IAI
Rapporto di Amnesty International

Ecco come la pandemia è stata usata per attaccare i diritti umani

7 Apr 2021 - Riccardo Noury - Riccardo Noury

Nel 2020 la pandemia da Covid-19 si è insinuata in società afflitte da disuguaglianza e discriminazione, allargando solchi e divisioni già esistenti. Ha approfittato di politiche di sanità pubblica colpevolmente inadeguate. La risposta di molti governi non è stata all’altezza della sfida posta dall’emergenza globale e non pochi di loro hanno ne hanno approfittato per introdurre nuove leggi repressive.

Violazioni dei diritti umani hanno continuato a colpire popolazioni civili nei conflitti, minoranze etniche, donne, dissidenti: come in un qualunque anno pre-pandemia. Questi gruppi già vulnerabili hanno subito maggiormente l’impatto devastante della pandemia, a seguito di decenni di politiche discriminatorie decise dai leader mondiali.

Il rapporto 2020-21 di Amnesty International ha evidenziato la già precaria situazione dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti in molti Stati, che in alcuni casi sono stati esclusi da servizi essenziali o abbandonati a loro stessi a causa del rafforzamento dei controlli di frontiera. È inoltre emerso un profondo aumento della violenza di genere e della violenza domestica: a causa delle limitazioni di movimento, molte donne e persone Lgbti hanno incontrato maggiori ostacoli nella ricerca di protezione e sostegno.

Tra i protagonisti di questo ultimo anno ci sono sicuramente gli operatori sanitari e i lavoratori del settore informale, in prima linea nei servizi per salvare vite umane. Mentre gran parte del mondo si fermava, sono state queste persone che hanno lottato e hanno fatto la differenza, insieme a coloro che si i sono presi cura delle persone anziane, ai tecnici e scienziati alla ricerca frenetica dei vaccini e a chi ha lavorato per fornire cibo a tutti.

Anch’essi purtroppo sono stati vittime di anni di leadership dannose e di sistemi sanitari deliberatamente smantellati e di ridicole misure di protezione sociale. Basti pensare che in Bangladesh, a causa del lockdown e del coprifuoco, molti lavoratori del settore informale sono rimasti senza reddito né protezione sociale e che in Nicaragua, nel giro di due settimane del mese di giugno, almeno 16 operatori sanitari sono stati licenziati dopo che avevano denunciato la mancanza dei dispositivi di protezione personale e la risposta inadeguata dello stato alla pandemia.

In molti casi la pandemia è stata usata come arma per attaccare ulteriormente i diritti umani. In Ungheria il governo del primo ministro Viktor Orbán ha modificato il codice penale introducendo pene fino a cinque anni di carcere per “diffusione di informazioni false” sulla pandemia. Nella zona del Golfo Persico, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman hanno usato la pandemia come pretesto per continuare a sopprimere il diritto alla libertà d’espressione, avviando procedimenti penali per “diffusione di notizie false” ai danni di persone che avevano pubblicato sui social media commenti critici nei confronti della risposta sanitaria dei rispettivi governi.

Nelle Filippine, il presidente Rodrigo Duterte ha detto di aver ordinato alla polizia di uccidere chi protestava o chi causava “problemi” durante le misure di quarantena. In Nigeria la brutalità delle forze di sicurezza ha causato morti nel corso delle proteste. Nel Brasile del presidente Jair Bolsonaro, tra gennaio e giugno le forze di polizia hanno ucciso almeno 3181 persone, una media di 17 al giorno.

Alcuni leader hanno strumentalizzato la pandemia per stroncare critiche estranee al virus e commettere ulteriori violazioni dei diritti umani. In India il primo ministro Narendra Modi ha inasprito la repressione contro gli attivisti della società civile, anche attraverso raid nelle abitazioni, con la scusa della lotta al terrorismo. In Cina il governo di Xi Jinping ha proseguito a perseguitare gli uiguri e le altre minoranze musulmane dello Xinjiang e a Hong Kong ha fatto entrare in vigore una legge sulla sicurezza nazionale dai contenuti vaghi e generici per legittimare la repressione politica.

Se si parla di vaccini inoltre, alcuni leader, come ad esempio l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, hanno ostacolato i tentativi di organizzare una ripartenza collettiva, bloccando o pregiudicando la cooperazione internazionale. Hanno fatto scempio della cooperazione globale acquistando buona parte delle forniture mondiali di vaccini, lasciando poco o nulla agli altri. Il governo cinese di Xi Jinping ha censurato e perseguitato gli operatori sanitari e i giornalisti che avevano cercato di lanciare un allarme tempestivo sul virus, sopprimendo così informazioni cruciali.

Il 2020 è stato anche un anno di importanti iniziative di protesta. Le politiche regressive hanno spinto molte persone ad aderire a lotte in corso da lungo tempo: è il caso del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti, delle proteste #EndSARS in Nigeria e delle nuove creative forme di protesta come gli scioperi virtuali. E ancora le proteste pubbliche contro la repressione e la disuguaglianza hanno invaso le strade, dalla Bielorussia alla Polonia, dall’Iraq al Cile, da Hong Kong alla Nigeria. Spesso questi difensori dei diritti umani e gli attivisti sono stati d’ispirazione.

Non sono mancate importanti vittorie, soprattutto per quanto riguarda la violenza di genere, come l’adozione di nuove leggi per contrastare la violenza contro le ragazze e le donne in Corea del Sud, Kuwait e Sudan e la decriminalizzazione dell’aborto in Argentina, Corea del Sud e Irlanda del Nord.

Per costruire un futuro in cui le istituzioni incaricate di proteggere il diritto internazionale siano concretamente in grado di prevenire, rispondere e ottenere giustizia per la repressione del dissenso e altri esempi di gravi violazioni dei diritti umani, tutti gli stati dovrebbero rafforzare e offrire il loro pieno sostegno economico ai meccanismi e alle istituzioni sui diritti umani delle Nazioni Unite. Dovrebbero anche stabilire una completa cooperazione con la Corte penale internazionale sui casi aperti ed escludere ogni interferenza politica.

Foto di copertina EPA/TOLGA BOZOGLU