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Un nuovo governo per la Libia: conversazione con l’inviato speciale Ferrara

18 Mar 2021 - Redazione - Redazione

Pubblichiamo gli interventi dell’incontro “Un nuovo governo provvisorio per la Libia”. Il webinar, che si è svolto martedì 16 marzo 2021, ha ospitato l’ambasciatore Pasquale Ferrara (inviato speciale del ministro degli Esteri per la Libia). Sono intervenuti Francesca Caruso (ricercatrice dello IAI), Silvia Colombo (responsabile di ricerca dello IAI), Dario Cristiani (IAI/GMF Senior Fellow), Stefano Polli (vicedirettore dell’Ansa), Paolo Quercia (analista strategico e docente all’Università di Perugia), Francesco Semprini (corrispondente per La Stampa da New York). L’evento è stato introdotto da Nathalie Tocci (direttore dello IAI) e moderato da Francesco De Leo (responsabile della Comunicazione dello IAI e direttore di AffarInternazionali).

Il nuovo governo libico, il primo esecutivo unitario e legittimo dal 2014, si è insediato ufficialmente lo scorso 15 marzo, cinque giorni dopo la conferma da parte del Parlamento riunito a Tobruk. Il primo ministro Abdelhamid Dbeibah, che terrà temporaneamente ad interim il ministero della Difesa, sarà affiancato da 27 ministri il cui obiettivo è condurre il Paese alle elezioni del prossimo 24 dicembre. Il governo di transizione, seguito ai due esecutivi coevi di Fayez al-Serraj e di Abdullah al-Thinni, si colloca a dieci anni dalla caduta di Gheddafi e potrebbe essere foriero di una maggiore stabilità politica nonostante il Paese sia ancora teatro, di fatto, della presenza di gruppi armati e milizie tribali.

Il passo in avanti della Libia – Introduzione di Nathalie Tocci, Direttore dello IAI

“Effettivamente un momento migliore di questo, per un incontro sulla Libia, non poteva esserci. Se facciamo un passo indietro, poco più di un anno fa le aspettative erano alte, quando ci fu la Conferenza di Berlino. Aspettative che poi sono state immediatamente spente dall’offensiva di Haftar che ha continuato nel Paese, interrotta successivamente attraverso l’intervento militare turco. Siamo arrivati poi all’estate in cui c’è stato un barlume di speranza con il cessate il fuoco, ma sappiamo bene che i cessate il fuoco non sono assolutamente una garanzia di pace. Basta pensare a quello che è successo, sempre in autunno, nel Caucaso, per rendersi conto che spesso e volentieri un cessate il fuoco può essere una via per la riconciliazione e la pace ma può essere anche un modo per cristallizzare un conflitto; la cristallizzazione di un conflitto che poi, dopo mesi, anni e a volte decenni – come è stato il caso del Caucaso – può esplodere poi in una nuova guerra.

Il momento del passaggio di consegne a Tripoli tra l’uscente leader del Governo di accordo nazionale Fayez al-Serraj (al centro) e il nuovo presidente Mohamed al-Menfi e il nuovo premier Abdul Hamid Dbeibah (Foto EPA/STR)

In questa situazione, in cui eravamo durante l’autunno, a partire da ieri, le speranze si sono riaccese. Eravamo in un crocevia che poteva, da un lato, cristallizzarsi in una nuova conflittualità e soprattutto in una spartizione del Paese tra Turchia e Russia. Invece adesso vive la reale speranza, attraverso il nuovo governo ad interim di Dbeibah, di avviare effettivamente un percorso di riconciliazione. È solamente un primo passo e credo che sarà sempre più importante discutere con l’Ambasciatore Ferrara e tutti i nostri ospiti se effettivamente rischi di rimanere solo un primo passo abortito, oppure se ci può portare verso la via della riconciliazione”.

Il cambio di marcia verso la transizione e il ruolo della comunità internazionale – Intervento dell’Ambasciatore Pasquale Ferrara, inviato speciale del ministro degli Esteri per la Libia

“Bentrovati, mi aggancio alle ultime parole di Nathalie Tocci su questa fase che era, in qualche modo, inattesa fino a pochi giorni prima che ci fosse il voto della Camera dei Rappresentanti. Il voto è importante innanzitutto perché ci permette di avere di fronte a noi un governo, anche se provvisorio, legittimato per la prima volta in tanti anni da un voto parlamentare e, in secondo luogo, perché segna un cambio di marcia nel percorso della faticosissima transizione libica. Siamo passati dall’idea che l’intervento militare potesse essere risolutore, verso la politica e la diplomazia. Questo mi sembra un progresso fondamentale. È vero che i cessate il fuoco possono essere ambivalenti e possono dar luogo ai cosiddetti frozen conflicts, ma nel caso della Libia il cessate il fuoco del 23 ottobre scorso è stato veramente un game changer, cioè un momento in cui tutti gli attori si sono resi conto che non c’era una soluzione armata e che bisognava tornare al tavolo negoziale, anche in termini di power sharing ovvero di condivisione del potere nella nuova Libia.

