Relazioni Europa-Russia: un eterno dilemma
Che le relazioni con la Russia rappresentino un dossier complesso per Bruxelles e, sempre più spesso, anche per Roma, non è certo una novità. Ma gli eventi di questi ultimi mesi sembrano volerlo ribadire con forza. In seguito alle numerose critiche suscitate dal suo viaggio a Mosca a febbraio, l’Alto Rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune Josep Borrell ha affermato sul suo blog che “la Russia si sta progressivamente scollegando dall’Europa”, preannunciando un approccio europeo più duro (cioè maggiori sanzioni).
Se a gelare la visita di Borrell erano state soprattutto le divergenze con Mosca sull’incarcerazione dell’oppositore di Vladimir Putin Alexey Navalny, ora il tema che sta dividendo l’Europa è quello della sperimentazione e distribuzione del vaccino russo Sputnik V.
L’Italia, ad esempio, è stata nell’occhio del ciclone ad inizio marzo per la vicenda dell’accordo per la produzione dello Sputnik V da parte di Adienne Pharma&Biotech presso i suoi stabilimenti vicino Monza, anche se molti media italiani e internazionali hanno diffuso informazioni scorrette circa la data d’inizio e l’entità della produzione, vincolate all’erogazione (non ancora concessa) dei necessari permessi delle agenzie europea e italiana del farmaco. Le critiche di diversi alti funzionari europei all’“uso propagandistico” del vaccino di parte di Russia e Cina, però, sembrano stridere con l’approccio più “pragmatico” di molti Stati membri, inclusa l’Italia: se alcuni premono per la sperimentazione di Sputnik V e Sinovac altri, come Ungheria e Slovacchia, hanno addirittura scavalcato l’Ema e già acquistato lo Sputnik.
Tutto questo avviene in un contesto di irrigidimento delle relazioni tra Stati Uniti e Russia che mette ancora più pressione sull’Ue e, soprattutto, sulla Germania.
Né con te né senza di te
Se da un alto le relazioni con Mosca non sembrano lasciare spazio all’ottimismo, dall’altro è difficile pensare che la Russia non rimarrà un partner, anche se problematico, per l’Ue, vista la sua importanza nel vicinato orientale e meridionale e il suo ruolo chiave nel settore energetico europeo. Gli sforzi di Bruxelles per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia sono in gran parte risultati insufficienti. Oggi la Russia fornisce all’Ue ancora circa il 40% del gas totale e il 30% di petrolio. Alcuni Paesi sono ancora più dipendenti (la Germania importa oltre il 50% del gas da Mosca, la Finlandia il 100% di gas e il 75% di petrolio). Inoltre, la Russia continua ad essere estremamente rilevante nei teatri siriano, libico o nel Nagorno-Karabakh.
Ciò ovviamente riduce drasticamente per Bruxelles le possibili contromisure per il mancato rispetto dei diritti umani da parte di Mosca. Ad esempio, le ultimi sanzioni adottate in seguito all’avvelenamento e incarcerazione di Navalny sono state giudicate troppo deboli. L’Ue avrebbe a disposizione svariati modi per danneggiare seriamente il Cremlino: sanzionare le esportazioni di petrolio e gas della Russia o il suo debito estero darebbe un duro colpo al regime di Putin. Eppure, il contraccolpo per le aziende e i consumatori europei sarebbe così forte da renderle realisticamente impossibili. Inoltre, sanzioni più dure potrebbero avere come effetto un ulteriore irrigidimento di Mosca in un contesto in cui, volente o nolente, l’Ue deve mantenere aperto un canale di dialogo con la Russia anche al di fuori dell’Europa, ad esempio nel Mediterraneo.
Anche il dibattito accademico sulle sanzioni non offre conclusioni chiare sulla loro efficacia. Ciò che è certo è che la Russia, che in passato non ha esitato a usare essa stessa sanzioni contro Stati del suo vicinato come Georgia, Ucraina e Moldavia, presenta le sanzioni nei suoi confronti come illegali e come una riprova dei doppi standard occidentali. La retorica vittimista e la denuncia di “russofobia” sono coerenti con l’approccio classico di Mosca, che punta ad evidenziare abilmente l’inevitabile incoerenza della politica sanzionatoria occidentale.
Perché il Consiglio Ue ha revocato il quadro per le sanzioni contro l’appropriazione indebita di fondi statali egiziani in vigore da dieci anni proprio in un momento in cui il regime egiziano è sotto accusa per le sue palesi violazioni dei diritti umani? Perché si parla di “Navalny Act”, ma non di un “Regeni Act” o di sanzioni contro l’incarcerazione di Patrick Zaki? Lo stesso discorso si potrebbe applicare nei confronti della Turchia, sempre più assertiva nello spazio del Mediterraneo e dove lo stato di diritto è in netto deterioramento. Eppure, secondo fonti diplomatiche, le sanzioni ad Ankara che l’Ue avrebbe dovuto discutere durante questo Consiglio sono state eliminate dall’agenda anche per pressioni del presidente Usa Joe Biden.
Quale futuro per le relazioni con Mosca?
Una strategia europea basata sul selective engagement e sul sostegno alle relazioni tra le società civili (due dei “cinque principi guida” che Federica Mogherini pubblicò 2016) dovrebbe continuare a guidare la politica dell’Ue verso Mosca. Ma le aree di “impegno selettivo” dovrebbero essere scelte più accuratamente: visti i continui scontri sulle crisi in Ucraina e Bielorussia e il peso specifico basso dell’Ue nella risoluzione di molti dei conflitti congelati della regione, Bruxelles dovrebbe spostare la sua attenzione su questioni extraregionali. Ciò consentirebbe all’Ue e alla Russia di trovare nuove strade per cooperare, anche con Stati terzi, come l’India e la Cina sui cambiamenti climatici, tema su cui l’Ue è all’avanguardia con il suo Green Deal, oppure con Stati africani sull’antipirateria, un’area in cui la Russia è molto attiva.
Al momento, un hard talk sui diritti umani non sembra una strada percorribile e viene ricusato da Mosca come “predica” da parte di un’Ue che vuole imporle i propri standard. Tuttavia, azioni mirate e concrete per raggiungere la società civile russa e – indirettamente – il Cremlino sono ancora possibili: l‘Ue potrebbe aumentare i finanziamenti al forum della società civile Ue-Russia, includere la Russia tra i Paesi associati del programma di finanziamenti Horizon Europe e rilanciare il dialogo sulla liberalizzazione dei visti, almeno per certe categorie come gli studenti, gli accademici o gli sportivi. Rispetto al 2008, il numero di coloro che credono che la Russia sia un Paese europeo è diminuito di quasi la metà: dal 52% al 29%. In un momento in cui i giovani russi hanno sempre meno probabilità di vedere il loro Paese come europeo, è necessario puntare su politiche europee che guardino proprio a loro.
Bruxelles dovrebbe inoltre mostrare maggiore “pazienza strategica”. La Russia ha indubbiamente intrapreso un percorso verso un maggiore autoritarismo e ogni confronto diretto su diritti umani sembrerebbe per il momento destinato a fallire. Ma sarebbe un errore pensare che una cooperazione non sia possibile. Nonostante i risultati del referendum costituzionale dello scorso anno, il dibattito sulla transizione politica in Russia continua. E la transizione politica è un processo: lungo la strada, può offrire possibilità di riavvicinamento – o persino di reset – che l’Ue dovrebbe essere pronta a cogliere al momento giusto.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.