IAI
Parlano Ferdinando Nelli Feroci, Nicoletta Pirozzi ed Ettore Greco

Brexit: dall’Ue una procedura d’infrazione contro il Regno Unito

1 Ott 2020 - Ferdinando Nelli Feroci, Nicoletta Pirozzi, Ettore Greco - Ferdinando Nelli Feroci, Nicoletta Pirozzi, Ettore Greco

L’Unione europea lancia un’azione legale contro il Regno Unito per la violazione da parte di Londra del patto di divorzio sulla Brexit. L’annuncio arriva direttamente dalla presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen: “La Commissione europea ha inviato oggi al Regno Unito una lettera di messa in mora per aver violato i suoi obblighi ai sensi dell’accordo di recesso. È l’inizio di una procedura formale di infrazione contro il Regno Unito che ha un mese per rispondere alla lettera di oggi”. Da Londra fanno sapere che Boris Johnson non intende fare passi indietro sull’Internal market Bill, legge oggetto del contendere.

In questo podcast le opinioni di Ferdinando Nelli Feroci (Presidente dello IAI), Nicoletta Pirozzi (Responsabile delle relazioni istituzionali e del programma “Ue, politica e istituzioni”) ed Ettore Greco (Vicepresidente vicario. Responsabile programmi “Multilateralismo” e “Politica estera dell’Italia”). In apertura il servizio sul tema di Euronews.

 

 

FERDINANDO NELLI FEROCI
La Commissione europea ha ufficialmente annunciato l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del Regno Unito per violazione di norme del diritto europeo. Era un’iniziativa già annunciata, non coglie di sorpresa e direi che è quasi un atto dovuto da parte della Commissione, dopo che il governo britannico aveva presentato al parlamento di Westminster un disegno di legge, l’Internal Market Bill, il quale si proponeva apertamente di violare alcune disposizioni dell’accordo di recesso. Accordo che – occorre ricordarlo – era stato solennemente firmato dal governo britannico, era stato sottoscritto anche dalla Commissione europea, ovviamente a nome dei 27, ma soprattutto era stato ratificato dal Parlamento britannico. Le disposizioni dell’accordo che sarebbero violate dall’Internal market Bill sono quelle che si riferiscono alla famosa questione irlandese, alla regolamentazione del transito delle merci al confine tra le due Irlande. Con questa mossa la Commissione non compie che un atto dovuto: di fronte a una violazione così flagrante riconosciuta dagli stessi autori del diritto europeo, non aveva altra strada che aprire una procedura di infrazione. Ma la procedura di infrazione è lunga. Oggi si apre con l’avvio di una lettera con la quale si chiede al governo britannico di fornire spiegazioni; si aprirà un’interlocuzione con il governo di Londra, e tutto ritenere che nonostante questa iniziativa il negoziato possa proseguire, perché è nell’interesse di entrambe le parti raggiungere una positiva conclusione di questo negoziato. L’iniziativa di oggi va interpretata come un’evidente tentativo da parte di Bruxelles di esercitare ulteriori pressioni su Londra, così come Londra va fatto nei confronti di Bruxelles presentando l’Internal market Bill, ma il negoziato, che nonostante tutto è proseguito anche nelle ultime settimane, dovrebbe continuare ad andare avanti. I punti in sospeso riguardano soprattutto i regimi di pesca e i regimi degli aiuti di Stato. Sono punti complessi, controversi, ma ci sono margini per raggiungere un accordo. Un accordo è nell’interesse evidente di entrambe le parti, soprattutto di Londra, ma anche di Bruxelles. C’è da ritenere e da sperare che prevalga il buonsenso e che quindi si possa, nelle prossime settimane, definire un intesa che regoli per il futuro l’assetto delle relazioni tra il Regno Unito e l’Unione Europea dopo la definitiva uscita del Regno Unito dall’Ue.

