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Unione europea

Il ruolo dei parlamenti nazionali nell’era di Lisbona

25 Mar 2010 - Maria Valeria Agostini - Maria Valeria Agostini

Il Trattato di Lisbona segna un importante passo avanti nel processo di “parlamentarizzazione” dell’Unione europea. Il Parlamento europeo rafforza notevolmente i suoi poteri: la procedura di codecisione si estende, divenendo regola tendenzialmente generale; una serie di decisioni rilevanti del Consiglio sono sottoposte al parere conforme del Parlamento; cade la distinzione fra spese obbligatorie e non, rendendo il Parlamento pienamente partecipe della funzione di bilancio.

Crescente interazione
I parlamenti nazionali, d’altra parte, salutano l’istituzionalizzazione del metodo della Convenzione per la revisione dei Trattati; si vedono riconosciuto un ruolo specifico a fianco del Parlamento europeo nel controllo di Eurojust ed Europol e – novità che ha destato forte interesse – sono posti a presidio del principio di sussidiarietà, facendo così incursione nella procedura legislativa comunitaria fino a ieri dominio esclusivo delle istituzioni europee.

In Italia sia il Senato che la Camera dei deputati adotteranno a breve alcune limitate modifiche dei regolamenti parlamentari, anche se questi ultimi già contengono norme che disciplinano in dettaglio sia le procedure di collegamento con l’Unione europea sia l’esame dei progetti normativi finalizzato all’adozione di atti di indirizzo e controllo nei confronti del governo. Ma è da tempo che sta crescendo l’attenzione del Parlamento italiano per quel che bolle in pentola a Bruxelles. E anche i rapporti tra Parlamento europeo e parlamenti nazionali si sono progressivamente sviluppati.

Alla radice di tali mutamenti c’è l’effetto di annuncio e la conseguente fase preparatoria dovuta alla lunga gestazione del Trattato. Già nel testo approvato nel 2003 dalla Convenzione europea e poi in quello del Trattato costituzionale, infatti, erano presenti le norme relative al controllo della sussidiarietà – poi rese più stringenti col Trattato di Lisbona – e il richiamo alla cooperazione interparlamentare.

Effetto annuncio
È un fatto che il Parlamento italiano, tradizionalmente disattento a tutta la fase di adozione della legislazione europea e poco incline ad esercitare i suoi poteri di indirizzo, a partire dal 2006 si è progressivamente risvegliato. Se nelle precedenti legislature i progetti posti all’ordine del giorno si contavano sulle dita di una mano, negli ultimi quattro anni si è concluso l’esame di circa 55 atti in Senato e di circa altrettanti presso la Camera dei deputati.

A sensibilizzare il Parlamento ha contribuito l’atteggiamento della Commissione europea che, anziché chiudersi di fronte alle novità che si profilavano all’orizzonte, si è preparata con grande anticipo all’attuazione degli obblighi che le sarebbero derivati dal Trattato, inviando fin dal 2006 le sue proposte ai parlamenti nazionali con l’invito ad esprimersi con propri pareri al riguardo.

Per altro verso, come detto, è cambiato il clima dei rapporti fra Parlamento europeo e parlamenti nazionali che – già improntati, se non alla contrapposizione, alla concorrenza – si sono fatti sempre più costruttivi. Preveggente è stata al riguardo la relazione svolta all’epoca della Convenzione dall’allora Presidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, Giorgio Napolitano, il quale, nel contrastare l’ipotesi dell’istituzione di una Camera europea dei parlamenti nazionali, auspicava invece una più stretta cooperazione fra Parlamento europeo e parlamenti nazionali, da realizzare anche attraverso accordi interistituzionali.

Di fatto, nell’arco di pochi anni, si sono moltiplicate – talora, in verità, in maniera eccessiva e disordinata – le riunioni cui partecipano parlamentari europei e nazionali. Oltre alla riunione semestrale della Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari (Cosac) e a quella annuale della Conferenza dei Presidenti, si tengono ormai ogni semestre a Bruxelles altre riunioni su grandi temi organizzate dal Parlamento europeo e dal parlamento che detiene la Presidenza di turno dell’Unione, nonché riunioni fra membri di commissioni omologhe, sia a Bruxelles, sia nella capitale del paese di presidenza.

Problemi e opportunità
I problemi che attualmente si pongono sono di due ordini. Si tratta innanzitutto di evitare che il controllo di sussidiarietà venga usato per bloccare il procedimento legislativo europeo attraverso la formazione di alleanze finalizzate al raggiungimento dei quorum previsti dal Trattato. I segnali, al momento, sono relativamente tranquillizzanti. Grazie anche alle aperture della Commissione e del Parlamento europeo, si percepisce un clima più collaborativo anche da parte di quei parlamenti nazionali che tendevano a ergersi a presidio della sovranità nazionale in una logica di contrasto col Parlamento europeo, considerato, in quanto istituzione comunitaria, incline ad ulteriori, non auspicabili ampliamenti delle competenze dell’Unione.

Occorrerà in secondo luogo puntare ad una razionalizzazione della cooperazione interparlamentare che sfoltisca il numero ormai ridondante delle sedi di incontro e punti ad ottenere un reale rafforzamento del controllo parlamentare sulle politiche e sulla legislazione europea.

Fra i settori in cui la cooperazione risulta particolarmente necessaria, vi è innanzitutto quello della libertà, giustizia e affari interni. Qui il Trattato prevede fra l’altro che Parlamento europeo e parlamenti nazionali realizzino insieme il controllo di Eurojust ed Europol, sulla base di un regolamento in via di predisposizione.

La collaborazione dovrà rafforzarsi, poi, nel campo della politica estera e di difesa, anche in relazione all’entrata in vigore della clausola di assistenza reciproca in caso di aggressione armata, che rende auspicabile la revoca del Trattato di Bruxelles e la fine dell’Assemblea Ueo.

Un terzo settore in cui strutturare la collaborazione è quello del bilancio, che vede il Parlamento europeo acquisire notevoli poteri sul versante delle spese, mentre i parlamenti nazionali restano di gran lunga gli attori principali sul lato delle entrate, ancora in buona parte provenienti dai bilanci dei singoli Stati.

È inoltre auspicabile che le riunioni delle Commissioni omologhe, anziché discutere di temi generici, puntino all’esame dei provvedimenti all’ordine del giorno del Parlamento europeo. In tale direzione si sta muovendo la Commissione Mercato interno e protezione dei consumatori del Parlamento europeo, che è impegnata in una serie di audizioni dei parlamentari nazionali su alcuni importanti progetti di direttiva, rendendo così possibile l’incontro e lo scambio di vedute fra relatore del Parlamento europeo e relatori per il parere di ogni singolo parlamento nazionale.

Se si considera, poi, che si sta affermando la prassi dell’invio dei pareri, oltre che alla Commissione, anche al Parlamento europeo, si comprende come i parlamenti nazionali abbiano ormai un canale diretto con il Parlamento europeo, co-legislatore europeo a fianco del Consiglio; canale che è, per certi aspetti, persino più importante di quello con la Commissione.

La lacuna di cui soffriva il processo di integrazione europea, nota come deficit democratico e più propriamente riconducibile ad un deficit di presenza parlamentare, sembra in via di superamento. Altro discorso è se e in che misura questa evoluzione contribuirà davvero a ridurre la lontananza tra i cittadini e le istituzioni europee.

Vedi anche:

E. Ciarlo: L’impatto del Trattato di Lisbona sul Parlamento italiano

E. Greco: L’anello mancante della democrazia europea