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Oltre la crisi

Se la Grecia affonda

13 Mag 2010 - Andrea Atteritano - Andrea Atteritano

La grave situazione dei conti pubblici della Grecia e di altri Stati appartenenti all’Eurozona come Portogallo e Spagna ha costretto Ue ed Fmi ad adottare interventi senza precedenti nella storia della finanza internazionale. Tali misure sono state rese necessarie dal pericolo che detti paesi non fossero più in grado di pagare, nel rispetto dei termini pattuiti, il capitale e gli interessi sui titoli emessi sui mercati internazionali (default).

Che cos’è il default?
Il default è l’inadempimento da parte dello Stato degli obblighi assunti con l’emissione di un titolo obbligazionario nei confronti degli investitori (Stati, banche, privati). Tale fenomeno si è verificato ciclicamente nella storia, spesso durante le gravi recessioni, in forme e dimensioni diverse. Il default può consistere, come per il debito russo nel 1917 e per quello cubano nel 1961, nel disconoscimento del carattere obbligatorio del debito (ripudio) ovvero nel differimento dei pagamenti. Spesso (come nella crisi argentina del 2002) il default è la conseguenza di una dichiarazione statale di sospensione dei pagamenti (moratoria) alla quale segue la modifica degli originari termini e condizioni di pagamento (ristrutturazione del debito) oppure è l’effetto dell’adozione di provvedimenti statali di natura valutaria (la svalutazione della moneta o il divieto di conversione). Nel prossimo triennio Irlanda, Spagna e Portogallo dovranno emettere circa 500 miliardi di euro per rimborsare bond in scadenza ed emetterne nuovi per finanziare il deficit di bilancio.

L’azione congiunta di Fmi e Ue
Il 2 maggio scorso, il rischio che la Grecia non fosse in grado di ripagare il proprio debito, ha indotto Ue ed Fmi a varare un piano di assistenza finanziaria congiunto da 110 miliardi di euro. Il Consiglio dell’Ue ha approvato lo stanziamento, in tre anni, di una linea di credito finanziata con l’erogazione da parte di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, di prestiti bilaterali. Con apposita decisione, (stand – by arrangement) il Comitato esecutivo del Fondo monetario ha autorizzato l’accesso della Grecia alle proprie risorse (non si tratta di un vero e proprio prestito) per la somma di 30 miliardi di euro. Il 9 maggio, in una storica riunione dell’Ecofin decisiva per la sopravvivenza dell’Euro, l’Ue ha approvato un meccanismo “salva Stati” da 750 miliardi di euro volto a proteggere dal default quei membri che non fossero in grado di finanziarsi ricorrendo al mercato. Questo pacchetto prevede che la Bce possa acquistare sul mercato titoli di stato in euro, la creazione di una entità, lo special purpose vehicle, in grado di erogare prestiti ai paesi dell’Eurozona in difficoltà e la concessione da parte del Consiglio dell’Ue degli aiuti previsti dal Trattato di Lisbona (art. 122, 2° comma) a beneficio dei paesi in difficoltà per circostanze al di fuori del loro controllo.

Nonostante l’importanza degli interventi descritti, il salvataggio della Grecia dal default è tutt’altro che scontato. L’erogazione delle prossime tranches di assistenza dell’Unione e del Fondo è subordinata al rispetto da parte del governo ellenico di un programma di grande austerity che causerà una lunga recessione e forti tensioni sociali. In caso di crisi di liquidità di più Stati, poi, le risorse potrebbero comunque risultare insufficienti e la Grecia rischierebbe di rimanere esclusa dai mercati.