Noi siamo molto contenti di questo risultato ma bisogno tributare un omaggio anche al ruolo delle Nazioni Unite perché, se tutto questo è stato possibile, lo si deve ad un’idea di Stephanie Williams che è stata, dopo l’uscita di scena di Ghassam Salamè, l’inviato speciale di fatto del Segretario Generale delle Nazioni Unite in Libia, per aver messo su un meccanismo (il foro di dialogo libico) abbastanza originale e complesso, formato in parte dai rappresentanti delle due istituzioni parlamentari, la Camera dei Rappresentanti, da una parte, e il Consiglio di Stato dall’altra. Ma anche per aver avuto il coraggio e la disponibilità di coinvolgere i rappresentanti della società civile, donne e giovani, che erano fuori da quel confronto politico così aspro degli ultimi anni.

Stephanie Williams, rappresentante speciale per la Libia (facente funzioni) del segretario delle Nazioni Unite e capo della missione Onu nel Paese. (Foto EPA/MARTIAL TREZZINI)

La cosa sorprendente è che tutti gli attori libici hanno accettato questo formato, non solo coinvolgendosi – le audizioni di questo foro di dialogo sono state trasmesse via streaming, una cosa eccezionale per un contesto come quello libico – ma soprattutto accettando di rispettarne i risultati, cosa meno scontata. Questo percorso ha portato faticosamente al voto che consente l’avvio di una transizione.

Una volta superata la vicenda negoziale per la formazione del nuovo governo di unità nazionale – che ha dovuto tener conto delle componenti regionali, delle varie componenti politiche, dei vari portatori d’interessi -, la parte forse più complessa vede il bisogno che tale governo faccia alcune cose, non tantissime, visto che si tratta di un governo di scopo. Esso deve portare il Paese alle elezioni parlamentari e presidenziali previste per il 24 dicembre di quest’anno. Deve poi completare, nella misura del possibile, l’attuazione del cessate il fuoco con un piano di riassorbimento, di re-inquadramento o di smobilitazione delle milizie. Deve far spazio a una missione delle Nazioni Unite di monitoraggio del cessate il fuoco che è già sul campo e sta preparando gli elementi preliminari per cominciare a operare. Deve rispondere nell’immediato ad alcune esigenze legate all’erogazione dei servizi pubblici come, ad esempio, l’elettricità. Quindi sono poche cose ma tutte impegnative e da fare in sette mesi e l’idea è che questo sia già un programma sufficiente. Si parla a Tripoli anche dell’ipotesi di fare riforme più strutturali come rivedere alcuni fondamentali dell’economia, tutto il sistema dei sussidi e la questione energetica. Direi però che in sette mesi c’è poco tempo per poter fare tutto questo, quindi probabilmente verrà rinviato a un momento in cui avremo un governo legittimato da elezioni parlamentari e presidenziali. Questa è la terza volta, dal 2011, che la Libia va alle elezioni e speriamo che questa sia veramente l’appuntamento con la democrazia per il Paese; non tanto con la democrazia elettorale, ma con l’istanza di partecipazione che ormai sale soprattutto a livello dell’opinione pubblica, dei giovani e delle donne. Tra l’altro segnalo, come fatto positivo, che nell’esecutivo ci sono due donne in due ministeri chiave: quello degli Esteri e quello della Giustizia. Il che mi sembra già un segnale estremamente incoraggiante. Ovviamente tutto questo deve anche essere reso possibile dalla comunità internazionale. Prima si parlava della Conferenza di Berlino che ha cercato di mettere intorno al tavolo innanzitutto i trouble makers, cioè i Paesi che in qualche modo avevano interessi diretti o indiretti nel Paese. Ma non dobbiamo dimenticare che tutta l’area è coinvolta nella crisi libica.

In primo luogo, perché abbiamo visto in questi mesi che esiste chiaramente una complicazione geostrategica che la mancanza di istituzioni forti in Libia ha consentito. In secondo luogo, perché gli effetti della crisi libica si ripercuotono nei Paesi vicini e non solo in quelli strutturati come l’Egitto, la Tunisia e l’Algeria, ma anche in Paesi come il Ciad, il Niger e il Sudan della frontiera meridionale libica. Quindi, la stabilizzazione progressiva della Libia avrà degli effetti a catena anche su questi altri scenari. L’ultimo punto che vorrei sollevare riguarda la questione della riunificazione delle istituzioni nazionali, di cui si dovrà occupare il nuovo governo. Parlo innanzitutto dell’istituzione militare che, come sappiamo, è divisa in due; dell’istituzione parlamentare e delle istituzioni economico-finanziarie del Paese. Poi, a medio e lungo termine, si dovrà parlare del grande tema dell’equa ripartizione dei proventi della rendita petrolifera del Paese.

