pensati in difesa della sicurezza nazionale, l’ampia definizione che la sicurezza ha assunto negli anni permette un più esteso utilizzo di questi meccanismi. Considerando che di recente la Cina ha adottato proprio questo tipo meccanismo e che l’Ue ne possiede uno attivo da questo autunno, ma soprattutto che la maggior parte degli Stati membri ne è già munita, il rischio è di inciampare in una serie di battibecchi tecnici ed eventuali ripercussioni proprio in relazione agli investimenti che occupano aree grigie di definizione. In tal caso, l’accordo contiene istruzioni riguardanti la sua implementazione ed eventuali meccanismi per risolvere le dispute, affidati ad un organo terzo, ma la sua effettiva efficacia è in dubbio.
Inoltre, alcune delle aperture ottenute dall’Ue già esistono, mentre altre sono da tempo in divenire in Cina; il problema resta l’effettiva materializzazione di queste riforme. Tuttavia, sarà necessario attendere il testo definitivo per valutare gli effettivi vantaggi economici e commerciali.
Il messaggio a Washington e i valori Ue
Passiamo dunque agli svantaggi. Come si è detto gli svantaggi sono principalmente di natura intangibile, ma non per questo necessariamente meno rilevanti. Il primo elemento è il messaggio mandato a Washington. Nonostante i segnali arrivati dalla futura amministrazione Biden di volersi consultare con Bruxelles sulla questione, l’Ue è andata avanti per la propria strada, reiterando comunque le proprie intenzioni in materia di futura collaborazione con gli Stati Uniti per quanto riguarda l’approccio alla Cina. In questo caso, il problema è marginale poiché difficilmente questo incrinerà possibili future sinergie con gli Stati Uniti , l’amarezza e la sorpresa iniziale passeranno.
Il secondo problema è di vecchia data e riguarda la coerenza dell’agenda e dell’identità dell’Unione europea. Non è una novità che l’Ue abbia difficoltà a riconciliare i propri valori fondanti con gli interessi commerciali, né che spesso i primi vengano sacrificati in difesa dei secondi. In questo caso i diritti dei lavoratori sono stati sacrificati per ottenere accesso al mercato cinese. La Cina infatti si impegna a ratificare due trattati dell’Organizzazione internazionale del lavoro in modo continuato e sostenuto. Purtroppo, numerosi precedenti dimostrano che questo impegno altro non è che un contentino destinato a non avere seguito.
Scontro con il Parlamento europeo
Un conto, però, è convivere con tale contraddizione, un altro è metterla in evidenza, come si è fatto di recente. Nelle stesse settimane in cui il Parlamento europeo approvava una risoluzione in difesa degli uiguri – la minoranza musulmana dello Xinjiang, nel nord-est della Cina, ndr -, la Commissione annunciava la prossima conclusione degli accordi con la Cina. Il messaggio a questo punto non è solo di incoerenza nelle proprie azioni, ma di divisione e mancanza di coordinamento tra le istituzioni europee.
Si giunge dunque al terzo problema, le frizioni oramai di pubblico dominio tra Commissione e Parlamento. L’accordo è stato pubblicizzato come concluso, eppure la ratifica dei trattati internazionali nell’Unione europea non funzionano così; sebbene gli Stati membri abbiano ufficiosamente dato il via libera, manca ancora quello ufficiale, e soprattutto manca il voto del Parlamento europeo, che potrebbe rendere l’effettivo compimento dell’accordo un po’ più complesso.
Indipendentemente da come ci si schieri nel dibattito riguardante i valori dell’Ue e il ruolo che questi dovrebbero giocare nella sua politica estera e interna, l’Unione europea convinta di non poter ottenere un accordo migliore ha portato le proprie contraddizioni all’esasperazione ed ora rischia di non vedere i frutti sperati, i quali, in teoria, giustificherebbero il sacrificio dei propri valori.