L’indagine sui crimini in Palestina è una spina nel fianco per Israele
Il 3 marzo scorso il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) Fatou Bensouda ha annunciato l’apertura di un’indagine sui crimini internazionali commessi nel territorio palestinese occupato dal 13 giugno 2014, data a partire dalla quale la Palestina ha accettato la giurisdizione della Cpi con una dichiarazione a firma di Abu Mazen.
Data non casuale: si tratta del giorno successivo al rapimento in Cisgiordania di tre giovani israeliani, a cui il Governo di Tel Aviv rispose con l’operazione “Brother’s Keeper”, seguita – dopo il ritrovamento dei loro corpi – dall’pperazione “Protective Edge”, che costò la vita ad oltre 1400 civili palestinesi nella Striscia di Gaza.
L’annuncio dell’apertura dell’indagine era atteso dopo la decisione del 5 febbraio scorso con cui la I Camera preliminare della Cpi ha confermato che la giurisdizione territoriale della Corte si estende alla Palestina intesa come comprensiva della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.
La Palestina (State of Palestine) è uno Stato parte dello Statuto di Roma della Cpi dal 1° aprile 2015 e nel maggio 2018 ha ufficialmente chiesto al procuratore di indagare su tutti i crimini ricompresi nella giurisdizione ratione materiae della Corte compiuti sul proprio territorio.
L’ambito territoriale
Già alla fine del 2019, il procuratore aveva affermato l’esistenza di elementi ragionevoli (“reasonable basis“) per un’indagine, sulla base dell’esame preliminare condotto a seguito della dichiarazione palestinese di accettazione della giurisdizione della Cpi del gennaio 2015.
Per l’avvio di un’indagine, tuttavia, Bensouda aveva ritenuto necessaria una pronuncia della I Camera preliminare circa l’estensione territoriale della giurisdizione della Corte, dal momento che questa si fonderebbe, nel caso di specie, sulla circostanza che i crimini sono stati commessi sul territorio di uno Stato parte secondo l’articolo 12 (2) (a) dello Statuto e la statualità e i confini della Palestina sono controversi.
La I Camera preliminare, a maggioranza, ha statuito che la Palestina è uno Stato parte dello Statuto di Roma a tutti gli effetti, facendo leva sulla regolarità della sua adesione ad esso e sulla sua attiva e non contestata partecipazione ai lavori dell’Assemblea degli Stati parti e deducendone che la giurisdizione della Cpi copre – e quindi l’indagine del procuratore può riguardare – tutto il suo territorio.
La Camera si è, in modo discutibile, astenuta dal pronunciarsi sulla scottante questione di fondo se la Palestina sia oggi uno Stato nel senso del diritto internazionale, considerandola eccedente la sua competenza.
Quanto alla delimitazione del territorio della Palestina ai fini della giurisdizione della Corte e conseguentemente dell’indagine del Procuratore, la Camera ha statuito che questo corrisponde al territorio occupato dal 1967, richiamando la risoluzione 67/19 del 2012 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quest’ultima ha riconosciuto alla Palestina lo status di Stato osservatore presso l’Organizzazione e ha ribadito il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza in uno Stato situato su detto territorio.
L’oggetto
L’indagine appena avviata avrà ad oggetto i crimini commessi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, da chiunque, quindi non solo da israeliani, ma anche da palestinesi.
Già alla fine del 2019, nel richiedere la pronuncia della Camera preliminare, il Procuratore aveva affermato di avere elementi sufficienti per ritenere che nel territorio palestinese occupato fossero stati compiuti crimini di guerra sia dagli uni che dagli altri. In particolare, nell’ambito delle ostilità dell’estate 2014 nella Striscia di Gaza, le forze israeliane avrebbero lanciato attacchi sproporzionati e deliberatamente ucciso o ferito gravemente civili, mentre membri di Hamas e altri gruppi armati palestinesi avrebbero lanciato attacchi contro civili e fatto uso di scudi umani.
Inoltre, con riguardo alla creazione di insediamenti israeliani in Cisgiordania, le autorità di Tel Aviv si sarebbero rese responsabili del crimine di guerra consistente nel trasferimento da parte della potenza occupante di parti della propria popolazione civile nel territorio occupato.
La reazione di Israele
La dura reazione israeliana all’annuncio dell’apertura dell’indagine era prevedibile. Prescindendo dagli sviluppi che potrà avere nei confronti di Hamas, l’indagine costituirà una spina nel fianco per il governo di Benjamin Netanyahu, a pochi giorni dalle elezioni anticipate del 23 marzo. In concreto, comunque, i vertici israeliani non hanno molto da temere, a parte un danno politico e d’immagine.
Israele non è parte dello Statuto di Roma e certamente non coopererà con la Cpi. Ciò renderà più difficile la raccolta delle prove a carico di militari e politici israeliani e, in caso di un mandato d’arresto, la loro cattura e consegna alla Corte e di conseguenza il loro processo. La Cpi non può celebrare processi in contumacia.
Quanto agli altri Stati, quelli che non sono parti dello Statuto non hanno alcun obbligo di cooperazione con la Cpi. In particolare, gli Stati Uniti hanno subito espresso la loro ferma contrarietà all’avvio dell’indagine e il loro sostegno a Israele. Gli Stati che sono parti dello Statuto, come l’Italia, sono obbligati a cooperare con la Cpi e quindi ad eseguire i mandati d’arresto emessi, ma interessi politici potrebbero indurli a non ottemperare a questi obblighi e a non consegnare alla Corte gli israeliani ricercati presenti sul loro territorio.
Inoltre, la giurisdizione della Cpi è complementare a quella dei tribunali nazionali. Israele potrebbe eccepire l’improcedibilità di un caso dinanzi alla Corte, invocando l’esistenza di un’indagine o un procedimento penale in corso dinanzi ai propri tribunali nei confronti degli individui sospettati dei crimini suddetti. La Cpi, qualora accertasse l’esistenza di una genuina volontà di Israele di indagare ed esercitare l’azione penale, sarebbe obbligata a dichiarare il caso improcedibile.
All’inizio di giugno Bensouda terminerà il proprio mandato. Le subentrerà il britannico Karim Khan, eletto procuratore dall’Assemblea degli Stati parti il mese scorso. Spetterà a lui proseguire un’indagine che si preannuncia irta di difficoltà.
Foto di copertina EPA/ALAA BADARNEH