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Cadono Kandahar e Herat

L’offensiva dei talebani non si ferma: Afghanistan vicino al collasso

14 Ago 2021 - Claudio Bertolotti - Claudio Bertolotti

L’onda talebana dilaga in Afghanistan, distretto per distretto, per poi convergere sulle capitali provinciali, travolgendole. Lo schema strategico utilizzato è consolidato ed efficace: prima l’isolamento degli obiettivi cacciando le istituzioni governative dalle aree periferiche e rurali, poi la convergenza simultanea di colonne che colpiscono con attacchi multipli le difese dei centri urbani.

Una strategia vincente che prima confonde i capisaldi difensivi tenuti dalle milizie tribali e dai soldati afghani, costretti così a spostarsi da un punto all’altro lasciando aree scoperte e non presidiate, utilizzate dai talebani per penetrare all’interno dei centri urbani scatenando così il caos che porta a una rapida capitolazione. È accaduto a Kandahar, la seconda città del Paese, Ghazni (in cui è registrata un’elevata presenza di al-Qa’ida), Qala-i-Naw, nella provincia di Badghis, e prima ancora a Saranj e le altre città: 13 capoluoghi di provincia e 9 province in una sola settimana sono cadute nelle mani dei talebani.

Effetto domino
I ribelli hanno preso la loro prima città, Zaranj, capitale della provincia sudoccidentale di Nimruz, il 6 agosto, dopo la fuga governatore e delle forze di sicurezza. Il giorno successivo, il 7 agosto, i talebani hanno preso il controllo di Shibirghan, capitale della provincia settentrionale di Jawzjan; il giorno seguente, l’8 agosto, sono cadute le capitali provinciali Kunduz, Sar-i-Pul e Takhar, sempre nel nord; il 9 agosto, è stata la volta di Aybak a Samangan; Farah, capoluogo dell’omonima provincia, e Pul-i-Khumri nella provincia di Baghlan sono cadute il 10 agosto. Poi è stata la volta di Kandahar, Laskar Gah e Herat, sino a qualche settimana fa sede del comando militare italiano in Afghanistan. E ancora Tarin Kowt, capitale della provincia di Uruzgan, portando così i talebani a cacciare il governo di Kabul da metà delle province afghane.

Con la conquista di Kandahar i talebani hanno preso possesso di un obiettivo strategicamente fondamentale – basti pensare alla presenza dell’aeroporto internazionale e al fatto che la città sia uno dei principali centri di commercio del Paese -: la sua conquista è sinonimo di controllo del sud del Paese così come la presa di Lashkar Gah, temporaneamente ripresa dalle forze per operazioni speciali afghane ma poi ricaduta nelle mani talebane, significa il controllo dell’est.

Il significato della capitolazione di Herat
Con la caduta di Herat, e la cattura di Ismail Khan, il “leone di Herat” a capo della strenua resistenza locale, anche l’Afghanistan occidentale passa sotto il controllo dei talebani che possono così concentrare e trasferire i propri combattenti sul fronte di Mazar-i-Sharif, la capitale della provincia di Balkh, dove in questi giorni è giunto il maresciallo Abdul Rachid Dostum. Vecchio mujaheddin e signore della guerra, Dostum si è impegnato a riorganizzare una difesa su cui si lancerà l’intensa offensiva talebana, ma il timore è che possa trattarsi di una difesa inutile, dato l’ormai prossimo collasso dello Stato afghano.

La caduta di Herat va ben oltre il concetto di conquista territoriale: è una delle città più grandi dell’Afghanistan, crocevia di importanti nodi commerciali e logistici, nonché simbolo della resistenza anti-sovietica prima e anti-talebana poi. È la città di Ismail Khan, eroe dell’epopea dei mujaheddin e signore della guerra attorno a cui si sono raccolte le ultime speranze di difesa della città. Speranze ormai cadute con la sua cattura.

La conquista di Herat va oggi a coronare l’obiettivo strategico dei talebani, ciò prevenire la ricostituzione di un fronte di resistenza unito. Le offensive delle ultime settimane hanno destabilizzato le già deboli forze di sicurezza nazionali e le forme di resistenza locali, soffocandole una ad una. Il nord, che avrebbe potuto essere una speranza per il contenimento talebano e la sopravvivenza dello Stato afghano così come lo abbiamo conosciuto per vent’anni, si è sgretolato sotto la pressione dei talebani.

EPA-EFE/AKHTER GULFAM