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L’uccisione di Déby

Dalla continuità all’instabilità: il Ciad alla prova della transizione

21 Apr 2021 - Carlo Palleschi - Carlo Palleschi

Il presidente del Ciad Idriss Déby, al potere dal 1990, è morto, secondo fonti ufficiali, in uno scontro a fuoco mentre era in visita alle truppe impegnate nel nord del Paese nel contrasto all’avanzata dei ribelli del “Front pour l’Alternance et la Concorde au Tchad” (Fact). La ribellione del Fact ha subito una netta accelerazione proprio all’indomani della sesta vittoria di Déby per la guida del Paese (poco meno dell’80% dei consensi), dopo una campagna elettorale controversa, in cui le opposizioni hanno denunciato irregolarità e repressioni diffuse.

A seguito dell’annuncio della sua morte, arrivato martedì 20 aprile, il figlio di Déby, Mahamat Idriss, è stato nominato a capo del neonato Consiglio militare di transizione, istituito con il compito di guidare il Paese verso le libere elezioni, che dovrebbero svolgersi entro 18 mesi. La Costituzione, che affida invece l’interim al presidente dell’Assemblea, è stata sospesa ed i confini nazionali chiusi. 

Per il Ciad si apre ora, dopo 30 anni di continuità politica, un periodo di instabilità interna che potrebbe degenerare in una spirale di violenza senza precedenti: la transizione democratica è lunga e difficile e i rischi di un deragliamento sono molteplici.

Le ripercussioni sulla lotta al terrorismo
Il Ciad, come membro del G5 Sahel, ha sempre avuto un ruolo centrale nella lotta al terrorismo nel Sahel ed in particolare in Mali. Inoltre, come membro della Multinational Joint Task Force (Mnjtf), N’Djamena è anche un bastione di fondamentale importanza nella lotta contro Boko Haram. Sfruttando questo ruolo di stabilizzatore regionale, il Ciad ha potuto ritagliarsi una posizione di primo piano anche sulla scena internazionale, diventando un alleato fondamentale per molti Paesi terzi, in particolare per la Francia e gli Stati Uniti, che hanno interessi strategici nella regione saheliana. Non è un caso che l’Operazione Barkhane della Francia abbia il suo quartiere generale proprio a N’Djamena. Deby ha saputo giocare questa carta per rafforzare la posizione internazionale del Paese, ottenere fondi e risorse dai donatori internazionali, ed assicurarsi una maggior tolleranza verso la mancata adozione di riforme politiche tese a garantire i diritti umani e rafforzare la democrazia e lo stato di diritto.

Il quadro di instabilità che si sta delineando in questi giorni rischia di compromettere seriamente l’impegno securitario di N’Djamena nel Sahel e nel Bacino del Ciad. Già in precedenza, Idriss Déby aveva denunciato un coinvolgimento eccessivo dell’esercito ciadiano in territori lontani e poco connessi alle esigenze di sicurezza nazionale, dichiarando, ad esempio, che le truppe ciadiane non avrebbero più condotto nessuna operazione contro Boko Haram al di fuori del territorio nazionale. Questo trend, con la morte di Déby e la necessità di convogliare tutti gli sforzi per garantire la stabilità interna, subirà probabilmente una brusca accelerazione, con conseguenze assai gravose per la lotta al terrorismo. 

Quali scenari per il Paese
Tutte le cancellerie europee, nei loro messaggi di cordoglio, hanno auspicato una rapida transizione democratica. Tuttavia, 18 mesi sono lunghi, ed il rischio di un fallimento non è così remoto. La decisione dei militari di appoggiare un governo di transizione guidato dal figlio di Déby sembra indicare che l’élite del Paese abbia optato per la continuità. Non è detto però che questa continuità si traduca in stabilità e pace per il popolo ciadiano. Le incognite sul futuro sono infatti molteplici.

In primo luogo, esiste il rischio che la sospensione dell’ordine costituzionale perduri, lasciando il potere nelle mani dei militari e compromettendo di fatto il raggiungimento di elezioni libere e regolari.

In secondo luogo, la popolazione civile e le opposizioni potrebbero approfittare della debolezza del momento per contrastare la transizione incostituzionale gestita dai militari e ribellarsi contro l’élite al potere da circa 30 anni. La morte di Déby, infatti, potrebbe essere il detonatore di un malessere diffuso, acuito dalla profonda povertà e dalle drammatiche disuguaglianze economiche, che invece Deby aveva saputo tenere sotto controllo.

In terzo luogo, i ribelli del Fact potrebbero riprendere le operazioni di guerriglia ed arrivare a spodestare i militari. Anche se il Fact non dovesse arrivare a conquistare N’Djamena – ipotesi comunque non così remota-, vi è l’eventualità concreta che lo scontro armato tra l’esercito regolare e quello ribelle si prolunghi ulteriormente, con conseguenze drammatiche per la popolazione civile.

Forze centrifughe e divisioni interne
Una quarta incognita è rappresentata dalla situazione interna, caratterizzata, come dimostrato dagli scontri che nel 2019 hanno interessato la zona del Ciad orientale, da conflitti identitari tra arabi e non-arabi, tensioni tra le varie comunità etniche e rivalità all’interno dello stesso gruppo ‘Zaghawa’ a cui apparteneva Déby. Il defunto presidente ciadiano aveva saputo evitare che la violenza degenerasse in un conflitto aperto ed ora la sua morte rischia di rinvigorire le forze centrifughe ed acuire le divisioni interne, destabilizzando ulteriormente il Paese. 

La roadmap disegnata dal Consiglio militare presieduto dal figlio è quindi costellata di pericoli, ed il rischio di una nuova spirale di violenza, diffusa e non necessariamente limitata allo scontro con i ribelli del Fact, sembra essere assai concreto. Il futuro è nelle mani del popolo ciadiano, ma la comunità internazionale potrà giocare un ruolo di stabilizzatore, evitando di fornire un supporto incondizionato e facendosi invece interprete di una transizione pacifica e veramente inclusiva.

Foto di copertina EPA-EFE/ABIR SULTAN