L’ambasciatore Pasquale Ferrara, inviato speciale del ministro degli Esteri Luigi Di Maio per la Libia. (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Sono tutti temi sistemici molto importanti anche nella prospettiva della riconquista, da parte della Libia, di porzioni della sovranità nazionale. Il Paese che oggi abbiamo di fronte, con questi eserciti stranieri, con istituzioni fragilissime, esposto a tutte le intemperie sul piano internazionale, non è ancora un Paese pienamente sovrano. Noi lavoriamo per questo ed è anche nel nostro immediato interesse avere un interlocutore forte in grado di controllare il territorio e in grado di essere un partner economico e commerciale con cui possiamo parlare liberamente in modo efficacie di tutto, dalla questione migratoria alla questione della sicurezza legata al terrorismo e a tantissime altre problematiche che riguardano, per esempio, le aziende italiane che erano presenti in Libia e che hanno lavorato molto nel settore infrastrutturale. Abbiamo bisogno però di un interlocutore forte, solido, legittimato e in grado di porsi come un attore di riferimento in quest’area importante dell’Africa settentrionale.

La presenza militare di Turchia e Russia

Alla domanda di Stefano Polli, Vice Direttore dell’Ansa, relativa alla presenza militare in Libia di Turchia e Russia a seguito del disimpegno degli ultimi tempi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella regione, Pasquale Ferrara risponde ponendo l’accento sui progressi raggiunti nel Paese nell’ambito della sicurezza, con l’auspicio che un governo libico forte e legittimato possa adoperarsi per scegliere da sé i propri alleati e liberarsi delle forze militari straniere. La presenza di Ankara e Mosca sul territorio libico risponde a logiche diverse a cui solo un governo libico sovrano potrà rispondere nell’ottica di riacquistare il controllo del proprio territorio.

I diversi impegni di Trump e Biden verso la Libia

“In passato, con Trump, l’attenzione Usa era rivolta alla limitazione dell’influenza russa in Libia. Oggi, con Biden, sembra che ci sia una linea decisa a favore della ricostruzione di una sovranità libica in grado di scegliere in autonomia i propri partner. In merito al terrorismo, invece, la preoccupazione è principalmente legata alla presenza di milizie mercenarie su entrambi i fronti suscettibili di subire una radicalizzazione, anche se oggi gli spazi per queste forze sono stati quasi annullati”. Questa l’opinione di Pasquale Ferrara in merito alla questione sollevata da Francesco Semprini, corrispondente dagli Stati Uniti per La Stampa, sull’impegno Usa nei riguardi del dossier libico anche con riferimento alla dimensione del terrorismo.

Il futuro delle relazioni italo-libiche

“L’ipotesi di una divisione territoriale libica non è mai stata contemplata ma c’è un grande problema che riguarda la gestione dei confini in uno Stato multicentrico come la Libia. Il compito maggiore in questo senso lo avranno i libici, ma alcune missioni internazionali possono fare la differenza. Si è detto spesso che l’Italia (e l’Europa) approcci la Libia solo con riguardo alle questioni migratorie ed energetiche pagando oggi un deficit di credibilità in quest’area. Ora vediamo sicuramente un impegno più intenso nei confronti del popolo libico in termini di assistenza dopo 10 anni di conflitti”. Con queste parole l’Ambasciatore Ferrara ha risposto alla domanda di Paolo Quercia, docente di analisi strategica all’Università di Perugia, sul futuro delle relazioni italo-libiche dopo la stabilizzazione del Paese con riferimento al ruolo dell’Italia nello statebuilding della Libia dopo la guerra.

Il ruolo dell’Assemblea dei Rappresentanti

Un mese fa il decennale della rivolta contro il regime di Muhammar Gheddafi. Nella foto EPA/STR un momento di una manifestazione di piazza del 16 febbraio.

La domanda di Silvia Colombo, responsabile di ricerca dello IAI, verte sul futuro delle istituzioni parlamentari libiche dopo il voto che ha dato vita al nuovo governo. La risposta di Pasquale Ferrara evidenzia come l’Assemblea dei Rappresentanti abbia giocato un ruolo importante e costruttivo finora e quanto debba farlo anche in seguito alle elezioni parlamentari di dicembre ponendosi come primo polo di rappresentanza del popolo libico.

L’atteggiamento di Italia e Turchia verso il dossier libico

“La Turchia, rispetto all’Italia che ha preferito ridurre al minimo l’impegno militare in Libia, è presente in maniera importante nella regione, ma non credo che sia negli interessi turchi che in Libia regni il disordine. A questo proposito non è mai mancato il dialogo tra i nostri due Paesi ad ogni tavolo internazionale, sia multilaterale che bilaterale”. Questa l’opinione dell’Ambasciatore in merito alla questione sollevata da Dario Cristiani, IAI/GMF senior fellow, sul ruolo geopolitico che Italia e Turchia possono giocare nello scacchiere del Mediterraneo orientale nei rapporti con la Libia.

Trascrizione degli interventi a cura di Francesco Tabarrini