NICOLETTA PIROZZI
La proposta avanzata il 9 settembre scorso da parte del governo britannico guidato da Boris Johnson per un Internal market Bill, e cioè una proposta di legge sul mercato interno, aveva suscitato subito reazioni molto negative da parte dei vertici europei. Si erano espressi in maniera contraria sia la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, sia il presidente del consiglio europea Charles Michel, sia il capo negoziatore Michel Barnier. Tutti avevano insistito sulla necessità da parte della Gran Bretagna di rispettare gli accordi presi con l’Unione europea il 31 gennaio scorso, sulla base dei quali sono stati avviati una serie di round di negoziati che avrebbero dovuto portare a una conclusione di un accordo formale tra le due parti alla scadenza del periodo di transizione il 31 dicembre di quest’anno. A parole Londra ha dichiarato di voler tutelare la tenuta interna del regno unito e proteggere la propria unione doganale attraverso questa proposta di legge. Tuttavia la proposta di legge determina una serie di problemi relativi all’accordo preso con l’Ue, che hanno a che fare, in particolare, con la questione dell’Irlanda del nord, ossia l’accettazione dei controlli doganali e di conformità commerciali dei prodotti diretti sull’isola dalla Gran Bretagna, e in secondo luogo, il ruolo del governo britannico nei sussidi all’economia, non previsti dalla normativa comunitaria sugli aiuti di stato, e che doveva servire a tutelare un terreno di gioco livellato per le aziende europee e britanniche. L’Ue ha chiesto al Regno Unito di porre rimedio a questa situazione e di eliminare i punti controversi all’interno della proposta di legge entro la fine di settembre. Nel suo discorso sullo stato dell’unione la presidente della Commissione europea aveva anche richiamato l’insegnamento di Margaret Thatcher e la necessità da parte della Gran Bretagna di rispettare gli accordi internazionali per non perdere la sua credibilità. Tuttavia, tutto ciò non è servito. Questa settimana la Camera dei comuni ha definitivamente approvato la proposta di legge. A questo punto per l’Unione Europea non c’era altra alternativa di agire in maniera decisa e farlo attraverso le vie legali. è per questo che l’Unione ha promosso una procedura di infrazione che lascia in ogni caso tempo alle due parti di raggiungere un accordo politico. Questo accordo risulta sempre più difficile per le tensioni createsi tra le due parti nel corso dei negoziati. Per quanto riguarda le motivazioni di Boris Johnson, probabilmente, queste hanno molto a che fare con le questioni interne al Regno Unito: c’è stata una volontà di venire incontro ai brexiter più intransigenti e allo stesso tempo di far ricadere sull’Unione europea le colpe per un accordo non così vantaggioso, o addirittura di un no-deal. Tuttavia, sembra che la posta in gioco sia molto alta, e che questo sia un azzardo da parte del premier britannico, che ha a che fare con una situazione nazionale resa ancora più problematica da una risposta poco efficace alla crisi del Covid-19, e che sta avendo difficoltà a trovare a livello internazionale alternative all’Unione europea, confermando il proprio ruolo globale al di fuori dell’Unione. Quindi le prospettive per il prossimo futuro sono tutt’altro che rosee.

ETTORE GRECO
La decisione dell’Ue di avviare un’azione legale contro il Regno Unito era attesa ed è una reazione in qualche modo obbligata dall’annuncio di Londra di voler introdurre norme che cancellerebbero una parte cruciale dell’accordo per il ritiro dall’Ue, faticosamente raggiunto con Bruxelles. In particolare, il governo conservatore di Johnson vuole rimettere in discussione il protocollo sull’Irlanda del Nord, che è parte integrante dell’accordo sulla Brexit. Il protocollo impegna le due parti di evitare il ripristino di un confine rigido fra le due Irlande, che poi è l’unico confine che rimarrà fra il Regno Unito e l’Unione europea a partire dal 1° gennaio del prossimo anno quando terminerà il periodo di transizione per la Brexit. L’Ue accusa il Regno Unito di aver rotto unilateralmente i patti, infrangendo l’obbligo, che è uno dei cardini del diritto internazionale, a negoziare e a raggiungere gli accordi in buona fede. Il timore è che il ripristino di un confine rigido fra le due Irlande alimenti tensioni fra cattolici e protestanti in Irlanda del Nord, dando adito a una dinamica conflittuale che potrebbe mettere a repentaglio l’accordo di pace del 1998 fra le due comunità. Il governo britannico dal canto suo, pur riconoscendo intanto che rimettere in discussione il protocollo  è una violazione del diritto internazionale, sostiene che ciò è necessario per garantire che non si creino barriere fra le varie parti del Paese in caso di mancato accordo finale con l’Unione europea. Per ora la Commissione europea si è limitata a mandare una lettera al governo britannico ma si tratta, in ogni caso, di un primo passo della procedura di infrazione che potrebbe poi portare all’apertura di un caso legale davanti alla Corte europea di Giustizia. Londra ha tempo fino alla fine di novembre per dare una risposta alla missiva della Commissione. Nel frattempo va detto, continueranno i negoziati che ora sono anzi in una fase cruciale, in particolare per quanto riguarda il capitolo più spinoso, quello commerciale. A detta di entrambe le parti, un accordo è in vista ma rimangono ostacoli non da poco su alcuni dossier, compresi quello degli aiuti britannici alle imprese nazionali, che secondo l’Unione europea ne trarrebbero un vantaggio competitivo inaccettabile. Ora è chiaro che gli irrigidimenti di Londra e Bruxelles sono in parte tattici, mirano a ottenere il massimo delle concessioni dall’altra parte nella fase finale dei negoziati, che è sempre la più delicata. Ma quando poi si riunirà il prossimo vertice dell’Unione europea dedicato alla Brexit, cioè a metà di questo mese, tra due settimane, non è affatto detto che i leader europei si troveranno sul tavolo il testo di un accordo. Quindi, la stessa prospettiva di una Brexit senza accordo, cioè un’uscita traumatica della Gran Bretagna dal mercato unico, non è stata ancora del tutto scongiurata. In sostanza, le due parti si trovano di fronte a un bivio: un’intensa di compromesso sui legami economici commerciali o uno scontro legale dagli esiti oltremodo incerti.