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Irritazione Usa e preoccupazione Nato

S-400 da Russia a Turchia: l’azzardo di Erdoğan

17 Lug 2019 - Laura Mirachian - Laura Mirachian

Il 12 luglio sono arrivati nella base aeronautica di Murted, ex-Akinci, a nord di Ankara, i primi carichi di attrezzature per l’installazione dei missili russi a lunga gittata S-400. Altri ne seguiranno nelle prossime settimane e tra luglio e agosto piloti turchi verranno addestrati in Russia per imparare a usarli. La base di Murted ospitava anche aeromobili Nato, ma ora è deserta, essendo stata evacuata nel luglio del 2016 dopo il tentato golpe attribuito dal presidente Recep Tayyip Erdoğan agli affiliati di Fethullah Gulen. Ankara era stata avvisata da Washington che un tale sviluppo avrebbe bloccato la fornitura di F-35 e il relativo addestramento di personale turco, oltre al programma congiunto di allestimento.

A che cosa servono i missili russi
Ma, a cosa servono questi missili russi? Non solo sono incompatibili con gli apparati Nato di cui la Turchia è membro dal 1952, ma, per paradosso, sono studiati e prodotti da Mosca proprio in funzione anti-Nato. Una dichiarazione del ministero della Difesa sottolinea che la Turchia ha a che fare con “una grave minaccia aerea”. Da parte di chi? Erdoğan non ha mai svelato la matrice della minaccia e quindi degli eventuali obiettivi di questi missili S-400, anche se una grafica pubblicata due giorni prima del loro arrivo dall’agenzia Anadolu elenca una decina di aeromobili tutti di matrice Usa o Nato. Non vi è dubbio che si tratta di un messaggio forte rivolto all’Occidente sia americano sia europeo. O meglio, di una vera sfida.

Se va ragionevolmente escluso che Erdoğan possa anche solo immaginare di doversi difendere con gli S-400 dai propri alleati,  un tale sviluppo segnala certamente il grado di determinazione che lo anima nel’’ottenere da essi  comprensione delle proprie istanze di sicurezza e, più oltre, delle proprie ambizioni nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Solo qualche settimana fa ha avviato trivellazioni nelle acque di Cipro nel settore nord-est di cui, senza alcun riscontro internazionale, rivendica la sovranità, determinando un ulteriore deterioramento dei rapporti con l’Ue  (sospensione degli aiuti pre-adesione, applicazione di sanzioni).

La stessa sovranità che ha ripetutamente ventilato di voler recuperare su alcune isole greche mediante una revisione del Trattato di Losanna del 1923 che sancì i confini della Turchia di Kemal Atatürk. Poi c’è l’impervio terreno della Libia, dove Ankara si è schierata a favore dei Fratelli Musulmani storicamente contrastati in primis dall’Arabia Saudita.

Prima ancora, si prospetta la partita nel nord della Siria, ove due offensive militari nel 2016 e 2018, invero tollerate da Washington e Mosca, hanno registrato la calata dell’esercito turco nel territorio di tradizionale insediamento dei curdi del Rojava (tuttora presidiato dalla base americana di Manbji nonostante l’intenzione dichiarata del presidente Donald Trump di sgombero), con l’obiettivo di organizzarvi una zona-cuscinetto a protezione dei propri confini dai curdi stessi e, più oltre, di estendere la propria influenza in area in una visione neo-ottomana. Partita alquanto complessa, perché l’arbitrato finale sugli assetti della futura Siria richiede un’intesa tra protagonisti regionali e internazionali, a partire da Mosca e Washington, che è lungi dal concretizzarsi e perché le ambizioni neo-ottomane di Erdoğan non sono ben viste da nessuno.

Una scenario interno sempre più problematico
Questa proiezione esterna ardita e visionaria, che ha portato a frizioni con alleati e vicini, si coniuga con uno scenario interno sempre più problematico ove è in corso una doppia sfida politica ed economica. Migliaia di epurazioni e di processi nei confronti di civili e militari sospettati di essere seguaci dell’antagonista Gulen e complici del tentato colpo di stato del luglio 2016, una gestione autocratica di stretta vigilanza su media, istituzioni culturali, apparati giudiziari e di polizia (la riforma costituzionale in senso presidenziale del 2017); e al contempo un’economia inflazionata con alti tassi di disoccupazione specie giovanile, una svalutazione dell’ordine del 30%, capitali stranieri in uscita.

Non stupisce il licenziamento del governatore della Banca centrale accusato di contrastare la crescita con una politica di alti tassi, né l’uscita dall’Akp, il partito di governo, di personalità come Ali Babacan che hanno a lungo negoziato con l’Europa. Né stupisce la fragorosa disaffezione delle grandi città, la capitale Ankara e la capitale economica Istanbul, nelle recenti consultazioni amministrative. Basterà ad Erdoğan il consenso del ‘deep state’? In ogni caso,  l’accentuata polarizzazione della vita politica e sociale non favorisce certo l’economia.

Lo scenario esterno tra Russia e Occidente
E per quanto riguarda la proiezione esterna, basterà l’aiuto della Russia e l’arrivo degli S-400? Valgano le memorie del passato e il ruolo della Russia zarista nello smantellamento dell’Impero Ottomano e soprattutto il freddo calcolo di Vladimir Putin nella strumentalizzazione delle frustrazioni e ambizioni turche, puntualmente rivelatesi conflittuali con la stessa Russia nell’area di Idlib/Hama in Siria.

I missili S-400 non sono un giro di valzer, ma un vulnus alla sicurezza dell’Occidente. Per cominciare, potrebbe essere mobilitato l’arsenale di sanzioni a disposizione di Washington (Countering America’s Adversaries through Sanctions Act 2017). Il rischio perErdoğan è di aver varcato la soglia delle certezze, pur insoddisfacenti dal suo punto di vista,  in cambio di incognite e incertezze.