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Osservatorio IAI/ISPI

Nel disordine internazionale, l’Ue attore o spettatore

16 Ott 2019 - Giancarlo Aragona - Giancarlo Aragona

L’ordine globale è in evoluzione, sottoposto a tensioni fortissime. In un frangente così fluido e pericoloso, ci si interroga su quale ruolo possa avere l’Unione europea: attore strategico o gigante economico senza ambizioni di peso politico e di sicurezza? Malgrado sia un falso dilemma poiché tutela degli interessi economici e influenza politica sono funzionali l’una all’altra, l’interrogativo è comprensibile.

L’Unione fatica a definire una sua identità collettiva, esita ad indicare con nettezza le sue scelte di campo nel mondo e la condivisione dei suoi valori fondanti si è appannata. I suoi membri, privi della guida unificante che gli americani esercitano, almeno sino a Donald Trump, in ambito Nato, non partecipano della stessa cultura strategica. Storia e collocazioni geografiche portano a divergenti valutazioni della minaccia. Se l’Italia guarda al Mediterraneo e al Nord Africa, Polonia e Baltici temono la Russia.

Con l’eccezione di Regno Unito (ormai in uscita dall’Unione) e Francia, gli europei sono riluttanti a destinare risorse adeguate agli apparati militari, corroborante di qualsivoglia ambizione a contare, così come hanno diverse sensibilità sull’impiego della forza. Prevale la netta preferenza per il soft power, spesso sfruttato al di sotto del suo potenziale. Da qui, la realistica messa in guardia che all’Unione europea non resterebbe che rinunciare ad essere un attore dinamico e trasformatore sulla scena internazionale, limitandosi a fare da spettatrice non allineata.

Ambizioni di protagonismo e volontà politica
Eppure, anzitutto gli interessi dei Paesi membri, come la storia, il patrimonio civile, culturale e morale, il peso economico e tecnologico, vorrebbero che l’Ue divenisse protagonista nella gestione delle principali crisi e del processo attraverso cui si modella l’ordine mondiale. È un obiettivo possibile solo se vi saranno la volontà politica collettiva e leader capaci di plasmare una visione strategica comune tra i partner, superando le inevitabili diverse sensibilità in nome dei vantaggi dell’operare insieme.

A tal fine aiuterà la chiara riaffermazione che la collocazione dell’Ue è saldamente nella comunità occidentale e che la sua politica estera e di sicurezza, pur in autonomia, è coerente con gli indirizzi in ambito atlantico. Non potrebbe essere diversamente. La quasi totalità dei paesi Ue fa anche parte della Nato e per molti di essi la dimensione di politica estera e di sicurezza europea è complementare a quella atlantica. Esperienza insegna che l’aggancio atlantico agevola anche l’avvicinamento delle concezioni strategiche tra gli europei.

La crisi profonda della comunità euro-atlantica
La comunità euro-atlantica è in crisi profonda a causa degli atteggiamenti e della disattenzione della Presidenza Trump. Gli europei, per quanto sta a loro, debbono fare di tutto per salvaguardare questo legame o quantomeno contenere i danni, in attesa di tempi migliori. Piaccia o meno, gli europei hanno sempre sofferto delle tensioni con gli Usa, e di fronte ad esse spesso accentuano le loro divisioni.

Occorre corrispondere in concreto alla aspettativa americana, da Trump agitata in maniera inusitatamente aggressiva, di una più equa distribuzione degli oneri per la sicurezza comune, nella Nato e non solo. Passi avanti in questa direzione attenueranno un serio irritante dissenso con Washington e creeranno condizioni perché contemporaneamente il profilo autonomo europeo nel mondo si rafforzi.

Italia sia parte attiva ed ascoltata
Malgrado le esortazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel, l’Ue non acquisirà in tempi oggi calcolabili l’autonomia strategica. Ma anche al di sotto di questo ambizioso traguardo, lo sforzo politico richiesto ai leader europei è enorme. Occorre che essi si dispongano a rinunciare al primato nazionale della politica estera e di sicurezza, per costruire un amalgama condiviso in cui tutti si riconoscano, consci che nessuno dei Paesi membri, da solo, avrebbe modo di incidere. Solo l’Unione può essere partecipe autorevole della configurazione dei futuri equilibri globali, moltiplicando l’influenza dei suoi singoli membri e rafforzandone la tutela degli interessi.

Non vi è bisogno di sottolineare quanto sia cruciale che l’Italia sia parte attiva e ascoltata in questo processo. È fondamentale che non solo il Governo, ma la politica tutta e l’opinione pubblica prendano coscienza del momento storico che stiamo vivendo, destinato a plasmare gli equilibri, i modi di funzionare ed i valori del mondo prossimo venturo. Se rimanessimo fuori da questo dibattito, per insufficienza culturale o nella illusione di poter far da soli, il danno sarebbe gravissimo e di lunga durata. Con l’Unione debole, prevarrebbero il peso e la visibilità dei partner più forti, e l’Italia non è tra questi.

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.