Ue: valori e sovranismi nel processo d’integrazione europea
A una settimana dal Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, la questione dei movimenti secondari dei migranti sembra minacciare nuovamente gli equilibri europei e la tenuta degli accordi di Schengen. La vaghezza e la genericità delle conclusioni del Consiglio europeo lasciavano di fatto presagire che le partite, anche quelle dei valori, non fossero ancora concluse.
L’accordo siglato tra la cancelliera Merkel e il ministro degli Interni Seehofer circa la creazione in Germania di centri di transito al confine con l’Austria con cui gestire i movimenti secondari ha di fatto scatenato una reazione a catena tra i partner europei. Primo il cancelliere austriaco Kurz che, pur avendo indicato la necessità di creare “un’Europa che protegge”, all’inaugurazione della presidenza di turno austriaca del Consiglio dei Ministri dell’Ue, non ha esitato a dichiararsi pronto a chiudere il Brennero. Non è tardata la risposta italiana che con il ministro degli Esteri Moavero ha richiamato l’Austria alle sue responsabilità.
La soluzione tedesca per la gestione dei movimenti secondari, che suscita interrogativi circa l’effettiva tutela dei diritti umani, sembra quindi minacciare il principio di libera circolazione all’interno dell’Unione Europea. Mentre la frontiera diviene nuovamente simbolo di divisione e cresce lo scontro tra contrapposti egoismi nazionali risulta necessario chiedersi quale futuro attende il processo d’integrazione europea.
Un’unione di uomini
Unire uomini piuttosto che coalizzare Stati era l’obiettivo indicato da Jean Monnet per l’Unione europea. Negli ultimi sessant’anni grandi passi in avanti sono stati fatti in termini di diritti e qualità della vita grazie al processo d’integrazione europea. Una pace duratura e la tutela dei diritti fondamentali della persona, entrambe conquiste quotidiane spesso considerate scontate, sono di fatto il frutto di una progressiva erosione dell’esclusività della sovranità statale. Tuttavia, l’inadeguatezza dei Paesi europei nel fronteggiare la crisi economica che a partire dal 2008 ha ulteriormente allargato il divario tra nord e sud dell’Unione e la pressione dei flussi migratori sulla sponda europea del Mediterraneo ha risvegliato aspirazioni sovraniste che in alcuni casi si sono trasformate in forze di governo.
La discussione di questa riscoperta identitaria della nazione alla quale ci si riferisce, spesso in modo semplicistico, parlando di sovranismo si lega imprescindibilmente alla periodica analisi del processo d’integrazione europea. Tale processo ha di fatto limitato la forza dello Stato nazione nel corso degli anni levigandone i confini e limitandone la capacità di intervento. Tradizioni, storie e culture sono state unificate, incoraggiando una collaborazione in un contesto di pace, sicurezza e giustizia non cancellando le singole identità nazionali ma elaborando un’identità europea basata su valori comuni.
L’integrazione europea ha assunto da prima una veste economica creando uno spazio comune di riconoscimento ma con essa ha saputo coniugare anche l’affermazione e la tutela di diritti che con la Carta di Nizza del 2000 hanno ufficialmente assunto un valore riconosciuto e condiviso da tutti gli Stati membri. Valori quali il rispetto della dignità umana, della democrazia e dei diritti umani sono così diventati condizione imprescindibile nell’azione dell’Unione.
La percezione dell’Ue
L’emergere di egoismi diffusi come risposta agli sconvolgimenti socio-economici ai quali gli Stati hanno dovuto fare fronte negli ultimi anni ha tuttavia limitato la completa e adeguata applicazione dei valori e dei principi sanciti nei Trattati, in primo luogo il principio di solidarietà. Questo ha determinato la messa in discussione dell’identità valoriale dell’Unione che così continua a perdere la sua portata universalistica agli occhi dell’opinione pubblica.
Uno studio dell’Eurobarometro pubblicato dalle Istituzioni europee lo scorso maggio, esattamente ad un anno dalle prossime elezioni europee, mostra come circa il 56% dei cittadini europei intervistati ritiene che i partiti ‘protestatari’ possano portare effettivi cambiamenti nei singoli Paesi, mentre, il 50% pensa che essi non rappresentino una minaccia per la tenuta democratica del loro Paese. Nel quinquennio 2013-2018 circa 70 partiti ‘protestatari’ sono emersi in Europa e questo trend sembra mantenersi ampiamente positivo.
Lo studio condotto su 27.601 cittadini dei 28 Stati membri presenta ciò nonostante un dato in controtendenza: circa il 60% dei rispondenti continua a considerare l’Unione europea positivamente. Così anche se l’avanzata dei partiti antisistema e ‘protestatari’ non sembra arrestarsi, l’europeismo degli intervistati non risulta essere intaccato. I cittadini chiedono così un’inversione di tendenza ma pur sempre all’interno del contesto comunitario.
Quale futuro per i valori europei
Nel momento in cui l’Unione europea si mostra più debole che mai, una rivitalizzazione del processo d’integrazione risulta essere altamente complessa. Un’Unione bisognosa di recuperare consensi deve quindi riuscire a dare risposte comuni ai problemi – in primo luogo la gestione dei flussi migratori – che attirano maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica.
Il rafforzamento dell’Unione è quindi da ricercarsi nelle sue origini e nella riscoperta dei suoi valori fondanti. L’Unione, infatti, deve presentarsi dinnanzi alle sfide contemporanee con la rinnovata capacità di passare da un’Europa spersonalizzata ad un’Europa dei diritti forte e coesa. Le elezioni europee del maggio 2019 rappresenteranno un ulteriore passaggio per riaffermare la vicinanza ai cittadini, evitando che esse si trasformino in un referendum sulla stessa.
Va tuttavia considerato che molti Stati membri sembrano maggiormente interessati a mantenere l’Unione come destinatario di quotidiani attacchi più che entità da cui far ripartire un processo di crescita democratica. Procedere con un’Europa a più velocità, partendo dagli Stati che per primi ne hanno condiviso i valori comuni, potrebbe essere una soluzione alla messa in discussione dei valori portanti dell’Unione. Questa, al contrario di una poco produttiva prova muscolare, sarebbe anche la strada più opportuna per l’Italia schiacciata da un lato dagli storici alleati impegnati a compattare le loro maggioranze interne e dall’altro lato dai nuovi alleati dell’Est, il blocco di Visegrad, che pur mostrandosi solidali promuovono scelte politiche in contrasto con le esigenze nazionali italiane. L’Italia potrebbe così riacquisire un ruolo centrale sul piano Europeo facendosi guida di un processo d’integrazione storicamente caratterizzato da difficoltà ma che ha avuto come unica e ricorrente risposta un’Europa più forte.