Esistono rimedi giurisdizionali in caso di default della Grecia?
In caso di ristrutturazione del debito greco, i creditori privati che convenissero in giudizio lo Stato per chiederne la condanna per inadempimento, dovrebbero proporre l’azione presso il foro individuato dal rilevante regolamento di emissione (Prospectus). Una volta costituitasi in giudizio, la Grecia difficilmente potrebbe invocare la norma di diritto internazionale consuetudinario sulla immunità dalla giurisdizione. Quest’ultima si applica soltanto alle attività statali aventi natura pubblicistica (atti iure imperii), quale certamente non è l’attività di emissione di un titolo obbligazionario (atto iure gestionis). Sebbene tale orientamento sia pacifico in Germania e Usa, in Italia si è offerto uno scudo dalla giurisdizione agli Stati in crisi. Per l’Argentina la Cassazione ne ha riconosciuto l’immunità fondandosi sulla natura pubblicistica dell’atto (legge) con cui era stata disposta la moratoria (Cass. 27 maggio 2005, n. 11225).

Una volta ottenuto un titolo esecutivo, la norma di diritto internazionale sulla immunità dalla esecuzione dei beni dello Stato costituirebbe un ulteriore ostacolo al successo delle strategie giudiziarie di recupero dei crediti, specie di particolare entità: i beni non coperti dalla immunità sono quelli utilizzati o destinati a fini commerciali come i conti correnti, mentre non possono essere assoggettati a misure coercitive i beni di carattere militare, le sedi diplomatiche e consolari, i conti correnti delle banche centrali. Peraltro, il recente Decreto legge 28 aprile 2010, n. 63, dispone la sospensione di diritto dell’efficacia del titolo esecutivo se lo Stato propone un ricorso alla Corte internazionale di Giustizia diretto all’accertamento della propria immunità dalla giurisdizione italiana (v. Ronzitti N., “La prescrizione rischia di mettere in forse l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini”, in Guida al diritto, n. 20, 2010).

Alcuni regolamenti di emissione delle obbligazioni internazionali greche contengono la rinuncia dello Stato all’immunità dall’esecuzione per qualsiasi bene, indipendentemente dall’uso ovvero dalla sua destinazione. Tale rinuncia opera nei limiti delle Convenzioni internazionali in vigore per la Grecia e della legge greca. L’art. 923 cod. proc. civ. greco subordina, in particolare, l’esecuzione forzata sui beni di uno Stato estero alla previa autorizzazione del Ministro della giustizia.

Se le azioni giudiziarie interne appaiono inadeguate a garantire il diritto di accesso alla giustizia dei risparmiatori, gli arbitrati del Centro per le controversie tra Stati e privati stranieri (Icsid), disciplinati dalla Convenzione di Washington del 1965, potrebbero costituire uno strumento equilibrato per risolvere le controversie tra investitori e Stati in default. Il Centro è, infatti, competente a dirimere le controversie “arising directly out of an investment”; le operazioni di prestito a medio o lungo termine possono certamente essere qualificate un investimento.

Gli arbitrati Icsid non richiedono il previo esaurimento dei mezzi di ricorso interno (cioè l’esperimento di tutti i gradi di giudizio dell’ordinamento dello stato entro cui si agisce), ma prevedono l’applicazione in via sussidiaria del diritto internazionale; le decisioni rese hanno efficacia di giudicato all’interno degli ordinamenti nazionali e sono direttamente esecutive, non necessitando di exequatur.

Considerato che le azioni giudiziarie nei confronti degli Stati in default sono operazioni complesse e costose, i risparmiatori possono, comunque, intraprendere azioni nei confronti delle banche o degli intermediari finanziari responsabili, purché ci sia stata, da parte loro, la violazione dei doveri di correttezza e di trasparenza previsti dal Testo unico sulla finanza (Tuf) e dai regolamenti attuativi. Dal gennaio di quest’anno, i consumatori potrebbero utilizzare le azioni collettive previste dall’art. 140bis del Codice del Consumo. Ma l’utilizzabilità della class action nel settore dell’intermediazione finanziaria è da alcuni contestata.

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Vedi anche:

P. Guerrieri: Due scenari per l’Euro

IMF e Grecia