Pensioni: le considerazioni che mancano nel dibattito attuale
È essenziale avanzare qualche considerazione in tema di pensioni, che nello pseudo dibattito attuale (si tratta invero di semplici tentativi di appropriazione indebita) nessuno sembra affrontare. Ci riferiamo qui alle pensioni di vecchiaia, da lavoro; altro il problema delle pensioni assistenziali. – Se ne parla qui nel contesto più generale della manovra e del difficile dialogo tra Ue e Italia, ndr –.
La pensione, ovviamente (ma nessuno sembra rendersene conto), fa parte del patto che chi lavora fa con il suo datore di lavoro, privato o, ancor più, pubblico e, a maggior ragione, statale. Chi si accontenta di lavorare per una remunerazione inferiore a quella che il mercato potrebbe offrire, senza tentare di massimizzarla minuto per minuto, può ben farlo in vista di una più modesta, ma tranquilla, vecchiaia. Anche se bisogna dire che se una intera coorte di italiani dipendenti dello Stato è andata in pensione dopo meno di vent’anni di lavoro e vi è rimasta per una quarantina d’anni, quelle pensioni, anche se nominalmente modeste, sono state – nel complesso – piuttosto dorate e distorsive del mercato del lavoro.
Sulle cosiddette pensioni d’oro
Che si tratti di un patto è vero sia nel caso di pensioni basate sulle contribuzioni sia in quello di pensioni basate sulle ultime remunerazioni (correlate a più anni), a fine carriera; per cui qualsiasi ricalcolo ex post è semplicemente impossibile. Ed è altrettanto vero per le cosiddette pensioni d’oro, che sono d’oro solo per chi vorrebbe impadronirsene, trattandosi del metodo più indolore per mettere le mani in tasche altrui, in base a un indebito collegamento tra pensioni insufficienti e pensioni di merito; queste ultime a volte forse eccessive, ma difficilmente tali se correlate alle remunerazioni percepite e al numero di anni lavorati per ottenerle.
E che sono state accompagnate, negli anni, da tasse altrettanto d’oro, e comunque ben superiori alla tasse applicate ai redditi da finanza e conti correnti, che per questi non bisogna spaventare gli investitori; su flussi di denaro ricavati dal proprio lavoro, quando la loro vita era attiva, e più tardi, da pensionati, su quanto accantonato, e per ciò stesso teoricamente non tassabile una seconda volta. Né va trascurato un altro aspetto; a differenza di quanti possono servirsi da soli (senatori, deputati, dipendenti di organi di rango costituzionale), non sta al futuro pensionato, ma al legislatore, determinare se la sua futura pensione sarà calcolata in base al sistema contributivo o ad altro sistema; e con quali parametri.
Uno schema per risultati più significativi
Se si tassassero, come si è già fatto nella storia d’Italia, con una percentuale modesta, i conti correnti al di sopra di una certa soglia (se il limite superiore delle pensioni da tagliare che si va ipotizzando debba essere tra i 4.000 e i 5.000 euro netti mensili, la soglia per conto corrente da tassare potrebbe essere di circa centomila euro), i risultati sarebbero ben più significativi dello schema proposto, e ben più legittimi; dacché, come ognuno dovrebbe sapere (ma meglio non sapere, se si vogliono ottenere certi risultati), il denaro è fungibile. E lo stesso potrebbe avvenire esaminando certe generose concessioni.
Non è che le pensioni si paghino con altre pensioni, ma con l’accumulato, il rendimento degli investimenti dell’istituto di previdenza, o con l’andamento generale dell’economia del Paese. Diversa la valutazione per chi cumula più pensioni, vitalizi, presidenze da ex qualche cosa, pensioni e stipendi erogati dalla stessa entità, creazione – e connessi introiti – di fondazioni partitiche o parlamentari, in autodichia (tradotto, il termine, in italiano: sono fatti nostri), che rappresentano veri privilegi ad personam, o ad ‘gruppuscolo’. Comunque, tornando alle pensioni, pensioni più elevate corrispondono a remunerazioni più elevate. Dovute, si deve presumere, al merito. Accertare ex post che di merito non si trattava è prova diabolica. E tuttavia, si rottamino anche i pensionati!
Pensioni basate sui contributi: bisogna considerare anche altri elementi
Si dice che le pensioni dovrebbero essere basate sui contributi, e non su fatti figurativi. Forse ciò è vero, ma in ogni caso i contributi dovrebbero essere soltanto uno degli elementi della pensione. Una pensione ‘di mercato’ (P) dovrebbe essere basata non solo sui contributi (C): ad essi andrebbe aggiunto il rendimento (Y) dei versamenti effettuati per tutti gli anni durante i quali essi sono stati gestiti dall’Inps, dedotto il costo della gestione (c) dell’Inps stessa; e i flussi pensionistici da un lato, e dei contributi e rendimenti dall’altro dovrebbero tendere all’eguaglianza.
Riassumendo: la sommatoria dei contributi versati (crescenti durante la vita attiva del lavoratore, sino al momento del primo pagamento della pensione, e decrescenti da tale primo pagamento) e dei loro rendimenti, al netto dei costi di gestione, dovrebbe tendere ad eguagliare, in base a calcoli attuariali sulla vita media residua dei pensionati (sinché morte non li separi), il flusso delle pensioni erogate. I dirigenti e il presidente dell’Inps non dovrebbero occuparsi del problema politico di eventuali correzioni da apportare alla distribuzione dei risultati, ma della massimizzazione e della conservazione dei risultati stessi, come in qualsiasi impresa, di Stato o meno, e della minimizzazione dei costi della gestione.
Se i risultati sono inadeguati, la gestione è inefficiente. Se le distorsioni sono eccessive, la gestione politica è truffaldina. Se gli introiti da nuovi contributi non sono correlati alla pensione di chi li ha, appunto, versati in tutto o in parte, ma comunque contribuendo, e servono invece a pagare terzi, si tratta di un enorme schema fraudolento. I vecchi schemi Ponzi, e i più recenti schemi dei Madoff e simili, portano i loro ideatori, in sistemi meno giuridicamente inefficienti, in galera.
Riforme per il futuro, non per il passato
Mai, nelle discussioni in corso, si è fatto cenno a questioni attuariali, centrali in qualsiasi schema previdenziale. In termini di costi, una pensione d’oro di un ottantenne, con una vita residua, ahimè crescente, ma pur sempre limitata, è molto meno d’oro di una pensione nominalmente inferiore, ma relativa a persone con una speranza di vita di qualche decennio. È per questo che le riforme pensionistiche si sono sempre fatte per il futuro, gradualmente, e mai per il passato. Ma di ciò i trentenni con redditi improvvisi piovuti dal cielo – e i loro ricchissimi danti causa da rete – non sanno e non vogliono sapere. Di pensione non hanno bisogno. Come dovrebbe essere chiaro (ma purtroppo non sembra che lo sia), la rete, gestita da siti di proprietà privata, per giunta ereditari (e specialmente quelli che si vorrebbero sostituire alla democrazia), serve sovente ad irretire. Ciò considerato quindi, se si dovesse trattare, come infinite altre volte (abbiamo già dato), di un contributo di solidarietà, esso dovrebbe quanto meno essere decrescente in base alla speranza di vita residua degli interessati.
Ci pare, lo schema annunciato, un ulteriore tentativo – dopo l’inosservanza conclamata degli articoli 81 e 97 della Costituzione italiana (articoli votati a suo tempo della Lega) – di sostituire alla regola della legge, ai Trattati europei, ai contratti, agli impegni assunti, la dittatura di una maggioranza bipolare e delle sue promesse contrarie al principio di realtà.